Le produzioni giapponesi degli anni '80 sono sempre state caratterizzate da una grande influenza di tematiche tipicamente occidentali, che si intersecavano con altre, tipicamente nipponiche. Si pensi, ad esempio, ad Akira Toriyama e al suo Penguin Village, un paesello che più giapponese non si può, rurale e antiquato, simbolo di una bucolica "giapponesità" ma anche occasione d’oro per prendersi gioco di stereotipi e modelli che giungevano invece dai film americani. Oppure, per restare con Akira Toriyama, al suo Dragon Ball, che unisce la sua passione per i film d’azione americani e le loro ambientazioni fatte di metropoli futuristiche e teppisti a tematiche tipicamente orientali come la leggenda del Saiyuki o le arti marziali. Oppure, a Hokuto no Ken di Tetsuo Hara e Buronson, che, in un setting che strizza a più riprese gli occhi ai film, alle mode, al wrestling americano degli anni ’80, ambienta una storia incentrata su una concezione delle arti marziali e del tramandarsi di queste discipline tramite anziani eremiti e scuole di combattimento tipicamente orientale.

Ci sono poi due opere che sono ancora più rappresentative di questa dicotomia. Una di queste è Sakigake!! Otoko Juku!! di Akira Miyashita, che mostra a chiare lettere, tramite i nerboruti studenti e insegnanti della sua bizzarra scuola dei veri uomini, il confronto tra le tradizioni del Giappone e l’invasione culturale del modello occidentale. L’altra è Kimagure Orange Road di Izumi Matsumoto, una commedia adolescenziale ambientata in un universo giovanile dettagliatissimo e talmente influenzato da mode, sport, musiche, bevande, film occidentali da farne dimenticare quasi la giapponesità.
 
Kiss me Licia: e l'okonomiyaki s'innamorò del rock!

Aishite Knight sta nel mezzo, esprimendo gli anni '80 in una maniera che ricorda entrambe queste opere e sviluppando le influenze occidentali in maniera più moderna rispetto alla maggior parte degli shojo manga suoi contemporanei, i quali invece mostravano sì l’Occidente, ma un Occidente passato, da libro di storia, a volte puntigliosamente descritto (come nel caso delle opere di Riyoko Ikeda), a volte solo abbozzato, romanzato e molto idealizzato (come nelle opere di Yumiko Igarashi), per farne lo sfondo di grandi e tragiche storie d’amore da feuilleton.

La serializzazione di Aishite Knight (Ai shite naito) comincia nel 1981 sulle pagine della rivista Margaret di Shueisha, dove si protrae poi fino al 1983, venendo poi raccolto in sette volumetti. Alle matite c’è Kaoru Tada, una delle autrici di shojo manga più conosciute e amate del Sol Levante, purtroppo tristemente deceduta, a causa di un incidente domestico, nel 1999. Ciò che salta subito all’occhio, approcciandosi ad Aishite Knight, è, appunto, la sua ambientazione, dato che la storia si svolge in epoca moderna e in Giappone, a Osaka, non in America o in chissà quale paese dell’Europa ottocentesca com’era da prassi per gli shojo manga di quel periodo.

Protagonista della vicenda è Yaeko “Yakko” Mitamura, una ragazza come tante che si divide fra le lezioni all’università serale e il lavoro nell’okonomiyakiya Mambo, gestita dal suo burbero e tradizionalista padre Shige-san. La vita di Yakko cambierà radicalmente grazie all’incontro con Hashizo Kato, un buffo bimbo di 5 anni che gira sempre con un grosso e truce gatto di nome Giuliano. La ragazza fa immediatamente amicizia col bambino, e questo la porterà a conoscere il di lui fratello maggiore: Go, un ragazzo sfrontato e spregiudicato ma dal grande fascino, che porta i capelli tinti di biondo con un bel ciuffo rosso e un vistoso tatuaggio sul braccio, indossa giacconi di pelle e cinture borchiate ed è piuttosto libertino con le donne ma si prende amorevolmente cura del fratellino a cui fa da padre. Cosa più importante, inoltre, Go è il vocalist dei Beehive, una boyband che sta ottenendo un crescente successo, diventando l’idolo dei giovani e una nascente stella della rock music.

