Dopo la parentesi internazionale di Le verità e Le buone stelle (rispettivamente prodotti in Europa e Sud Corea) Hirokazu Kore-eda torna in Giappone con L’innocenza (Kaibutsu), film che per la prima volta non si avvale di una sceneggiatura scritta dallo stesso autore bensì dallo sceneggiatore televisivo Yūji Sakamoto.
Il film è stato presentato per la prima volta nel 2023 in concorso al 76º Festival di Cannes, dove ha ricevuto la Queer Palm e il premio per la migliore sceneggiatura, ma ha trovato una distribuzione internazionale solo nel 2024: nel nostro Paese, il film è disponibile nei cinema dal 22 agosto 2024.
Attenzione: la recensione contiene alcuni spoiler
L’innocenza si distingue per la sua capacità di unire una narrazione densa di ambiguità con la consueta esplorazione da parte del regista della complessità dei rapporti umani. Attraverso una struttura narrativa che ricorda Rashomon di Akira Kurosawa, Kore-eda indaga le sfumature della verità e della percezione, mostrando come ogni personaggio contribuisca, dal proprio punto di vista, a svelare frammenti di una vicenda ben più intricata. La progressiva esposizione di eventi da diverse prospettive invita lo spettatore a riconsiderare costantemente ciò che è vero e ciò che è frainteso, offrendo interpretazioni multiple che sfidano le certezze iniziali.

Al centro della vicenda troviamo Saori Mugino (Sakura Andō), madre vedova esausta e angustiata dai segnali preoccupanti che Minato (Soya Kurokawa), suo figlio preadolescente, manifesta. Minato sembra chiudersi sempre più in se stesso, mostrando comportamenti inquietanti e inspiegabili, come il tagliarsi i capelli senza motivo e tornare a casa con ferite inspiegabili, tra cui un orecchio sanguinante. Saori, temendo il peggio, inizia a sospettare che il colpevole possa essere l'insegnante del figlio, Michitoshi Hori (Eita Nagayama). Il film, tuttavia, non si ferma a una semplice denuncia degli abusi in ambito scolastico, ma complica la trama quando, attraverso un ribaltamento narrativo, viene introdotta la versione degli eventi di Hori. L'insegnante sostiene infatti che Minato non sia la vittima, ma piuttosto l'aggressore, accusandolo di tormentare un compagno di classe più fragile e solitario, Yori (Hinata Hiiragi). Questo cambio di prospettiva spiazza lo spettatore e mette in discussione le prime impressioni, facendo emergere un quadro ben più complesso di quanto inizialmente percepito. Hori, a sua volta, si sente vittima di un sistema scolastico che non lo supporta, facendolo sentire abbandonato di fronte a una classe ormai fuori controllo.

La maestria di Kore-eda sta nel non limitarsi a questi due punti di vista. Il regista introduce anche la prospettiva dei due ragazzi, Minato e Yori, attraverso una serie di flashback che mostrano l’evoluzione del loro rapporto e la nascita di un’amicizia fragile, messa alla prova dalle dinamiche sociali scolastiche e dalle aspettative degli adulti. Minato non appare più solo come un potenziale bullo, ma come un giovane alle prese con sentimenti confusi e difficili da esprimere, mentre Yori, emarginato e spesso vittima di maltrattamenti, cerca di trovare il proprio posto in un mondo ostile. Le dinamiche di potere e di bullismo vengono esplorate in modo sottile, senza mai dare una risposta definitiva su chi sia davvero colpevole o innocente.
Kore-eda, noto per la sua abilità nel dirigere bambini e giovani attori e nell’affrontare tematiche parentali (Nessuno lo sa, Father and son, Little sister, Un affare di famiglia, Ritratto di famiglia con tempesta costituiscono dei precedenti esemplari), estrae interpretazioni straordinarie da Soya Kurokawa (Minato) e Hinata Hiiragi (Yori), i cui personaggi incarnano la fragilità e l’incertezza della crescita. I loro sguardi, i silenzi e le esitazioni catturano perfettamente quel momento critico della preadolescenza in cui i confini tra amicizia e conflitto, tra vulnerabilità e aggressività, sono particolarmente labili. Anche il contesto familiare di Yori, con un padre alcolizzato e violento, aggiunge ulteriori sfumature, evidenziando come le pressioni esterne possano influenzare profondamente il percorso emotivo dei ragazzi.

