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Gustavo69

Episodi visti: 8/8 --- Voto 6,5
"Psycho-Pass 3" è, senza girarci intorno, la serie più noiosa e meno incisiva di questo franchise, iniziato diversi anni prima. Se la prima serie era qualcosa di fresco e originale, con diversi spunti di riflessione sul libero arbitrio, il significato della giustizia e sui sistemi di controllo sempre più oppressivi, la terza serie invece si focalizza più su complotti più o meno improbabili e temi attuali come i flussi migratori e i problemi relativi agli stessi, prestando maggior attenzione alle discriminazioni e diffidenza che gli immigrati possono incontrare (infatti, uno dei protagonisti che lavora con la polizia è straniero). Un tema senz'altro interessante e degno di nota, ma forse troppo onnipresente nella trama e nei dialoghi. Dialoghi forse troppo verbosi, tra l'altro, che spiegano allo spettatore qualunque cosa si veda sullo schermo, come se gli sceneggiatori pensassero che il loro pubblico è composto da bambini o da spettatori che hanno bisogno di essere "presi per mano". Inoltre, il ritmo narrativo è fin troppo lento, forse anche a causa del fatto che gli episodi durano il doppio del normale (quasi cinquanta minuti anziché venti/venticinque).

I nuovi personaggi sono anche interessanti, ma non tutti approfonditi adeguatamente, specie gli esecutori, il cui passato viene accennato in effetti, ma quasi mai in maniera adeguata. Meglio va per i due protagonisti, uno è un mentalista che ha quasi superpoteri, e un passato segreto che nessuno quasi conosce, e il suo collega, amico d'infanzia, è uno dei tanti immigrati che cerca di condurre una vita normale in Giappone. Gli antagonisti non vengono approfonditi più di tanto in questa serie, le loro motivazioni rimangono vaghe e a volte poco credibili. Anche l'esistenza di una società segreta che controlla vari aspetti della società ed economia risulta un dettaglio abbastanza ridicolo, tutto sommato, ma nulla di particolarmente fuori luogo in opere del genere.
Ritmo narrativo lenti, si diceva: impressione è che la stessa storia poteva essere tranquillamente raccontata nello stesso numero di episodi, ma nei venti minuti canonici.
Dal punto di vista tecnico non ci si lamenta troppo, ma a volte le animazioni sono un po' legnose, e il design di certi personaggi non è il massimo.

Insomma, rispetto alle serie precedenti si tratta di un passo avanti e due indietro, temo.


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watashiwasaradesu

Episodi visti: 8/8 --- Voto 8,5
La terza serie del brand “Psycho-Pass” segue la scia tracciata dalla precedente trilogia “Sinners of the System”. La sua particolarità è la durata doppia degli episodi, otto per quarantasei minuti l’uno. Se inizialmente ero stata scettica sulla lunghezza, credendo mi avrebbero annoiata episodi eccessivamente lunghi, dopo nemmeno mezz’ora del primo mi sono resa conto di quanto in realtà, per una storia simile, la lunghezza doppia sia congeniale. Va inoltre detto che, per quanto non obbligatoria, la visione dei tre film del 2019 è consigliata per capire alcune piccole cose (e poi non sono male, quindi è tutto guadagnato).

