La guerra delle balene: un articolo per fare il punto su quello che succede ai cetacei e sul controverso rapporto del Giappone con questi imponenti mammiferi.

belena che piange

La Commissione Baleniera Internazionale lascia lo status quo, non decide nulla
La Commissione Baleniera Internazionale (IWC, International Whaling Commission), istituita nel 1946, cerca di regolare la cattura di balene. La 62ª e ultima riunione si è tenuta a fine giugno in Marocco, ad Agadir, e la sera del 25 giugno si è conclusa. Il risultato? Giorni di discussioni e un nulla di fatto. Si è provato a trovare un punto d'incontro, proponendo la legalizzazione dell'attività di caccia, ma con un tetto limite di esemplari. Il cosiddetto “compromesso”.
Questo cosa significa? Di fatto, nell’incontro si è confermata la moratoria sulla caccia ai cetacei, che è in vigore già dal 1986, senza però spuntare nuovi accordi o impegni dalle nazioni incriminate: Giappone, Norvegia e Islanda (queste ultime due dichiarano esplicitamente di sottrarsi alle norme stabilite dalla stessa Commissione, non si nascondo dietro alla scusa delle ricerca). Tali nazioni continuano a cacciare indisturbate, nonostante le pressioni del fronte contrario, in cui sono presenti Stati Uniti, Brasile ed Europa, compresa l’Italia.

viti IWC- piccolo

Ma perché l’IWC non ha deciso? Il Giappone compra il voto dei paesi poveri
La commissione baleniera appare paralizzata e del tutto delegittimata, corrotta da mazzette ed escort. Almeno questi sono i risultati di un’inchiesta del Sunday Times, poi rimbalzata su tutti i media del modo, la quale ha portato alla luce lo scandalo, dimostrando come all'IWC almeno sette Paesi (Guinea, Kiribati, Tuvalu, Isole Marshall, St. Kitts and Nevis, Grenada, Tanzania) votino in base al versamento di somme di denaro concesse da Paesi, come il Giappone, che in questo modo ne orientano la posizione sul tema.
Greenpeace rincara la dose, dicendo: “Le balene non sono in vendita. È stato il messaggio che abbiamo inviato ai membri dell’IWC. Perché con promesse di soldi e corruzione i paesi balenieri cercano ogni anno di raggiungere la maggioranza”.

statistica caccia alle balene - piccolo

La situazione attuale e la moratoria esistente, violata
Dal 1986 è in vigore una moratoria sulla caccia commerciale alle balene, ma il divieto viene aggirato ricorrendo al pretesto della caccia a fini scientifici. Il programma di ricerca scientifica giapponese, che dispiega nell'Antartico un flotta di sei baleniere, nasconde in realtà la caccia commerciale che è ufficialmente vietata dalla IWC. La carne di balene finisce nei supermercati, mercati e ristoranti specializzati, anche se sono davvero in pochi a mangiarla.
In realtà, anche la Commissione Baleniera Internazionale ha riconosciuto l'inutilità di questo tipo di ricerca, chiedendo al governo giapponese di fermarsi.

Un po’ di numeri e statistiche
Secondo una ricerca del 2003 del biologo marino Steve Palumbi della Stanford University, che si è basato sulle analisi di campioni di DNA per analizzare il numero delle popolazioni di balene, nell'Ottocento, prima dell'inizio della caccia commerciale, c'erano circa un milione e mezzo di megattere. Questa stima smentisce la stima ufficile di 100.000 esemplari, considerata attendibile dalla IWC, mentre sempre secondo quest’ultima oggi gli esemplari rimasti sono solo 20.000.
I delegati giapponesi alla IWC, invece, insistono sempre su una stima del 1990, secondo cui ci sarebbero 760.000 esemplari di balenottera minore. Ma questo dato è stato smentito dalla stessa IWC nel 2000.

Nel 2009 il Giappone ha pescato 1.004 balene, la maggior parte sotto l’etichetta di caccia “a fini scientifici”. Nello stesso anno, la Norvegia ha catturato 536 balene e l’Islanda 38. Quest'anno i giapponesi hanno in programma di uccidere anche 50 megattere e 50 balenottere comuni, oltre alle cosiddette “balene minori”.