Nonostante la struttura a più strati e le diverse prospettive che si alternano, il film non perde mai di vista il suo nodo centrale: la necessità di comprendere e accettare le differenze, specialmente quelle dei più giovani, spesso costretti a confrontarsi con un mondo adulto incapace di vedere oltre le apparenze.
In questo senso, L’innocenza è una critica implicita alla società che tende a marginalizzare coloro che non si conformano alle norme, suggerendo che è la comunità più ampia che deve adattarsi e accogliere i "mostri" che crea (mutuando il termine dal titolo della distribuzione internazionale), piuttosto che esigere il contrario.
La regia attenta e misurata di Kore-eda è accompagnata dalla splendida colonna sonora del compianto Ryuichi Sakamoto, la cui musica ambientale sottolinea con grande delicatezza i momenti più intensi del film, aggiungendo un ulteriore strato di introspezione alla storia. Le composizioni eteree di Sakamoto si fondono perfettamente con la fotografia curata da Ryuto Kondo, che trasforma la cittadina umida e piovosa in cui si svolge la storia in un luogo quasi onirico, una sorta di spazio liminale tra il reale e il simbolico, in cui i personaggi vagano alla ricerca di risposte.

Se L’innocenza può sembrare inizialmente più complesso e stratificato rispetto ad altre opere di Kore-eda, come Un affare di famiglia o Little Sister, alla fine emerge con chiarezza la sua penetrante esplorazione della condizione umana, dei compromessi e delle ambiguità che la caratterizzano.
La scelta di concentrarsi sui preadolescenti, con tutte le loro contraddizioni e le loro sfide emotive, consente al film di affrontare tematiche universali come la crescita, l’accettazione e la ricerca della propria identità. Anche la scelta di non risolvere tutte le domande lasciate in sospeso, rafforza l’idea che la verità non sia mai univoca e che ogni spettatore possa arrivare a una conclusione personale.
Il finale, volutamente ambiguo, offre due possibili interpretazioni: una più ottimista, che suggerisce la possibilità di un nuovo inizio per i personaggi, e una più cupa, in cui la morte e il fallimento prevalgono. La stessa dichiarazione di Kore-eda, secondo cui il cast e la troupe hanno preferito la lettura più positiva, lascia comunque spazio alla libera interpretazione.

In definitiva, ciò che conta non è tanto la risoluzione del mistero quanto il messaggio sottostante: è la società, con le sue regole e le sue aspettative, a creare i veri "mostri" e solo attraverso l’accettazione delle differenze si può sperare in un cambiamento.
Il film è stato presentato per la prima volta nel 2023 in concorso al 76º Festival di Cannes, dove ha ricevuto la Queer Palm e il premio per la migliore sceneggiatura, ma ha trovato una distribuzione internazionale solo nel 2024: nel nostro Paese, il film è disponibile nei cinema dal 22 agosto 2024.
Attenzione: la recensione contiene alcuni spoiler
L’innocenza si distingue per la sua capacità di unire una narrazione densa di ambiguità con la consueta esplorazione da parte del regista della complessità dei rapporti umani. Attraverso una struttura narrativa che ricorda Rashomon di Akira Kurosawa, Kore-eda indaga le sfumature della verità e della percezione, mostrando come ogni personaggio contribuisca, dal proprio punto di vista, a svelare frammenti di una vicenda ben più intricata. La progressiva esposizione di eventi da diverse prospettive invita lo spettatore a riconsiderare costantemente ciò che è vero e ciò che è frainteso, offrendo interpretazioni multiple che sfidano le certezze iniziali.