Cerchiamo di andare con ordine senza però rivelare troppo.
I personaggi. Ormai abbiamo capito che “Psycho-Pass” è una serie quasi antologica, per cui ogni stagione abbiamo protagonisti differenti. Del vecchio cast infatti è rimasto poco, o così pare, mentre abbondano le facce nuove. I due nuovi ispettori della Prima Divisione sono Arata Shindō e Kei Michael Ignatov. Il primo un mentalista simpaticone raccomandato da Tsunemori, amico di lunga data del secondo che ha invece origini russe e ha un aspetto più serioso. Ad accompagnarli troviamo cinque esecutori, tra cui i vecchi Shō Hinakawa e Shion Karanomori. Personalmente mi sono affezionata molto ad alcuni personaggi nuovi, soprattutto quelli di Irie e Kei. In un modo o in un altro sembrano essere legati tutti da un passato comune, esecutori e ispettori a volte si scambiano i ruoli ed entrambi vengono direttamente e personalmente colpiti da quello che sembra essere l’antagonista della terza stagione, se di antagonisti si può parlare in “Psycho-Pass”. Ciò fa sì che tra la squadra si crei un bel legame, come si può vedere durante la festa di benvenuto o durante gli orari di servizio. Interessante inoltre come tutti in realtà non siano chi o come appaiono, e come agiscano più indipendente dal Sybil System rispetto al passato. Quest’ultimo infatti non ha più un ruolo centrale come le altre due stagioni, ma lascia spazio alla sensibilità degli investigatori e a un nuovo “sistema”. Arata e Kei ripetono spesso che il Sybil System non è tutto, non a caso il dominator ha un grilletto e non va in automatico. Visione che ci richiama alla memoria una certa Akane.

Vecchie conoscenze. La terza stagione è una frecciatina continua ai fan di vecchia data, che ritrovano discorsi o situazioni riguardanti la prima stagione. Ma non solo. Ho perso il conto delle volte che ho urlato di gioia nel vedermi comparire a sorpresa sullo schermo esecutori della vecchia Prima Divisione. Scene che a volte riconosco essere state puro fanservice, mentre altre sono fulcro della sotto-trama. Sì, perché dietro tutto quello che vediamo rimane un personaggio che appare rarissime volte, ma che intuiamo sapere tutto, e dio solo sa quale ruolo giocherà alla fine. Nell’ultimo episodio poi, proprio alla fine, lo spettatore non può che non essere emotivamente scosso: una scena dolce e nostalgica lascia amaramente spazio a una, dopo i titoli di coda, devastante. Il tutto accompagnato da una soundtrack calzante, a tratti emozionante e bellissima. Tuttavia non mancano momenti in cui, a mio avviso, la musica è fin troppo invadente, quasi fastidiosa, quando già la scena è piena di azione.

Finale. Se la mia recensione è sembrata più confusionaria del dovuto, lo si deve a tre fattori: non sono brava a spiegarmi in maniera ordinata; non volendo fare troppi spoiler, ho preferito censurare il novanta percento degli avvenimenti; la serie non si conclude con l’ottavo episodio.
Detesto le cose senza fine, ma sono fiduciosa nel film in uscita tra qualche settimana e nella possibilità di un’altra stagione in tempi ragionevoli (e non quattro anni come dalla seconda alla terza). Ho comunque dato un voto alto, perché reputo questa stagione più interessante delle altre. L’ho detto. Le varie tematiche che saltano fuori e i problemi legati al passato dei protagonisti mi hanno affascinato fin dai primi minuti. Temi come la religione, l’immigrazione e la politica (uno dipendente dall’altro) sono veri più che mai, avvicinando l’universo di “Psycho-Pass” ambientato nel lontano 2100 e qualcosa ai giorni nostri. La svolta sociale e fanta-politica di questa serie la rende per me migliore rispetto alle altre che, pur impegnate a livello morale, rimanevano legate al Sybil System e a un mondo ancora molto ancorato alla fantascienza.

Dunque, ho finito per scrivere molto più del previsto, considerando il fatto che non ho detto nulla. Il mio voto potrebbe sembrare troppo alto ad alcuni, ma non so essere cattiva, se mi mettono un personaggio come Kei Ignatov. Ho pianto, riso, gridato, mi sono arrabbiata e sono stata ingannata ripetute volte. Una montagna russa di emozioni e colpi di scena. Insomma, una serie che sa intrattenere e che tratta casi seri in maniera quasi impeccabile. Certo, dei difetti deve pur averli: alcune scene d’azione non sono poi granché e delle volte si ha la sensazione che tutto questo mistero sui “nemici” potrebbe portare a un grande buco nell’acqua. Alcuni avvenimenti poi, in un primo momento, paio interessanti solo per via del diretto coinvolgimento di uno specifico personaggio. “Psycho-Pass 3” è un anime incompleto ma che proprio per questo ti permette di pensare e ragionare su molte cose, dai casi ancora irrisolti della Prima Divisione, a cosa stia succedendo ai nuovi e vecchi ispettori, fino alla questione dei migranti nel mondo in questo ultimo periodo. Concludo col dire che, qualora il film in uscita non concludesse la serie oppure non venisse annunciata una nuova stagione, il mio voto calerebbe, perché, come sopracitato, detesto le cose senza un finale.