Tra Yakko e Go nasce immediatamente un reciproco interesse, ma questo comporta svariati problemi. Primo fra tutti il fatto che Yakko interessa anche a Satomi Ohkawa, il femmineo e gentile tastierista dei Beehive dalla vaporosa chioma viola, e questo dà il via ad un tormentato triangolo amoroso fra i tre ragazzi. In secundis, quale dei due ragazzi Yakko scelga, pensate davvero che l’irascibile Shige-san, che (da fervente sostenitore delle tradizioni nipponiche e degli enka) detesta quella musicaccia moderna fatta di schiamazzi e quei cantanti capelloni ed effeminati, concederà mai a chiunque dei due la mano dell’amata figliola?
 
Kiss me Licia: e l'okonomiyaki s'innamorò del rock!

Inizia così una delle love stories più celebri degli anni ’80, che deve la sua popolarità in primis, appunto, al fatto di aver portato un po’ di realismo e modernità nel genere shojo. L’ambientazione e i personaggi di Aishite Knight, difatti, permisero ai lettori dell’epoca una quasi totale identificazione, nonché la trattazione di tematiche e problematiche che li riguardavano in prima persona. Il gruppo dei Beehive ricorda infatti moltissimi gruppi musicali dell’epoca. L’esempio più palese è l’ispirazione ai Novela, rockband di Osaka realmente esistente e operativa in quegli anni, ma ci vuol poco ad inquadrarli in un periodo dove la scena musicale occidentale era popolata da boyband di questo tipo (si pensi ai Duran Duran o agli Spandau Ballet).

La grande intuizione di Kaoru Tada è quindi questa. Perché soltanto le ragazze occidentali potevano sposare Simon Le Bon? Aishite Knight dà anche alle adolescenti del Sol Levante la possibilità di ritrovarsi in un modello occidentale, ma perfettamente calato in un contesto nipponico. Il mondo di Aishite Knight, infatti, è perfettamente riconoscibile come il Giappone e del suo essere il Giappone ne fa il suo punto di forza, poiché così la storia può assumere connotati ben precisi. La love story tra Yakko e Go non è soltanto una storia d’amore, ma è un simbolo, l’incontro tra due differenti visioni della vita, nonché dei due diversi aspetti che da sempre caratterizzano il Giappone: il rispetto per le tradizioni e l’avanzare verso la modernità. Nella figura di questi due amanti, una dolce ragazzina che lavora in un’okonomiyakiya e una spregiudicata rock star, rivivono tutte le contraddizioni del Giappone stesso, contraddizioni che vengono bellamente esemplificate anche dalle innumerevoli e comiche scenate fra Yakko, attratta dalla modernità, e papà Shige-san, ferreo araldo della tradizione.

L’universo narrativo di Ai shite knight si dimostra quindi qualcosa di profondamente diverso rispetto agli shojo in voga all’epoca. E’ un mondo realistico, popolato da una moltitudine di personaggi diversissimi fra loro che potenzialmente si potevano ritrovare per davvero, per le strade, le scuole, i negozi e le live house di Osaka, e che riescono a bucare le pagine e ad imporsi al lettore con gran simpatia malgrado lo stile sgraziato e particolarissimo con cui sono disegnati. È un microcosmo giovanile fatto di ambiguità sessuale, capelli cotonati e colorati, borchie, giacche in pelle, musica rock, dischi in vinile, telefonate dalle cabine pubbliche, abiti molto appariscenti e un po’ trash. Kaoru Tada riesce a rappresentare con realismo e senza strafare una realtà adolescenziale indiscutibilmente anni ’80 e di stampo occidentale, ma perfettamente calata in un contesto giapponese, con mille e più tradizioni indiscutibilmente nipponiche a far da contraltare ai giovani e alle loro mode di influenza occidentale.

