Recensione
Musume no tomodachi
7.0/10
"Nel labirinto dei desideri proibiti e inconfessabili, la negazione della libertà della loro manifestazione non è rappresentata dalle convenzioni sociali bensì dall'ambiguità del silenzio che si costruisce come alibi".
Era da un po' che non leggevo manga o vedevo anime che si sono posti come obiettivo la sfida ai c.d. tabù morali, religiosi o sociali che siano con . Essendo più un consumatore di anime che lettore di manga, mi vengono in mente opere come "Domestic girlfriend" (come manga e non come anime), "Days with my step sister", "Koi kaze", "After the rain", "Boy's abyss" e "Scum's wish": tutte produzioni che prendendo spunto da un'interazione tra soggetti proibita o moralmente/socialmente non accettabile, sviluppano la profondità psicologica dei personaggi e i loro conflitti in primis con se stessi e poi con gli altri personaggi che li circondano per una rappresentazione che spazia dall'ambiguità alla eccessiva spietatezza, dalla delicatezza e distacco all'eccessiva tragicità e pessimismo, dal tono positivo e rassicurante alla vera e propria autodistruzione.
Il tutto con finali che raramente sono conclusivi e molto più spesso aperti, sia costruttivi e di crescita personale ma anche distruttivi e senza redenzione.
Tra le opere citate, "Musume no Tomodachi" ("My Daughter's Friend"), manga scritto e disegnato da Asami Hagiwara e pubblicato da Kodansha tra il 2019 e il 2020 su Comic Days, si inserisce in quel filone delle opere che affrontano il tema delle relazioni intergenerazionali e nei presupposti si avvicina ad "After the rain", manga di Jun Mayuzuki da cui è stata tratta anche la serie anime: in entrambi i casi ragazze minorenni che stanno vivendo situazioni personali di cambiamento e di difficoltà intravedono in un gesto compiuto nei loro confronti da un adulto molto più grande di loro la scintilla per esplorare e scoprire sentimenti mai provati.
In "Musume no Tomodachi", la trama è imperniata attorno ai due protagonisti: Kosuke, un uomo adulto con un discreto successo lavorativo ma profondamente segnato dalla perdita della moglie e incapace di gestire il difficile rapporto con l'unica figlia Miya, e Koto, compagna di scuola della figlia che vive una situazione familiare difficile con un padre assente e una madre possessiva che riversa su di lei il suo sconforto per l'abbandono, con la quale si sviluppa una relazione complessa e controversa su iniziativa di quest'ultima.
Le somiglianze con "After the rain", se così si volessero definire, terminano qui perché quest'ultima ha come tema centrale un sentimento tra i protagonisti che resta nei limiti dell'amore platonico narrato in modo poetico e lirico, con una profondità psicologica molto curata e una trama che si sviluppa e sfocia in una storia di crescita personale dei protagonisti. In "Musume no Tomodachi" la relazione sfocia in un rapporto più concreto e molto più abrasivo per i contrasti e le reazioni che tale scelta genera nei personaggi che interagiscono con i protagonisti e che ovviamente giudicano negativamente la loro relazione.
Premetto che nel recensire quest'opera cercherò di non cadere nella solita analisi del contesto sociale, culturale e anche legale in cui si inserisce la narrazione e i protagonisti: sarebbe come nascondersi dietro un dito di una mano con il rischio di appiattire il valore di un'opera alla mera violazione di regole e consuetudini perdendo il valore della delicatezza dei temi trattati e delle dinamiche psicologiche dei due protagonisti, atteggiamento e approccio che in questo particolare periodo storico di forte ed estenuante polarizzazione sta riemergendo come unico metro di giudizio.
A me è sembrato evidente come la interazione tra Kosuke e Koto sia imperniata non tanto sul romance in senso stretto quanto sull'escapismo (e in questo assomiglia un po' a "Scum's Wish"): entrambi cercano nell'altro una via di fuga dalle proprie sofferenze e responsabilità piuttosto che vivere positivamente un sogno di attrazione reciproca. La dinamica tra loro è resa piuttosto bene nel suo contesto negativo e pessimista: non c'è idealizzazione né romanticismo nella relazione ma solo la resa delle conseguenze più o meno devastanti della loro scelta sia sui protagonisti e sia sulle persone a loro più legate ed in particolare Miya, la figlia di Kosuke.