Ataru Moroboshii

Episodi visti: 8/8 --- Voto 7,5
La serie "Psycho-Pass 3" continua il restyling del franchise iniziato con "Sinners of the System". Come prevedibile per chi ha visto i tre film, i nuovi sceneggiatori hanno abbandonato l'atmosfera caratteristica dell'auotre Urobuchi, per cimentarsi in una storia ad alto grado di complessità; le differenze rispetto all'approccio precedente sono moltissime, ma non per questo automaticamente peggiori.

Si inizia subito da una Prima Sezione della Pubblica Sicurezza con dei membri e dei protagonisti completamente diversi, poiché i precedenti membri, ad eccezione dell'analista dei dati, nei cinque anni trascorsi hanno tutti cambiato status o lavoro: l'unica nostra vecchia conoscenza all'inizio della serie è l'ex ispettore Mika, promossa ora al ruolo di Commissario e a capo dei vari ispettori; gli altri membri del vecchio staff compariranno comunque più avanti, ma relegati a ruoli secondari.
La diretta conseguenza di questi cambi di organigramma è che a capo della Prima Sezione ci sono ora due nuovi ispettori: il primo è Arata Shindou, un mentalista in possesso di particolari facoltà psichiche che gli permettono di mettersi nei panni degli altri, spesso le vittime, e "vedere" indizi che altrimenti sarebbero invisibili agli altri agenti e alla polizia scientifica. Arata sarebbe lo svogliato e "piacione" della squadra, che sta simpatico praticamente ad ogni personaggio.
Il secondo ispettore è invece Kei Ignatov, dalle probabili origini russe e immigrato in Giappone con la sorella, per sfuggire alla violenza dilagante nel resto del mondo, dai metodi spesso bruschi; velatamente cita il film "Danko" e risulta a tutti molto meno simpatico dell'altro ispettore, non solo per il carattere ma anche per il fatto di non essere giapponese.

In questo sequel, quasi uno spin-off, il ruolo del Sybil System è molto ridimensionato, passando da arbitro e giudice ultimo di ogni persona e situazione, come era nella serie originale, ad essere solo uno dei poteri forti in campo: grande importanza avranno anche la politica, il Ministero degli Esteri, la nuova religione permessa dal Sybil, e sopratutto il Bifrost, un'organizzazione che ha concepito un complicato sistema atto ad aggirare il giudizio del Sybil in un modo che scopriremo durante l'anime.
Il genere dell'opera è quindi passato da distopico a fanta-politico; scelta che ha dei pro e dei contro: se da un lato questo Giappone futuro è molto più credibile, dall'altro l'eccessiva dispersione e la complessità delle vicende appesantisce la visione.
Fortunatamente, per venire un po' incontro allo spettatore, alla trama più complessa si accompagna una durata doppia degli episodi, aiutandoci così a non perdere il punto della situazione.