La serie si rivolge ad un pubblico adolescenziale ma strizza spesso e volentieri gli occhi a lettori più adulti, presentando spesso personaggi maschili ambigui e ammiccamenti (sia chiaro, privi di volgarità e soltanto per rendere l’atmosfera) alla sfera sessuale, e riesce subito ad ottenere un buon successo, che le garantirà svariate ristampe nel corso degli anni e la produzione di una serie animata, nonostante i lettori giapponesi le abbiano poi preferito nel corso degli anni la successiva più longeva Itazura na Kiss, tra le opere della Tada.

BABY, SUL VOLTO TUO C’È SEMPRE UN BEL SORRISO, MA PER CHI?
 
Kiss me Licia: e l'okonomiyaki s'innamorò del rock!

La serie televisiva di Aishite Knight viene prodotta da Toei Doga e TV Asahi nel 1983 e dura fino al 1984 per un totale di 42 episodi. La regia è di Osamu Kasai e l’anime può vantare diversi grandi nomi fra lo staff, primo fra tutti Joe Hisaishi, l’acclamato compositore delle soundtrack di diversi lungometraggi dello Studio Ghibli, che si occupa di dare sonorità reali alle canzoni dei Beehive, riuscendo a creare dei pezzi rock convincenti e di grande effetto. A seguire, abbiamo, tra gli sceneggiatori, nientemeno che Sukehiro Tomita, autore di successo che ha lavorato a serie celeberrime come Sailor Moon, Yu Yu Hakusho, Kaiketsu Zorro e Wedding Peach. Infine, tra i character designer che hanno lavorato alla serie, occupandosi di rendere più “presentabili” i particolarissimi e sgraziati personaggi disegnati da Kaoru Tada, abbiamo due personalità che non hanno certo bisogno di presentazioni: Shingo Araki e Michi Himeno, il magico duo che ha donato il successo, con il proprio magnifico stile, a Saint Seiya, a Lady Oscar, a Yu-gi-oh Duel Monsters, a Babil Junior. Araki e la Himeno si rivelano essere la scelta più azzeccata per rappresentare l’ambiguità sessuale e le chiome fluenti delle rockstar uscite dalla matita di Kaoru Tada, donando ai pochi episodi firmati da loro due in prima persona una marcia in più rispetto al resto della serie, che si attesta comunque su ottimi livelli qualitativi.

A dar la voce ai personaggi vengono chiamati doppiatori di altissimo livello come Mitsuko Horie (Galaxia in SailorStars, Hilda in Saint Seiya, Obocchaman in Dr. Slump) che dà la voce a Yakko, Isao Sasaki (Joe il Condor in Gatchaman, Hajime Saito in Starblazers) che interpreta Go, Katsuji Mori (009 in Cyborg 009, Nephrite in Sailor Moon, Goji Akashi in Sakigake!! Otoko Juku!!) che interpreta Satomi, Yuko Mita (Turbo e Tsururin in Dr. Slump, Akemi in Maison Ikkoku, Benten in Lamù) nel ruolo di Hashizo e Takeshi Aono (Piccolo in Dragon Ball, Hadler in Dai no daibouken, Mihawk in One Piece) nel ruolo di Shige-san, senza contare ulteriori grandi nomi come Chiyoko Kawashima, Hideyuki Hori e Kaneto Shiozawa, che danno la voce a diversi personaggi secondari.

Le differenze con il manga sono molteplici, in primis uno spostamento del setting da Osaka a Tokyo e un abbassamento del target di riferimento, che vede smorzare un po’ i toni e sparire molti degli ammiccamenti più piccantelli che erano presenti su carta. La narrazione della serie animata si fa più dilatata, inserendo molti episodi riempitivi e modificando parecchio gli avvenimenti presenti nel manga. Un importante accento viene posto su Hashizo e Giuliano, che ricoprono uno spazio molto maggiore che nel manga e diventano, insieme a Shige-san, l’elemento comico principale della storia, e a molti personaggi che nel manga venivano solo accennati, come Meiko, una ragazza innamorata di Satomi che si trova in contrasto con Yakko, viene donato un ruolo molto più approfondito.
 