Una visione molto pragmatica (con venature pessimistiche) che concentra l'attenzione delle dinamiche relazionali tra l'adulto e l'adolescente più sulla tensione delle conseguenze delle loro scelte che ingenera di conseguenza quella sorata di paralisi emotiva che contraddistingue la comunicazione mai autentica dei due protagonisti in tutta l'opera: Kosuke e Koto sono entrambi incapaci di esprimere pienamente i propri sentimenti e bisogni, intrappolati dalla paura del giudizio e del confronto e ogni volta che cercano di far emergere la loro relazione si scontrano con le conseguenze.
Sebbene l'autore abbia un po' stereotipato i personaggi rendendoli anche un tantino eccessivamente melodrammatici, ammetto che sui protagonisti sia riuscito a rendere bene il loro conflitto interiore e il loro sviluppo emotivo. Se Kosuke resta un adulto incapace di prendere le redini della sua esistenza, dilaniato tra il senso di colpa verso la figlia Mya e il suo desiderio moralmente e socialmente inaccettabile, Koto sembra una ragazza "lobotomizzata" in conflitto con se stessa tra il dovere di compiacere una madre "tossica" (iperprotettiva, fragile e insicura) e la voglia di affermare la sua identità soffocata da aspettative e rigidità familiari e sociali.
Entrambi scelgono una sorta di percorso di redenzione attraverso la distruzione di se stessi e del ruolo in cui sono stati incasellati dai familiari e dalle regole e convenzioni sociali che in realtà li porta alla progressiva alienazione da tutti e tutto.
Meno riuscito mi è sembrato il personaggio di Mya: rappresentata inizialmente come un'adolescente hikikomori a causa della morte della madre, la ragazza dotata di uno straordinario intuito sui comportamenti sospetti al limite dell'infantile del padre è tuttavia incapace di dimostrare la benché minima capacità di perdono e comprensione nei confronti del genitore cui sembra non perdonare l'assenteismo e l'aver nascosto il suo incipiente interesse per Koto (e quindi aver mentito a lei) piuttosto che per la relazione in sé.
La sua rappresentazione molto estremizzata e ribelle tende quasi a far passare il ruolo di "vittima" da lei al padre che non si dimostra mai capace di attribuire il valore e importanza appropriati a lei e alla loro relazione genitore-figlia e quindi al senso del termine "famiglia" e la fa apparire più un elemento funzionale dello sviluppo della trama piuttosto che un personaggio a tutto tondo che avrebbe dovuto ricevere un miglior approfondimento e attenzione nel suo ruolo di vittima delle scelte operate dal padre.
L'ambiguità che ho avuto modo di apprezzare di "Musume no Tomodachi" risiede nel modo in cui rappresenta i fatti: sembra una narrazione fatta un osservatore "neutrale" in cui "vittime" e "carnefici" non sono facilmente identificabili e tendono a confondersi anche in uno stesso personaggio, come se il manga si limitasse a sollevare degli interrogativi sulla liceità/moralità o meno delle relazioni intergenerazionali, sulla capacità di discernimento dei personaggi e il determinismo in base al quale i personaggi si muovono e in ultima istanza anche sulla capacità della società di distinguere tra le intenzioni e ciò che è reale e fattuale.
E, al netto degli eccessi di dramma necessari per lo sviluppo della trama, il messaggio che "Musume no Tomodachi" sembra trasmettere è quello che non sembra esistere un'unica verità incontrovertibile e il male (e il bene) non sono così polarizzati come alla maggior parte delle persone fa comodo pensare.