Al centro della vicenda troviamo Saori Mugino (Sakura Andō), madre vedova esausta e angustiata dai segnali preoccupanti che Minato (Soya Kurokawa), suo figlio preadolescente, manifesta. Minato sembra chiudersi sempre più in se stesso, mostrando comportamenti inquietanti e inspiegabili, come il tagliarsi i capelli senza motivo e tornare a casa con ferite inspiegabili, tra cui un orecchio sanguinante. Saori, temendo il peggio, inizia a sospettare che il colpevole possa essere l'insegnante del figlio, Michitoshi Hori (Eita Nagayama). Il film, tuttavia, non si ferma a una semplice denuncia degli abusi in ambito scolastico, ma complica la trama quando, attraverso un ribaltamento narrativo, viene introdotta la versione degli eventi di Hori. L'insegnante sostiene infatti che Minato non sia la vittima, ma piuttosto l'aggressore, accusandolo di tormentare un compagno di classe più fragile e solitario, Yori (Hinata Hiiragi). Questo cambio di prospettiva spiazza lo spettatore e mette in discussione le prime impressioni, facendo emergere un quadro ben più complesso di quanto inizialmente percepito. Hori, a sua volta, si sente vittima di un sistema scolastico che non lo supporta, facendolo sentire abbandonato di fronte a una classe ormai fuori controllo.

La maestria di Kore-eda sta nel non limitarsi a questi due punti di vista. Il regista introduce anche la prospettiva dei due ragazzi, Minato e Yori, attraverso una serie di flashback che mostrano l’evoluzione del loro rapporto e la nascita di un’amicizia fragile, messa alla prova dalle dinamiche sociali scolastiche e dalle aspettative degli adulti. Minato non appare più solo come un potenziale bullo, ma come un giovane alle prese con sentimenti confusi e difficili da esprimere, mentre Yori, emarginato e spesso vittima di maltrattamenti, cerca di trovare il proprio posto in un mondo ostile. Le dinamiche di potere e di bullismo vengono esplorate in modo sottile, senza mai dare una risposta definitiva su chi sia davvero colpevole o innocente.
Kore-eda, noto per la sua abilità nel dirigere bambini e giovani attori e nell’affrontare tematiche parentali (Nessuno lo sa, Father and son, Little sister, Un affare di famiglia, Ritratto di famiglia con tempesta costituiscono dei precedenti esemplari), estrae interpretazioni straordinarie da Soya Kurokawa (Minato) e Hinata Hiiragi (Yori), i cui personaggi incarnano la fragilità e l’incertezza della crescita. I loro sguardi, i silenzi e le esitazioni catturano perfettamente quel momento critico della preadolescenza in cui i confini tra amicizia e conflitto, tra vulnerabilità e aggressività, sono particolarmente labili. Anche il contesto familiare di Yori, con un padre alcolizzato e violento, aggiunge ulteriori sfumature, evidenziando come le pressioni esterne possano influenzare profondamente il percorso emotivo dei ragazzi.

Nonostante la struttura a più strati e le diverse prospettive che si alternano, il film non perde mai di vista il suo nodo centrale: la necessità di comprendere e accettare le differenze, specialmente quelle dei più giovani, spesso costretti a confrontarsi con un mondo adulto incapace di vedere oltre le apparenze.
In questo senso, L’innocenza è una critica implicita alla società che tende a marginalizzare coloro che non si conformano alle norme, suggerendo che è la comunità più ampia che deve adattarsi e accogliere i "mostri" che crea (mutuando il termine dal titolo della distribuzione internazionale), piuttosto che esigere il contrario.
La regia attenta e misurata di Kore-eda è accompagnata dalla splendida colonna sonora del compianto Ryuichi Sakamoto, la cui musica ambientale sottolinea con grande delicatezza i momenti più intensi del film, aggiungendo un ulteriore strato di introspezione alla storia. Le composizioni eteree di Sakamoto si fondono perfettamente con la fotografia curata da Ryuto Kondo, che trasforma la cittadina umida e piovosa in cui si svolge la storia in un luogo quasi onirico, una sorta di spazio liminale tra il reale e il simbolico, in cui i personaggi vagano alla ricerca di risposte.

Se L’innocenza può sembrare inizialmente più complesso e stratificato rispetto ad altre opere di Kore-eda, come Un affare di famiglia o Little Sister, alla fine emerge con chiarezza la sua penetrante esplorazione della condizione umana, dei compromessi e delle ambiguità che la caratterizzano.
La scelta di concentrarsi sui preadolescenti, con tutte le loro contraddizioni e le loro sfide emotive, consente al film di affrontare tematiche universali come la crescita, l’accettazione e la ricerca della propria identità. Anche la scelta di non risolvere tutte le domande lasciate in sospeso, rafforza l’idea che la verità non sia mai univoca e che ogni spettatore possa arrivare a una conclusione personale.
Il finale, volutamente ambiguo, offre due possibili interpretazioni: una più ottimista, che suggerisce la possibilità di un nuovo inizio per i personaggi, e una più cupa, in cui la morte e il fallimento prevalgono. La stessa dichiarazione di Kore-eda, secondo cui il cast e la troupe hanno preferito la lettura più positiva, lascia comunque spazio alla libera interpretazione.