Kiss me Licia: e l'okonomiyaki s'innamorò del rock!

L'anime non ricopre tutti gli avvenimenti del fumetto, tagliando fuori gran parte delle vicende degli ultimi volumi, ma, nel suo essere molto distante dalla vicenda cartacea di riferimento, si dimostra comunque una serie di pregevole fattura e molto appassionante. Pare, tuttavia, che la programmazione della serie animata non abbia ottenuto poi chissà quale strabordante successo, dimostrandosi un flop. Sembra strano a dirsi, soprattutto considerando il grandissimo successo che la serie ottenne invece all’estero, e il fatto che comunque ad Aishite Knight dedicarono parecchio merchandising, in patria, come anime comics, ben tre romanzi con le illustrazioni originali della Tada, giochini elettronici, bambole e giocattoli vari e, soprattutto, una serie di LP e 45 giri che raccoglievano le due sigle della serie (la frizzante "Koi wa Totsuzen", cantata dalla stessa Mitsuko Horie, e la divertente "Boku no Giuliano", cantata dalla doppiatrice di Hashizo) e le molte canzoni dei Beehive. Il flop della serie animata condizionò non soltanto l’andamento della stessa, che fu chiusa con un finale un po’ affrettato e differente da quello del fumetto, ma anche i paesi esteri, dove invece la serie andava forte, e che reagirono alla mancanza di una seconda stagione in una maniera del tutto personale…

IN UN GIORNO DI PIOGGIA ANDREA E GIULIANO INCONTRANO LICIA PER CASO…
 
Kiss me Licia: e l'okonomiyaki s'innamorò del rock!

È il 1985 quando la serie animata di Aishite Knight giunge in Italia, trasmessa dalle reti Mediaset. Le differenze con la versione originale saltano subito all’occhio a cominciare dal titolo stesso, che viene trasformato in Kiss me Licia. La maggior parte dei nomi dei personaggi, ad eccezione di Satomi, Sheller e ovviamente Giuliano, furono italianizzati come si usava in quel periodo, con risultati spesso azzeccati spesso di dubbio gusto. La protagonista Yakko fu trasformata in Luciana, detta Licia, mentre il protagonista maschile Go divenne Mirko, Hashizo divenne Andrea, mentre Shige-san divenne Anacleto Marrabbio. Anche i personaggi secondari ottennero un similare trattamento, popolando l'universo narrativo della serie di nomi ora "normali" come Elisa, Marina, Katia, Manuela, Tony e Marika, ora più stravaganti come Steve, Matt, nonno Sam, Lauro, Yatas o Grinta.

Nonostante la serie divenne così popolata da personaggi che portavano un pot-pourri di nomi ora italiani, ora inglesi, ora giapponesi, si disse chiaramente, cosa rara per quei tempi, che la storia era ambientata a Tokyo, si citarono nomi come Osaka, samurai, Kansai e nomi di feste tradizionali giapponesi e non si fecero tagli di alcun genere alle scene che mostravano ideogrammi, né tantomeno si tagliarono scene dove i personaggi (sia maschili che femminili) si facevano docce o bagni, cosa che invece fu effettuata ad altre serie di quel periodo. L'unico tipo di censura effettuata, oltre al cambiamento del nome della serie e dei personaggi e l’eliminazione delle sigle originali, fu un leggerissimo ammorbidimento dei dialoghi, in particolar modo quelli legati all’ambiguo cantante Sheller, ma fu davvero poca cosa al confronto di ciò che subirono, ad esempio, Orange Road, Marmalade Boy o Sailor Moon.