L’Australia cita il Giappone alla Corte Intarenazionale dell’Aja, la Nuova Zelanda ci sta pensando
santuario dei cetacei australiano Per comprendere le tensioni tra Australia e Giappone, bisogna premettere che gli australiani considerano il whale-watching (osservazione e avvistamento) una bandiera nazionale, ripudiano una ricerca scientifica che uccide i cetacei, e vedono come una loro missione prioritaria la protezione di questa specie in pericolo di estinzione.
A causa della questione della caccia alle balene, i rapporti tra Australia e Giappone si sono deteriorati, in special modo dal 2007, quando il Giappone ha deciso di riprendere la caccia alle megattere e Camberra, per bloccare la mattanza, ha mosso navi e aerei militari in modo da creare una vigilanza continua tra i ghiacci dell'area antartica: una campagna con foto, video, prelievi, calcoli matematici per valutare con precisione quante balene ancora sopravvivono attorno al continente di ghiaccio.
La stessa IWC ha istituito nelle acque territoriali australiane un santuario dei cetacei; da notare che sono comprese in queste acque anche parte di quelle dell’Antartide (vedi cartina), e gli australiani sono più che determinati a far rispettare le regole, che ritengono più giuste, nei loro mari.
Così dopo tre anni di clima rovente tra i ghiacci, il governo laburista australiano ha prima annunciato, attraverso il ministro degli esteri Steven Smith, e poi presentato, il 31 maggio scorso, un ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, (organo giudiziario dell’ONU, deputato a dirimere le controversie tra gli stati), per proibire la caccia alle balene nei mari antartici. La promessa di citare il Giappone presso la Corte dell'Aia era un elemento chiave nella campagna elettorale del 2007 che ha portato all'elezione di Kevin Rudd dopo 11 anni di governi conservatori.
Peter Garrett, il ministro australiano per la protezione ambientale, ha dichiarato: “Vogliamo che si smetta di uccidere balene nell’Antartico in nome della scienza”. Il governo neozelandese è sulla stessa linea, ma ha preferito la via dei negoziati, alla conferenza in Marocco, piuttosto che ricorrere all’Aja.

Il Giappone ha definito “estremamente spiacevole” l’azione australiana. “Insisteremo con la nostra posizione riguardo al problema, e risponderemo adeguatamente.


Servizio dell’ABC, l’Australia porta il Giappone davanti alla corte internazionale dell’Aja



Due attivisti di Greenpece rischiano il carcere in Giappone: hanno scoperto il traffico di carne di balena
Per proteggere le balene non si oppongono al Giappone solamente gli stati, ma da anni anche ONG, e in prima linea si schiera Greenpece Giappone .
Due dei loro attivisti, i giapponesi Junichi Sato e Toru Suzuki, rischiano un anno e sei mesi di carcere, la pena richiesta dal pubblico ministero della corte del Distretto di Aomori durante l'ultimo giorno di un processo iniziato a febbraio 2010. Gli attivisti sono stati accusati di furto dopo aver intercettato scatole con carne di balena proveniente dal “programma di ricerca” di caccia baleniera, destinate al mercato nero. I due attivisti avevano utilizzato questa carne per denunciare la corruzione del sistema e chiedere un'indagine ufficiale, indicendo una conferenza stampa in cui hanno descritto e documentato la loro operazione.
Secondo le informazioni raccolte da Greenpeace, i membri dell'equipaggio della Nishin Maru si spartiscono i pezzi migliori di carne, li sbarcano nel loro bagaglio personale e li rivendono ai trafficanti di carne di balena. Anche gli ufficiali delle navi, il personale della Kyodo Senpaku, (la compagnia che controlla le operazioni della flotta baleniera giapponese) e l'ICR (Istituto di Ricerca sui Cetacei che gestisce la "ricerca scientifica") sapevano di questi traffici che durano da decenni. Secondo l’ONU in questo procedimento sono stati violati diritti umani fondamentali, in primis il diritto di difesa.
L’equipaggio nega, durante il processo, di aver mai ricevuto carne di balena da spartirsi e usare privatamente a proprio piacimento. D’altro canto due ex balenieri, in un intervista anonima all’ABC, rivelano l’esatto contrario.


Servizio della CNN sugli arresti degli attivisti di Greenpeace e Sea Shepherd



Gruppo animalista Sea Shepherd, lotta contro le baleniere: incidenti di percorso
Negli ultimi anni si sono incrementati notevolmente gli scontri tra le navi giapponesi e quelle degli attivisti del gruppo Sea Shepherd, un gruppo che non va molto per il sottile e si fregia di un vessillo piratesco. I “pirati” sono riusciti a impedire circa il 50% delle tentate uccisioni, portando il numero di balene catturate per stagione da 900 a 500.
L’organizzazione filma e diffonde le proprie azioni quasi da guerriglia, creando una serie intitolata “Whale Wars”.