In definitiva, ciò che conta non è tanto la risoluzione del mistero quanto il messaggio sottostante: è la società, con le sue regole e le sue aspettative, a creare i veri "mostri" e solo attraverso l’accettazione delle differenze si può sperare in un cambiamento.
L’innocenza è quindi un film che invita a riflettere sulla complessità delle relazioni umane e sulla fragilità dell'infanzia, toccando corde profonde grazie a una regia raffinata e a una narrazione che si dipana con eleganza e sensibilità.
L’innocenza ~ Trailer completo in italiano
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Pro
- Messa in scena curata nei minimi dettagli
- Mosaico narrativo complesso e sfaccettato
- Sceneggiatura solida e puntuale
- Psicologia dei personaggi profonda e sviscerata
- Colonna sonora delicata e toccante
- Sapiente uso della suspense
- Arguta critica dell’istituzione scolastica e della società in generale
Contro
- La narrazione non lineare potrebbe generare confusione a uno sguardo superficiale
Passato sopra questo il film però mantiene il suo messaggio e le riflessioni che induce, per poi farle continuamente cambiare, allo spettatore. Intrattiene e cattura, specie grazie all'ottima recitazione di tutto il cast.
Gli altri punti deboli a mio avviso sono la mancanza di alcune risposte e il finale interpretabile. Concordo che ogni spettatore possa dare la propria lettura, ma questo ha senso che avvenga quando la realtà viene presentata interamente. Altrimenti è solo un espediente pigro per non tirare le somme, e lo trovo poco coraggioso (ma purtroppo molto frequente). Non dare risposte evita di scoprire i buchi di trama e non scegliere un finale evita di prendersi la responsabilità di dare un epilogo. Ed è molto ingiusto verso lo spettatore oltre che una mancanza come regia.
La fotografia e l'attenzione ai particolari sono altri aspetti degni di nota, soprattutto quando iniziamo a vedere la storia da diversi punti di vista e ci facciamo caso.
Andrei sicuramente a rivederlo, potendo.
In ultimo, anche se se ne è già discusso altrove, un commento sulla scelta del titolo. Sarà chiaro a tutti dopo la visione che la scelta di cambiare il titolo da Monster (o il suo corrispettivo kaibutsu) in L'innocenza, non sia particolarmente riuscito oltre che non necessario. Monster rende molto bene gli spunti di riflessione del film oltre ad avere diversi riferimenti al suo interno, inoltre predispone lo spettatore diversamente alla lettura di ciò che avverrà poi e dei diversi twist perché cercherà di capire questo mostro a cosa si riferisce. L'innocenza non lo fa, oltre a non aver alcun rimando nei dialoghi. Poi possiamo discutere che può avere un suo senso, ma perché scegliere un titolo diverso quando ce n'è un altro che funziona meglio e risulta più fedele?
Inoltre, se lo vedere con i sottotitoli, all'inizio del film appare il titolo del film e il sottotitolo riporta invece una traduzione formalmente sbagliata, che non è positivo. Io spero ci sia più coraggio di non infilare più gusti personali in queste scelte in futuro.
Sul finale, io l'ho visto solo positivo.
I due piccoli attori sono stati davvero bravissimi.
Comunque sia, io il finale l'ho interpretato in maniera negativa, anche se sto continuando a autoconvincermi che è positivo!
Ne ho gradito molti elementi, anche se confesso che mi ha lasciato un po' di amaro in bocca.
Pur avendo apprezzato il ricorso all'espediente Rashomon (da me personalmente adorato) non ho digerito fino in fondo il problema del finale ambiguo (che non ho capito se sia voluto o meno).
Questo elemento mi destabilizza nello specifico perché di fatto trama e tematiche prendono pieghe completamente diverse dalle premesse, in una sorta di crescendo che ha perfino un che di edenico in certi casi (senza mai scadere nel patetico).