A Yakko/Licia diede voce Donatella Fanfani (Hilda in I Cavalieri dello Zodiaco, Yu/Creamy in L’incantevole Creamy, Sailor Jupiter in Sailor Moon), mentre Go/Mirko fu doppiato dalla voce decisa e professionale di Ivo De Palma (Seiya/Pegasus in I Cavalieri dello Zodiaco, Pop/Daniel in Dragon Quest), Satomi dal rassicurante Gabriele Calindri (Nettuno in I Cavalieri dello Zodiaco, Kazuya/Kim in Touch, Joe Higashi nei film di Fatal Fury) e Hashizo/Andrea dal compianto Paolo Torrisi (Mowgli in Il libro della giungla, Goku adulto in Dragon Ball, Koby in One Piece). Anche molti altri doppiatori molto celebri dell’epoca come Alessandra Karpoff, Antonio Paiola, Riccardo Mantani, Federico Danti, Sergio Romanò e il compianto Franco Gamba parteciparono, interpretando personaggi secondari. Pietro Ubaldi (Tom in One Piece, Artemis in Sailor Moon, Senbei in Dr. Slump) diede la voce sia al burbero Shige-san/Marrabbio, sia al gatto Giuliano, mostrando un’incredibile versatilità.
Una scelta particolarmente azzeccata dei nostri adattatori, che determinò nel suo piccolo il gran successo della serie, fu infatti quella di dar voce a Giuliano, che in originale emetteva unicamente miagolii mentre nella versione italiana si lasciava spesso e volentieri andare a spassosissimi commenti parlati o ad occasionali esibizioni canore, in italiano, in inglese o in diversi dialetti nostrani.
 
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Le sigle d’apertura e chiusura originali furono sostituite da un brano intonato, come di consueto, da Cristina D’Avena, che accompagnava un video creato mescolando spezzoni degli episodi e della opening originale. Questo, tuttavia, portò a un curioso problema, dato che, nella opening originale, Yakko era bionda, mentre negli episodi aveva i capelli castani.
Nulla di strano, se si pensa che Yakko è bionda, nel manga. Probabilmente i responsabili della serie animata decisero solo in un secondo momento, e dopo aver creato la sigla, di farla castana (forse per fare più contrasto coi biondi capelli del partner Go).

Tuttavia, è bene citare una bizzarra leggenda metropolitana che si diffuse negli anni, ossia quella che "la Licia bionda"” della sigla non fosse Licia/Yakko, bensì una ragazza che compariva in appositi siparietti che in Giappone andavano in onda dopo gli episodi e che si prefiggevano il compito di impartire insegnamenti di educazione sessuale ai telespettatori. Naturalmente, va da sé che si tratta di una diceria e che, come si può facilmente intuire, quei siparietti, semmai siano davvero esistiti, non debbano essere altro che le anticipazioni degli episodi successivi. In Italia, al tempo della prima messa in onda, nessuno conosceva il manga e la sua Yakko dai capelli biondi, quindi la leggenda trovò fertile terreno dove piantare le sue radici…

La sigla italiana di Kiss me Licia è probabilmente uno dei più celebri pezzi di Cristina D’Avena, che viene ricordato da tutti e sempre riproposto nelle esibizioni e negli album della cantante.
Tanto è il successo di questa canzone che l’LP singolo che la contiene si trova al ventiquattresimo posto dei 100 singoli più venduti in Italia a cavallo tra il 1985 e il 1986. Essendo una serie basata sulla musica, a Kiss me Licia venne affidata particolare cura per la colonna sonora. I numerosi pezzi dei Beehive e del gruppo rivale Kiss Relish furono adattati in italiano (salvo un paio che ci siamo persi per strada) mantenendo la base originale, eseguiti dalla magnetica voce di Vincenzo Draghi, che si occupò di cantare nel ruolo di Go/Mirko e di Sheller.
Alle canzoni della serie (i brani dei due gruppi coinvolti, la sigla italiana e un paio di pezzi cantanti sulle basi delle sigle originali giapponesi, più versioni strumentali varie) fu dedicato un altro album, Kiss me Licia e i Beehive, che risultò al settantesimo posto nella classifica dei 100 dischi più venduti nel nostro paese nell’anno 1986 con più di 80.000 copie vendute. Oltre a questi dischi, alla serie animata furono dedicati svariati oggetti di merchandising prodotti nel nostro paese, come album di figurine, un libro illustrato, fotoromanzi con i fotogrammi dell’anime “dialogati” pubblicati sul Corriere dei Piccoli e una collana di videocassette da edicola.
 