Un'altra novità è la prominenza delle scene di lotta corpo a corpo e delle vecchie e tradizionali manette rispetto all'uso dei Dominator, togliendo quindi anche quel pizzico di fanservice gore tanto abusato nella prima e soprattutto nella seconda serie, un marchio di fabbrica di Urobuchi.
Quello che sicuramente non sbaglia "Psycho-Pass 3" è la scelta dei temi da trattare, attuali e scomodi come quelli dell'immigrazione e della responsabilità individuale all'interno di sistemi complessi. Sui contenuti della serie non è purtroppo però possibile esprimere giudizi finali, poiché al passare degli episodi le vicende, invece di chiudersi, si aprono ancora di più, lasciando tutto in sospeso per una quarta serie oppure per alcuni film. La critica principale a questo "Psycho-Pass 3" è infatti quella di avere sempre proceduto a rilento, dando la sensazione di brodo allungato, prospettando rivelazioni tutt'oggi non pervenute e non chiudendo decentemente nemmeno un arco narrativo.
Dal punto di vista tecnico "Psycho-Pass 3" è a un livello leggermente inferiore sia ai film che alle serie precedenti; purtroppo in alcuni episodi si vedono infatti animazioni mal riuscite.

In definitiva, "Psycho-Pass 3" è un grosso e ammirevole lavoro di world buliding che però non riesce a utilizzare i suoi personaggi in modo efficace come nell'originale, risultando nelle scene madre a volte carente del pathos a cui ci eravamo abituati.

Shiho Miyano

Episodi visti: 8/8 --- Voto 7,5
«Psycho-Pass 3», terza serie del brand e seguito della trilogia di lungometraggi «Sinners of the System», è stata trasmessa nell'autunno del 2019 e consta di otto episodi di durata doppia rispetto allo standard. Proprio la lunghezza degli episodi è una delle caratteristiche buone: consente di non spezzare troppo la storia, che è decisamente meno lineare che nelle passate stagioni, e favorisce l’immersione dello spettatore nelle vicende della nuova “Unità Uno”.

Sul piano tecnico la qualità delle animazioni è altalenante, con alcune belle scene d’azione, ben sottolineate dalle musiche, e qualche sfondo degno di nota, ma manca di una caratterizzazione forte. Incisiva è invece l’opening «Q-vism», con animazioni curatissime, contrasti cromatici forti, dominati da tricromie, e un perfetto equilibrio fra la grafica e la musica.

Le scene d’azione sono proprio la cifra di questi otto episodi: in ognuno le lotte corpo a corpo sono abbondantemente presenti; alcune volte risultano molto efficaci e belle da vedere, altre volte sono invece un po’ eccessive (quasi risultando, involontariamente, buffe).
Purtroppo i dialoghi non sono arguti e divertenti: in questa serie non ne ho trovato nemmeno uno che mi sia rimasto impresso, un gran peccato.

Di fronte alla gran mole di “nuove introduzioni” mi aspettavo qualcosa di meglio, invece i nuovi personaggi non sono così incisivi: funziona molto bene, preso singolarmente, Kei Michael Ignatov (che ben prosegue la scia di uomini affascinanti, nel bene o nel male, del brand), ma la “chimica” della nuova Unità Uno è deludente: non riesce a costruire una dinamica organica e spesso sa di già visto.
Anche le vecchie conoscenze non sono gestite al meglio: Shimotsuki, che nella seconda serie era personaggio insopportabile, ma riuscito, è trasformata qui in una sorta di macchietta (divorare caramelle da buffi dispenser è ciò che fa in metà delle scene in cui compare), mentre Kōgami, Ginoza e Tsunemori divengono comparse, quasi messe lì per “dare un contentino” agli spettatori che si sono affezionati a loro: rendono bene in scena, ma le loro apparizioni sono brevi.

Ottima la scelta dei nuovi temi introdotti: la religione e l’immigrazione. Il primo è trattato però in modo molto confuso, invece la trattazione del secondo è ben gestita, si analizza la questione da diversi punti di vista, si evidenziano gli aspetti del quotidiano così come lo sfruttamento del tema da parte dei politici (e gli episodi sulla sfida elettorale sono parecchio gustosi).
Anche gli antagonisti di questa stagione deludono parzialmente: sono introdotti con efficacia, ma poi il tema si perde e le motivazioni di questi non vengono chiarite (e il “villain” della prima serie aveva tutt'altra statura).

