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Hirobumi Watanabe, maestro della comicità stralunata e dell'indie a bassissimo budget, decide di cimentarsi con il genere horror in "The Scary House". O, per essere precisi, decide di camminare con disinvoltura sul confine tra l’horror e la parodia dell’horror, finendo inevitabilmente per sconfinare nella seconda.
La produzione, come da tradizione watanabiana, è snella e casalinga: pochi attori, una location polverosa e un'atmosfera volutamente trasandata. La regia si muove con passo lento e disinvolto, mescolando lunghi silenzi, gag surreali, interviste in stile documentario, in un continuo gioco di rottura delle aspettative.
La fotografia, spoglia e poco luminosa, sembra voler costruire il brivido ma finisce per accentuare il senso di straniamento grottesco che attraversa tutto il film. L’orrore tanto atteso resta sempre sullo sfondo, come un attore distratto che dimentica di entrare in scena.
Le musiche, firmate dal fratello Yuji Watanabe, sono come il film: minimaliste, citazioniste, spiazzanti e più adatte a una commedia dell’assurdo che a un horror vero e proprio. La colonna sonora interviene a sottolineare con discrezione il ridicolo delle situazioni, senza mai prendere sul serio il terrore annunciato.
"The Scary House" è, insomma, un horror che promette brividi ma mantiene risate. Un film che sembra farsi beffe del genere stesso, dove l’unico vero spavento è la capacità di Watanabe di trasformare anche l'inquietudine più profonda in un pretesto per prendersi amabilmente in giro. E forse è proprio questo il suo talento più raro.