Non che i temi e gli esiti del film siano edenici, ma il cambio di prospettiva nella narrazione, fino alla fine, diventa una specie di mondo a sé, dove tutti gli altri e le loro narrazioni spariscono o diventano solo comparse.
Questo microcosmo, dato dall'effetto Rashomon, ha qui un che di piacevolmente straniante (anche perché l'ultima ad essere presa in esame è proprio la prospettiva di due ragazzini, che per definizione vivono in un mondo tutto loro).
Questa progressiva immersione nel giardino segreto viene sempre inframezzata dal mondo fuori (quello degli adulti e degli indifferenti), che anche nell'epilogo si immischia, si impone e di fatto vìola la sacralità del luogo interiore e non.
Il problema è che questi elementi finiscono per elidersi a vicenda nel finale.
Per me esso risulta infatti stonato più tematicamente che narrativamente parlando, perché non decostruisce il vero problema, in un senso o nell'altro.
Quale che sia l'interpretazione non cambia nulla.
Che alla fine il giardino diventi un cimitero o un orizzonte di rinascita, resta il problema di partenza: l'insoluta e assordante cappa dell'incomunicabilità.
Anche se i vari mondi si permeano e si influenzano a vicenda, rimangono sempre separati. Nessuno vuole davvero capire l'altro, e si chiude in un mutismo a volte proprio fisico.
Nessuno capisce davvero cosa gli altri stanno dicendo/provando/facendo.
Tutti sono in sostanza sordi gli uni agli altri.
Fanno eccezione ovviamente i due protagonisti principali (che comunque dialogano non senza incomprensioni, dubbi e paure inevitabili).
Ma loro per paradosso "non contano" perché il loro ruolo, perno della vicenda, è proprio quello di introdurre il vulnus tematico.
Rarissimi i momenti in cui ci sono dei timidi tentativi di ascolto/dialogo con l'altro.
In particolare la scena personalmente che ho trovato più potente è quella del dialogo fra Minato e la preside nell'aula di musica.
Un vero confronto esistenziale fra due persone diverse in tutto. Tranne che nel disperato e vibrante desiderio di liberarsi da quei pesi che sono troppo per chiunque, nella necessità quasi fisica di "soffiare via" tutte le bugie, le ipocrisie e le assurdità che stroncano sul nascere anche solo l'idea di essere liberi da quei fardelli.
Un passaggio estremamente catartico nella dinamica narrativa del film, pur nell'apparente quiete e mera casualità che sembrano condurlo.
Geniale in tal senso l'idea di passare nel sottofondo di alcune scene i solfeggi stridenti dell'ottone di Minato (o della preside?), per sottolineare quanto rumore di cose non dette ci sia dietro al muro del silenzio.
Il castello dell'indifferenza e dell'incomunicabilità è così granitico e barocco da diventare eccentrico, quasi comico in certi momenti.
Personalmente non faccio fatica ad ammettere che alcune scene mi hanno strappato più di un sorriso. Sardonico e amaro ma sempre dettato dall'assistere a scene di mediocrità che sanno quasi di grottesco per l'eccesso di pretese assurde, al limite del senso logico.
Un'altra scena che mi ha fatto quasi ridere è quella in cui Minato si presenta a casa di Yori e questi si palesa all'uscio col padre alle spalle, che lo obbliga a sciorinare una versione totalmente falsa della sua "vera natura". Due secondi dopo il ragazzo riesce e dice a Minato che erano tutte bugie, e il padre lo riafferra e lo chiude in casa con violenza.
Queste due scene descrivono situazioni orribili, dove non c'è assolutamente niente da ridere. Eppure gli esiti descrivono una società così chiusa da implodere su sé stessa, una commedia così paradossale da diventare farsesca. Fa ridere per non piangere tanta è l'assurdità del contesto.
Alla fine quel mondo di sordi impermeabili ad ogni approccio di dialogo è e resta silente, estraneo, come se per certi versi non riguardasse il problema, quando invece ne è la fonte.
E se e quando ci si accorge davvero del problema, di tutto il mondo che c'era dietro, "potrebbe essere troppo tardi"(?)
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