Purtroppo fra le nuove introduzioni c’è anche quello che ho percepito come il maggior difetto della serie: l’elemento paranormale. Trovata che boccio senza appello. Il giovane ispettore Shindō Arata, infatti, ha delle “visioni”, e con queste si aiuta nelle investigazioni. Far convivere il Sybil-Sistem e poteri ESP crea, secondo me, una grande stonatura e snatura decisamente il world building.

Pur essendo gradevole, «Psycho-Pass 3» non è riuscita a soddisfare le mie aspettative: le buone idee non mancano, ma manca la capacità di dare un senso finito alla storia nel suo insieme (o forse, visto il finale aperto, è mancata la volontà di costruire una storia conclusiva, per poter sfruttare ancora il nome, a partire dal prossimo, annunciato, film).

Globalmente il mio voto oscilla fra il 7 e il 7,5: il mezzo punto in più lo do per l’introduzione del fan-service per i gattofili e per la bellezza triste delle “zone abbandonate”.


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alessiox1

Episodi visti: 8/8 --- Voto 7,5
"Psycho-Pass 3" è la terza serie di "Psycho-Pass". Gli eventi sono direttamente successivi alla trilogia di lungometraggi “Sinners of the System”: anche se non è obbligatorio vedere i film, è fortemente consigliato, per capire meglio alcuni aspetti.
Essendo la terza serie, non starò a spiegare il ruolo del Sybil-System, e di alcuni elementi del mondo che abbiamo già visto spesso in questo franchise; passiamo ora parlare della trama.

I nostri due protagonisti sono due ispettori, ovvero Arata Shindō e Kei Michael Ignatov: i due non potrebbero essere più diversi l'uno dall'altro. Il primo è un mentalista, e quindi dotato di particolari "poteri mentali", per così dire, il secondo invece è un ex-soldato russo, ed è quindi un immigrato. Il loro rapporto è abbastanza strano, hanno uno strano legame, e questo cambierà radicalmente nel corso degli episodi; diciamo che avrei preferito che alcune cose tra di loro fossero spiegate, invece rimangono nell'ignoto, nonostante la serie non sia corta, infatti parliamo di otto episodi da quarantacinque minuti l'uno, in poche parole la possiamo considerare una serie da sedici episodi di durata standard.

Questa serie è la prima di "Psycho-Pass" dove ci troviamo di fronte a un elemento "paranormale": ammetto che a me onestamente non è dispiaciuto tanto, dato che non viene usato spesso, o comunque non basta da solo, e ha dei forti effetti collaterali, in modo da bilanciare questa abilità. Posso capire che magari a qualcuno questa cosa faccia storcere il naso.
In questa serie il ruolo del Sybil è molto diverso, da Dio supremo diventa un semi-dio o comunque uno dei tanti poteri forti nella scacchiera, magari il re, ma il re non è un Dio; diciamo che qui si vede la possibilità di scelta delle persone e, parlando di Dio, qui la religione ha un certo peso specifico. Scopriamo che prima il Sybil impediva alle persone di avere una fede, se non in esso, invece vediamo che ora il sistema ha cambiato idea, e permette alle persone di professare una religione; questo è stato accelerato dall'ingresso di immigrati in Giappone, dato che esso non è più un Paese autarchico come nella prima serie (chissà cosa ne penserebbe un certo villain...). Vediamo anche che le persone possono fare delle cose sconsigliate dal Sybil (basti pensare che il sistema era scettico nel mettere come partner i due ispettori protagonisti), e poi abbiamo la politica. Nel Giappone controllato dal Sybil si svolgono ancora le elezioni, e le due forze principali si distinguono per alcuni dettagli: una forza vuole rendere più libera l'immigrazione, il suo leader è di origini straniere, è un atleta, un ex-campione geneticamente migliorato. Dall'altro lato abbiamo una ex-idol, con alcuni segreti, che si batte per un più stretto controllo contro l'immigrazione, che vede come causa del deterioramento delle aure della popolazione autoctona.