Tuttavia il manga presenta anche dei limiti più o meno evidenti nel come affronta il dramma vissuto dai due protagonisti e da coloro che li circondano più da vicino: mi riferisco ai cliché soliti di genere con un maschio adulto un po' troppo imbranato, infantile, indeciso e poco incisivo. Sarà l'archetipo dell'office worker nipponico nonché padre di famiglia, ma francamente vedere in tante opere degli adulti ossessionati dal lavoro fino al sacrificio del tempo libero e pertanto mai presenti a casa vicino ai figli è francamente noioso e troppo funzionale alla trama, tanto quanto la loro incapacità di affrontare situazioni di deviazione dalla solita normalità. Questo aspetto li rende degli adolescenti cresciuti e incapaci di rappresentare un punto di riferimento per i propri figli sui quali riversano le loro questioni irrisolte.
Siamo ben lontani da personaggi molto più sfaccettati alla Lester Burnham (e la superba interpretazione di K. Spacey) di "American Beauty" dove in un percorso di risveglio tragico e dietro una critica sociale feroce, il protagonista cerca una liberazione dalle convenzioni, riscoprendo la capacità di meravigliarsi e di vivere pienamente. Kosuke era e resta vittima di se stesso e dell'ipocrisia sociale in un finale aperto e un po' nonsense. In altre parole: "tanto rumore per nulla"?
In realtà, in "Musume no Tomodachi" più che le riflessioni sui tabù morali e sociali e il focus sulla relazione proibita, doveva essere più incisivo sulla critica al modello di ruolo genitoriale e alla incapacità di costruire dei sani legami familiari da parte dei due genitori coinvolti, che resta in secondo piano dietro la facciata di un romance "punitivo" e "atarassico" e che rende la trama più come una pseudo legittimazione della relazione "amorale" piuttosto che una critica ai tanti "vuoti a perdere" che sono gli adulti.
L'opera di Asami Hagiwara rappresenta un tentativo coraggioso di arrivare a sfidare i limiti della capacità empatica del lettore ma focalizzando l'attenzione sul mettere a nudo la fragilità umana e la complessità dei legami affettivi si perde un po' limitandosi a mostrare come l'affermazione assoluta del proprio ego e la conseguente ricerca di autenticità possa trasformarsi in una spirale di autodistruzione se si vuole ignorare i limiti imposti dalla morale o dalle consuetudini sociali, lasciando il lettore in una specie di limbo tra comprensione e condanna in cui non vince nessuno.
Era da un po' che non leggevo manga o vedevo anime che si sono posti come obiettivo la sfida ai c.d. tabù morali, religiosi o sociali che siano con . Essendo più un consumatore di anime che lettore di manga, mi vengono in mente opere come "Domestic girlfriend" (come manga e non come anime), "Days with my step sister", "Koi kaze", "After the rain", "Boy's abyss" e "Scum's wish": tutte produzioni che prendendo spunto da un'interazione tra soggetti proibita o moralmente/socialmente non accettabile, sviluppano la profondità psicologica dei personaggi e i loro conflitti in primis con se stessi e poi con gli altri personaggi che li circondano per una rappresentazione che spazia dall'ambiguità alla eccessiva spietatezza, dalla delicatezza e distacco all'eccessiva tragicità e pessimismo, dal tono positivo e rassicurante alla vera e propria autodistruzione.
Il tutto con finali che raramente sono conclusivi e molto più spesso aperti, sia costruttivi e di crescita personale ma anche distruttivi e senza redenzione.
Tra le opere citate, "Musume no Tomodachi" ("My Daughter's Friend"), manga scritto e disegnato da Asami Hagiwara e pubblicato da Kodansha tra il 2019 e il 2020 su Comic Days, si inserisce in quel filone delle opere che affrontano il tema delle relazioni intergenerazionali e nei presupposti si avvicina ad "After the rain", manga di Jun Mayuzuki da cui è stata tratta anche la serie anime: in entrambi i casi ragazze minorenni che stanno vivendo situazioni personali di cambiamento e di difficoltà intravedono in un gesto compiuto nei loro confronti da un adulto molto più grande di loro la scintilla per esplorare e scoprire sentimenti mai provati.