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Anche il manga originale arrivò nelle nostre edicole e fumetterie, tra l’estate del 2002 e l’inverno del 2003. Pubblicato dall’editore Star Comics, fece da apripista a tutta una serie di titoli "d’annata" (Rocky Joe, Ransie la strega, Hilary, Mila e Shiro) che videro la loro prima pubblicazione italiana in quel periodo. Una seconda edizione è stata pubblicata, insieme ad altre opere della stessa autrice, da Goen tra il 2012 e il 2013. Il titolo scelto per l’edizione italiana è Love me knight, scegliendo la prima delle due possibili traslitterazioni di "Ai shite naito" (laddove quel "naito" può indistintamente essere adattato come "knight", che è la traslitterazione qui usata, oppure come "night").

LOVE ME, LICIA
 
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I responsabili della fascia ragazzi dell’allora Fininvest ci credevano poco, eppure, in quell’autunno del 1985, la love story tra la figlia del cuoco di okonom… pardon, polpette di maiale e la rockstar dal ciuffo rosso conquistò chiunque, tenendo incollati alla tv più di quattro milioni di telespettatori. La storia creata da Kaoru Tada incantò milioni di adolescenti, nel nostro paese, i quali si ritrovavano nell’universo giovanile dipinto dalla serie tv, perché con Licia e Mirko condividevano gli interessi, i gusti musicali, i problemi, i sentimenti. L'inaspettato successo della serie animata le valse ben cinque passaggi in tv consecutivi e persino una trasmissione in orario preserale, cosa oggi impensabile. È una serie che è entrata nella memoria collettiva di chi ha vissuto, anche solo di striscio, la storia della tv per ragazzi italiana negli anni ’80, e che viene spesso e volentieri tuttora replicata dalla Mediaset nonostante sia una storia troppo inscindibilmente legata agli anni ’80 e, quindi, poco appetibile per le nuove generazioni.

A fronte dell’insperato successo riscosso dalla serie animata, e dei moltissimi fans che ne richiedevano una continuazione, dato il finale poco soddisfacente dell’anime, la responsabile della fascia ragazzi di allora, Alessandra Valeri Manera, arrivò a richiedere alla Toei Animation, in Giappone, la produzione di nuovi episodi. La risposta, naturalmente, fu negativa, dato che, in Toei, Aishite Knight era una serie già bella che conclusa da anni, archiviata e per giunta bollata come flop. Come fare, allora? Ci si era ritrovati nella paradossale situazione in cui la serie aveva riscosso più successo all’estero (in Italia e in altri paesi come Francia o Spagna dove era giunta col nostro adattamento) che in patria, e, nonostante tutto questo successo, non si poteva continuarla.
Per risolvere il problema, si prese una decisione rischiosa ma anche, a suo modo, geniale e bizzarra.
 
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Aishite Knight aveva concluso il suo percorso, ma Kiss me Licia sarebbe continuato. Come è possibile, direte voi? Consci dell’impossibilità di convincere Toei a produrre ulteriori episodi per il solo mercato italiano, si decise di far continuare la storia in casa nostra, non sotto forma di cartone animato bensì in quella di sit-com con attori in carne ed ossa. Esordisce così nel 1986 Love me Licia, telefilm basato su Kiss me Licia, che ne offriva una prosecuzione delle vicende in versione live.
La regia è di Mario Cavazzuti e Francesco Vicario, la sceneggiatura e i testi sono di Stefano Vicario e Alessandra Valeri Manera.