E ora passiamo a parlare degli antagonisti: è difficile esprimere un giudizio su di loro, dato che non è ancora ben chiara la loro natura e quali siano loro obiettivi, essi sembrano avere comunque degli obiettivi molto diversi rispetto ai loro predecessori, di certo non vogliono né distruggere il Sybil né giudicarlo; avrei delle congetture, ma non vorrei fare spoiler, e quindi le terrò per me, vedendo la serie ognuno arriverà alle proprie conclusioni.

Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, diciamo che dal punto di vista grafico non è stato un capolavoro, ma neanche una schifezza, diciamo in generale una buona grafica, mentre le musiche mi sono piaciute molto, onestamente.
Per quanto riguarda invece la caratterizzazione dei personaggi, ritengo che sia stato fatto un buon lavoro, ma si poteva sicuramente fare molto meglio, visto il nome del franchise - siamo lontani dai fasti della prima serie.
Aspetto che ho apprezzato particolarmente sono stati i combattimenti, e le scene d'azione in particolare, e l'ispettore Arata che alcune volte si è comportato come faceva in passato la nostra cara Akane.

In conclusione, una terza serie abbastanza interessante, che intrattiene molto bene; è una bella serie, ma purtroppo non è un capolavoro, e, se paragonata ad altre opere del franchise, non figura molto bene, ma fa ben sperare il fatto che si prospetti una continuazione in un tempo non eccessivamente lungo.
Voto finale: 7,5

Rukia K.

Episodi visti: 8/8 --- Voto 7,5
Prima di iniziare con la recensione vera e propria, intendo precisare che non ho ancora visionato i tre film usciti nell'inverno 2019. La seconda e terza stagione, infatti, vengono allacciate da questa trilogia in cui viene spiegato come si sono evolute le carriere dei protagonisti delle precedenti serie. I film non sono indispensabili per comprendere gli eventi presentati in “Psycho-Pass 3”, tuttavia possono essere utili per comprendere i retroscena di alcuni più o meno amati personaggi. Mi riferisco per esempio ad Akane e Kougami, che in questa serie appaiono, ma solo come personaggi secondari, in quanto le loro mansioni sono cambiate. Un altro esempio, invece, è la fastidiosa Mika, che in questa serie ricopre il precedente ruolo svolto da Akane Tsunemori. Di fatto, il vuoto generato dalla mancata visione dei tre film risiede solo nel modo in cui hanno fatto carriera alcune vecchie conoscenze, in quanto i veri protagonisti di questa serie sono altri.

La storia è incentrata su due nuovi investigatori che sono stati recentemente assegnati a un'unità investigativa del dipartimento di sicurezza. Il loro compito consiste nel monitorare il coefficiente di criminalità delle persone e arrestare coloro che superano la soglia considerata accettabile dal Sibyl System, in quanto potenziali futuri criminali. Durante una delle loro normali indagini, però, si imbattono in un caso molto insolito che renderà evidente l'esistenza di un'organizzazione criminale i cui membri riescono a nascondere il loro alto coefficiente di criminalità grazie ad alcuni accorgimenti. Di conseguenza, oltre a rendere impossibile prevedere un crimine, è diventato estremamente difficile anche individuare i colpevoli. Come se non bastasse, il tutto sta accadendo nel bel mezzo di alcune elezioni politiche che fanno leva sull'odio provato nei confronti degli immigrati, rendendo ancora più difficili le indagini. I nuovi investigatori, infatti, sono Arata Shindou e un uomo proveniente dalla Russia di nome Kei, il quale sta avendo a che fare con una società sempre più oppressiva nei suoi confronti a causa della sua nazionalità.

I due sono amici d'infanzia grazie al rapporto tra i loro padri, tuttavia non potrebbero essere più diversi. Arata, infatti, è un ragazzo sveglio, ma con un carattere molto spensierato e un'abilità speciale che gli permette di mettersi nei panni delle altre persone per scoprire cos'hanno visto in un determinato momento, per esempio durante gli ultimi istanti di vita, tuttavia si tratta di un'abilità che comporta un notevole stress fisico, e per tale motivo è costretto a utilizzarla molto di rado. Kei, al contrario, è una persona molto diligente che prende molto sul serio ogni incarico, e le uniche persone a cui mostra il suo lato più sensibile sono Arata e sua moglie Maiko.