In "Musume no Tomodachi", la trama è imperniata attorno ai due protagonisti: Kosuke, un uomo adulto con un discreto successo lavorativo ma profondamente segnato dalla perdita della moglie e incapace di gestire il difficile rapporto con l'unica figlia Miya, e Koto, compagna di scuola della figlia che vive una situazione familiare difficile con un padre assente e una madre possessiva che riversa su di lei il suo sconforto per l'abbandono, con la quale si sviluppa una relazione complessa e controversa su iniziativa di quest'ultima.
Le somiglianze con "After the rain", se così si volessero definire, terminano qui perché quest'ultima ha come tema centrale un sentimento tra i protagonisti che resta nei limiti dell'amore platonico narrato in modo poetico e lirico, con una profondità psicologica molto curata e una trama che si sviluppa e sfocia in una storia di crescita personale dei protagonisti. In "Musume no Tomodachi" la relazione sfocia in un rapporto più concreto e molto più abrasivo per i contrasti e le reazioni che tale scelta genera nei personaggi che interagiscono con i protagonisti e che ovviamente giudicano negativamente la loro relazione.
Premetto che nel recensire quest'opera cercherò di non cadere nella solita analisi del contesto sociale, culturale e anche legale in cui si inserisce la narrazione e i protagonisti: sarebbe come nascondersi dietro un dito di una mano con il rischio di appiattire il valore di un'opera alla mera violazione di regole e consuetudini perdendo il valore della delicatezza dei temi trattati e delle dinamiche psicologiche dei due protagonisti, atteggiamento e approccio che in questo particolare periodo storico di forte ed estenuante polarizzazione sta riemergendo come unico metro di giudizio.
A me è sembrato evidente come la interazione tra Kosuke e Koto sia imperniata non tanto sul romance in senso stretto quanto sull'escapismo (e in questo assomiglia un po' a "Scum's Wish"): entrambi cercano nell'altro una via di fuga dalle proprie sofferenze e responsabilità piuttosto che vivere positivamente un sogno di attrazione reciproca. La dinamica tra loro è resa piuttosto bene nel suo contesto negativo e pessimista: non c'è idealizzazione né romanticismo nella relazione ma solo la resa delle conseguenze più o meno devastanti della loro scelta sia sui protagonisti e sia sulle persone a loro più legate ed in particolare Miya, la figlia di Kosuke.
Una visione molto pragmatica (con venature pessimistiche) che concentra l'attenzione delle dinamiche relazionali tra l'adulto e l'adolescente più sulla tensione delle conseguenze delle loro scelte che ingenera di conseguenza quella sorata di paralisi emotiva che contraddistingue la comunicazione mai autentica dei due protagonisti in tutta l'opera: Kosuke e Koto sono entrambi incapaci di esprimere pienamente i propri sentimenti e bisogni, intrappolati dalla paura del giudizio e del confronto e ogni volta che cercano di far emergere la loro relazione si scontrano con le conseguenze.
Sebbene l'autore abbia un po' stereotipato i personaggi rendendoli anche un tantino eccessivamente melodrammatici, ammetto che sui protagonisti sia riuscito a rendere bene il loro conflitto interiore e il loro sviluppo emotivo. Se Kosuke resta un adulto incapace di prendere le redini della sua esistenza, dilaniato tra il senso di colpa verso la figlia Mya e il suo desiderio moralmente e socialmente inaccettabile, Koto sembra una ragazza "lobotomizzata" in conflitto con se stessa tra il dovere di compiacere una madre "tossica" (iperprotettiva, fragile e insicura) e la voglia di affermare la sua identità soffocata da aspettative e rigidità familiari e sociali.
Entrambi scelgono una sorta di percorso di redenzione attraverso la distruzione di se stessi e del ruolo in cui sono stati incasellati dai familiari e dalle regole e convenzioni sociali che in realtà li porta alla progressiva alienazione da tutti e tutto.
Meno riuscito mi è sembrato il personaggio di Mya: rappresentata inizialmente come un'adolescente hikikomori a causa della morte della madre, la ragazza dotata di uno straordinario intuito sui comportamenti sospetti al limite dell'infantile del padre è tuttavia incapace di dimostrare la benché minima capacità di perdono e comprensione nei confronti del genitore cui sembra non perdonare l'assenteismo e l'aver nascosto il suo incipiente interesse per Koto (e quindi aver mentito a lei) piuttosto che per la relazione in sé.
