A 83 anni, Yoshiyuki Tomino, celebre creatore e regista di Mobile Suit Gundam, rompe il silenzio in occasione degli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, raccontando in un’intervista trasmessa da NHK il filo sottile che lega la sua infanzia segnata dai bombardamenti aerei alla genesi di una delle saghe anime più iconiche di sempre.

Nato nel 1941 a Odawara, nella prefettura di Kanagawa, Tomino non si definisce un "vero testimone di guerra". Aveva solo tre anni alla fine del conflitto, eppure alcune immagini gli sono rimaste impresse: la paura vissuta nel rifugio antiaereo, le pagine strette dei suoi amati libri mentre correva a mettersi in salvo, la morte del vecchio padrone di casa per una bomba incendiaria: "Ricordo bene anche quando correvo verso il rifugio stringendo un paio dei miei libri illustrati preferiti. Inoltre, ho visto la scena in cui il vecchio padrone di casa, che mi voleva bene, è morto quando una bomba incendiaria è esplosa mentre cercava di spegnerla. Probabilmente è successo un mese prima della fine della guerra"

 

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Episodi che non si cancellano e che, con il tempo, hanno assunto un significato più profondo.

Solo dopo vent’anni ho capito che il rombo dei B-29 faceva parte della mia normalità infantile”, ha spiegato. “Ma chi non ha vissuto la guerra, per me, la racconta come una favola”.

Ed è proprio per evitare questa narrazione superficiale che Tomino ha creato qualcosa di radicalmente diverso: Mobile Suit Gundam, l’anime che nel 1979 cambiò per sempre la fantascienza giapponese. Lontano dalla tradizione degli "eroi buoni contro cattivi cattivissimi".

"All’epoca, i produttori pensavano che non fosse giusto mostrare storie di guerra ai bambini. A causa dell’esperienza della sconfitta, si tendeva istintivamente a evitare il tema. I caccia sono pilotati da una sola persona, no? Ecco perché i miei mobile suit sono piccoli, alti circa 20 metri: la grandezza di un aereo da combattimento"






Gundam metteva in scena guerre tra uomini, tra eserciti, tra stati, con tutte le loro ambiguità e tragedie.

Non volevo alieni come nemici”, dice. “Volevo mostrare come funziona davvero una guerra. Per costruire un mobile suit, serve una filiera industriale, una produzione di massa, un’economia di guerra. Dietro ogni robot c’è uno Stato”.

Questa ricerca di verosimiglianza non si ferma alla geopolitica, ma si estende ai sentimenti umani. Emblematica è la figura di Cucuruz Doan, soldato disertore che rappresenta, secondo Tomino, la consapevolezza che la sopravvivenza a volte passa per il superamento del pensiero unico e la realizzazione della sconfitta.

Persino l’iconica scena finale della prima serie, con il protagonista Amuro che galleggia nello spazio verso la salvezza, è figlia di un pensiero storico: “Pensavo ai soldati giapponesi affondati nel Pacifico, a chi poteva essere salvato e chi no”.

Ma oggi, l’inquietudine di Tomino cresce. La realtà ha superato la finzione. “Ai miei tempi immaginavo un futuro con guerre tra robot pilotati, ma ora ci sono i droni e le armi autonome. Gli esseri umani sembrano persino di troppo. È come se combattessimo solo per creare delle belle immagini da trasmettere al mondo”.

 

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Eppure, il regista non si arrende alla rassegnazione. Anzi, parla del bisogno
urgente di “tornare a pensare”. Preoccupato per un pubblico che consuma i suoi modelli in plastica senza riflettere sul significato profondo della storia che li ha generati, si augura che nuove voci raccolgano il testimone.

Io non sono un educatore”, ammette, “ma spero che qualcuno riesca a comunicare ciò che io ho potuto solo accennare”.

Infine, un accenno al futuro. Tomino, che non ha mai smesso di creare, rivela di lavorare a un nuovo progetto, stavolta senza nemici: “Forse il vero nemico è l’umanità stessa, che vive sulla Terra senza rendersene conto. Ma questa è una storia che solo l’animazione può raccontare”.

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