Detto ciò, la serie si concentra molto sui protagonisti e sui loro problemi personali, il che non è necessariamente un male, se non fosse che nella seconda parte della serie questo aspetto sembra essere un po' troppo rimarcato, andando in un certo senso a rovinare l'interesse per i casi investigativi. Ci tengo a precisare che il mio fastidio non è rivolto a questi problemi in sé, ma al fatto che vengono continuamente tirati in causa quasi per fare l'occhiolino alle fangirl dei ragazzi tormentati. In particolare, ritengo che gli ultimi episodi fossero eccessivamente concentrati sulla situazione di Arata, quando in realtà l'attenzione sarebbe dovuta essere su altro. Tralasciando questo, ho trovato la prima metà della serie molto interessante. I casi sono stati gestiti molto seriamente e ritengo che il picco massimo in termini di coinvolgimento sia stato raggiunto nel quarto episodio, che sotto questo aspetto ritengo all'altezza degli episodi della prima serie. In questo caso, le scene d'azione e le musiche utilizzate hanno dato luogo a una combinazione perfetta che si è protratta per almeno metà dell'episodio. Sono proprio queste le emozioni che spero sempre di trovare in un anime, ma purtroppo non sono molto frequenti. I momenti salienti dei casi successivi sono stati abbastanza interessanti, ma non allo stesso livello, dato che ho avuto quasi l'impressione che l'emozione derivasse più dalla presenza del personaggio X piuttosto che dalle sue azioni. Questa, però, potrebbe essere solo una mia impressione. La serie è interessante e ho molto apprezzato il formato in cui è stata proposta. Effettivamente, per una serie del genere è difficile ricordare tutti i particolari rivelati, dato che parliamo di episodi di quaranta minuti, tuttavia, proprio per via della loro lunghezza, ritengo che riescano a coinvolgere molto meglio lo spettatore. Al di là dei personaggi, nell'arco di questi episodi è stato trattato molto bene anche il problema relativo agli immigrati. Argomento molto sentito in molti stati come l'Italia, il Regno Unito ed evidentemente anche il Giappone. La serie, infatti, ha riportato molti esempi concreti che vengono spesso tirati in ballo nella vita di tutti i giorni, come per esempio la frequente teoria secondo cui gli immigrati tolgono il lavoro ai comuni cittadini, che viene data la priorità alla loro sistemazione e il fatto che vengono sfruttati dalla criminalità, e via dicendo.

In merito alle musiche, siamo nella media. E' stato fatto un ottimo lavoro nel quarto episodio e in qualche altra scena d'azione, ma a parte questi casi ritengo che non ci fosse nulla di eclatante. Gli episodi sono ricchi di momenti con musiche poste con un volume molto basso o addirittura privi di sottofondi sonori. Non si percepisce mai la sensazione di vuoto, ma, se ci fossero state delle musiche particolarmente belle, sicuramente non sarebbero passate inosservate.
Lato sigle ho apprezzato molto l'opening, in cui, oltre ad avere delle scene veramente ben animate, hanno scelto di utilizzare solamente colori molto saturi e in grande contrasto tra loro, creando un effetto visivo che personalmente mi piace molto. La canzone è cantata da una persona che non ha avuto altre esperienze con sigle animate, mentre l'ending è stata cantata dai Cu Shu Nie, un gruppo che non molto tempo fa si era già occupato dell'ending di “The Promised Neverland”.

Concludo sottolineando che l'ottavo episodio non conclude la serie, ma lascia la storia in sospeso, lasciando intendere che il vero finale verrà raccontato nel film annunciato per la primavera 2020, sperando che questo sia sufficiente a mettere la parola fine a questo caso. Anche se priva di finale, la serie rimane molto valida e godibile, specialmente in alcuni episodi, quindi ne consiglio la visione.