La storia viene ripresa da dove la conclusione dell'anime l’aveva lasciata, ma prosegue con vicende tutte nuove introducendo persino nuovi personaggi e mostrando, finalmente, il tanto atteso matrimonio tra i due protagonisti. Nel produrlo, fu spesa una cura maniacale affinché si riproducessero alla perfezione gli ambienti, i costumi, le pettinature dei personaggi, che risultavano così assolutamente identici a quelli del cartone animato. Gli attori scelti per interpretare i personaggi furono esordienti oppure personalità più o meno note della tv per ragazzi del periodo. La protagonista Licia fu interpretata da Cristina D’Avena in persona, cosa che contribuì a rafforzarne la popolarità, Mirko era Pasquale Finicelli, Satomi l’americano Sebastian Harrison, Andrea il piccolo Luca Lecchi, Marrabbio il doppiatore Salvatore Landolina. Inoltre, parteciparono al telefilm, in ruoli più o meno rilevanti, molti personaggi importanti della tv per ragazzi di quel periodo, come Carlotta Pisoni Brambilla, Marco Bellavia, Debora Magnaghi, Emanuela Pacotto, Antonio Paiola, Federico Danti, Augusto Di Bono, Stefano Albertini, Sante Calogero, Mario Scarabelli, Manuel De Peppe, Luigi Rosa, Paola Tovaglia, e anche personaggi importanti della tv “adulta” come Emanuela Folliero, Corrado o Federica Panicucci.

Tutti gli attori, tuttavia, venivano doppiati, ottenendo le stesse voci che avevano nella versione animata (quindi Donatella Fanfani, Ivo De Palma, Pietro Ubaldi, Paolo Torrisi, ecc...), e ovviamente anche le canzoni venivano eseguite da Vincenzo Draghi, come nella serie a cartoni animati. L'ambientazione, sebbene fosse molto fedele all’anime, fu spostata in Italia (ovviamente non potevano creare okonomiyaki, torre di Tokyo o cose così specificatamente giapponesi dal vivo e in Italia) e le trame furono più semplificate rispetto alla storia originale, ma il telefilm si rivelò essere un successo.
 
Kiss me Licia: e l'okonomiyaki s'innamorò del rock!

Inizialmente pensato in 35 episodi, a fronte dei grandissimi ascolti (più di tre milioni di spettatori a puntata), fu proseguito per altre tre serie, una per anno. Nel 1987 è quindi la volta di Licia, dolce Licia. Seguono poi Teneramente Licia nel 1988 e Balliamo e cantiamo con Licia nel 1989, per un totale di oltre cento episodi. Per ogni serie vennero realizzate, oltre che le rispettive sigle sempre ad opera di Cristina D’Avena, molteplici nuove canzoni, spesso e volentieri eseguite dalla stessa Licia/Cristina D’Avena, che ad un certo punto della storia, con la scusa, fu fatta entrare nel gruppo dei Beehive come voce femminile.
Furono prodotti nuovi album, uno per ognuna delle quattro serie del telefilm più un "best of", Il meglio di Kiss me Licia e i Beehive, uscito nel 1991. Gli album vendettero moltissimo e quello tratto dalla prima serie del telefilm, Love me Licia e i Beehive, divenne anche disco di platino nel 1986.

Assieme ai dischi, giunsero anche un album di figurine, nonché articoli e poster relativi al telefilm nelle riviste specializzate in programmi televisivi o dirette ad un pubblico giovane dell’epoca. Concluse le avventure di Licia, nel 1988, Cristina D’Avena continuò poi a recitare in tv per altri quattro anni, con Arriva Cristina, un telefilm in quattro stagioni che la vedeva come protagonista, affiancata anche stavolta da celebri nomi della tv per ragazzi come Marco Bellavia, Enrico Bertorelli, Giulia Franzoso, Grazia Migneco e Giovanni Battezzato. I telefilm di Licia sono poi stati replicati spesso e volentieri durante le ore notturne nel corso degli anni e sono profondamente scolpiti nella memoria di chi visse quegli anni, dimostrandosi non soltanto un valido esempio di televisione per ragazzi di qualità, ma un esperimento unico nel suo genere, che ha contribuito a cementare la popolarità della storia inventata da Kaoru Tada nel nostro paese e in altri paesi europei, come la Spagna, dove i nostri telefilm sono ancora oggi invidiati e ricercatissimi dai vecchi fan.

Chiunque oggi abbia "un bel po' di primavere alle spalle", se pensa a Kiss me Licia, non può che ricordare anche i telefilm, e, involontariamente, tradirà un sorriso nostalgico.