La sua rappresentazione molto estremizzata e ribelle tende quasi a far passare il ruolo di "vittima" da lei al padre che non si dimostra mai capace di attribuire il valore e importanza appropriati a lei e alla loro relazione genitore-figlia e quindi al senso del termine "famiglia" e la fa apparire più un elemento funzionale dello sviluppo della trama piuttosto che un personaggio a tutto tondo che avrebbe dovuto ricevere un miglior approfondimento e attenzione nel suo ruolo di vittima delle scelte operate dal padre.
L'ambiguità che ho avuto modo di apprezzare di "Musume no Tomodachi" risiede nel modo in cui rappresenta i fatti: sembra una narrazione fatta un osservatore "neutrale" in cui "vittime" e "carnefici" non sono facilmente identificabili e tendono a confondersi anche in uno stesso personaggio, come se il manga si limitasse a sollevare degli interrogativi sulla liceità/moralità o meno delle relazioni intergenerazionali, sulla capacità di discernimento dei personaggi e il determinismo in base al quale i personaggi si muovono e in ultima istanza anche sulla capacità della società di distinguere tra le intenzioni e ciò che è reale e fattuale.
E, al netto degli eccessi di dramma necessari per lo sviluppo della trama, il messaggio che "Musume no Tomodachi" sembra trasmettere è quello che non sembra esistere un'unica verità incontrovertibile e il male (e il bene) non sono così polarizzati come alla maggior parte delle persone fa comodo pensare.
Tuttavia il manga presenta anche dei limiti più o meno evidenti nel come affronta il dramma vissuto dai due protagonisti e da coloro che li circondano più da vicino: mi riferisco ai cliché soliti di genere con un maschio adulto un po' troppo imbranato, infantile, indeciso e poco incisivo. Sarà l'archetipo dell'office worker nipponico nonché padre di famiglia, ma francamente vedere in tante opere degli adulti ossessionati dal lavoro fino al sacrificio del tempo libero e pertanto mai presenti a casa vicino ai figli è francamente noioso e troppo funzionale alla trama, tanto quanto la loro incapacità di affrontare situazioni di deviazione dalla solita normalità. Questo aspetto li rende degli adolescenti cresciuti e incapaci di rappresentare un punto di riferimento per i propri figli sui quali riversano le loro questioni irrisolte.
Siamo ben lontani da personaggi molto più sfaccettati alla Lester Burnham (e la superba interpretazione di K. Spacey) di "American Beauty" dove in un percorso di risveglio tragico e dietro una critica sociale feroce, il protagonista cerca una liberazione dalle convenzioni, riscoprendo la capacità di meravigliarsi e di vivere pienamente. Kosuke era e resta vittima di se stesso e dell'ipocrisia sociale in un finale aperto e un po' nonsense. In altre parole: "tanto rumore per nulla"?
In realtà, in "Musume no Tomodachi" più che le riflessioni sui tabù morali e sociali e il focus sulla relazione proibita, doveva essere più incisivo sulla critica al modello di ruolo genitoriale e alla incapacità di costruire dei sani legami familiari da parte dei due genitori coinvolti, che resta in secondo piano dietro la facciata di un romance "punitivo" e "atarassico" e che rende la trama più come una pseudo legittimazione della relazione "amorale" piuttosto che una critica ai tanti "vuoti a perdere" che sono gli adulti.
L'opera di Asami Hagiwara rappresenta un tentativo coraggioso di arrivare a sfidare i limiti della capacità empatica del lettore ma focalizzando l'attenzione sul mettere a nudo la fragilità umana e la complessità dei legami affettivi si perde un po' limitandosi a mostrare come l'affermazione assoluta del proprio ego e la conseguente ricerca di autenticità possa trasformarsi in una spirale di autodistruzione se si vuole ignorare i limiti imposti dalla morale o dalle consuetudini sociali, lasciando il lettore in una specie di limbo tra comprensione e condanna in cui non vince nessuno.