Si può immaginare che il clima tra la ONG e il Giappone sia ancor più teso che con Greenpeace.
Nei vari scontri, il 6 gennaio, il trimarano Ady Gil, capitanato dall’attivista Peter Bethune, è stato speronato e affondato dalla baleniera Shonan Maru 2. In un successivo scontro di febbraio, il militante avrebbe ferito al volto un giovane marinaio giapponese gettandogli addosso una fialetta di acido butirrico (burro rancido), e come ulteriore rappresaglia si sarebbe introdotto illegalmente, tre giorni dopo, a bordo di questa nave per tagliare una rete di protezione. Arrestato, al via del processo il quarantacinquenne Bethune rischiava 15 anni di carcere per aggressione e lesioni. L’imputato ha più volte negato, ma gli sono stati comminati comunque tre anni di reclusione, secondo il diritto penale giapponese.
Erano circolate voci sulla presunta espulsione del capitano neozelandese dalla ONG, per violazione delle regole d’ingaggio. Le voci sono state confermate: l’espulsione è la contropartita, richiesta dal Giappone, nell’ambito di una lunga trattativa che ha portato alla scarcerazione dell’attivista. Bethune viene condannato a due anni con la sospensione condizionale della pena: riottiene la libertà, ma non potrà continuare la sua lotte alle baleniere nelle acque dell’Artico. Questa è la conclusione della vicenda giudiziaria, che si stava tramutando in un incidente diplomatico tra Giappone e Nuova Zelanda.

Ma ci sono guai giudiziari anche per Paul Watson, fondatore dell'organizzazione Sea Shepherd, il quale è stato iscritto sulle liste dei ricercati dell'Interpol su richiesta delle autorità giapponesi. Il cinquantanovenne Watson - cittadino canadese che al momento sarebbe irreperibile - è ricercato con l'accusa di avere ostacolato le attività giapponesi di caccia alle balene nell'Oceano Antartico mettendo a rischio la vita dei marinai.
Secondo Watson, le immagini girate durante gli scontri mostrano come i balenieri nel tentativo di attaccare gli animalisti con spray urticante al peperoncino, traditi dal vento, se lo siano spruzzati addosso.

Ma i giapponesi vogliono veramente mangiare carne di balena?
porti balenieri giapponesiUna nazione ricca, civile, con alti livelli d'istruzione, spesso all'avanguardia nella tutela dell'ambiente. Cosa spinge il Giappone a sfidare l'opinione pubblica mondiale, America in testa, per continuare la caccia alle balene? “È nei nostri geni, è un pezzo della nostra cultura.” Così risponde da anni l'ultraottantenne Shigehiko Azumi, ex sindaco di Ayukawa, il porto storico delle baleniere giapponesi. Così nell'ora dell'intervallo, ogni giorno nelle scuole di Ayukawa si ripete un rito: tutti gli studenti nel cestino della colazione trovano la razione quotidiana di carne di balena. Cruda, in stile sashimi, o fritta come tempura, con salsa di soia o ketchup. Mangiarla non è un obbligo dietetico, è un gesto di patriottismo. Addentando i bocconcini teneri, grassi e nutrienti, quei ragazzi sono al centro di uno scontro di civiltà. È la guerra a oltranza del Giappone contro la messa al bando internazionale della caccia alle balene. Uno scontro che per i giapponesi ha un significato unico, incomprensibile per il resto del mondo: l'ultimo simbolo della loro diversità, la resistenza contro l'omologazione.
Sull’orgoglio giapponese ferito, che si aggrappa con le unghie e con i denti alla caccia alle balene, c'è un interessante articolo di Federico Rampini, LaRepubblica.it.

Insomma, l’attaccamento alla carne di balena rimane in alcune economie costiere fortemente dipendenti da questo tipo di pesca, quali, da nord a sud, Abashiri, Ayukawa, Wada, Taiji.
Il cittadino medio, quando sente, specie in temi di crisi, quanto costa questa “ricerca”, rabbrividisce e non ne sente proprio il bisogno.

Toshio Kasuya dell'università di Teikyo ha spiegato le implicazioni del programma: «Il suo costo annuale è di circa 6 miliardi di yen, più o meno 50 milioni di dollari americani. Cinque di questi sei miliardi derivano dalla vendita della carne di balena ricavata dagli esemplari cacciati. La quota rimanente deriva invece da sussidi statali e da altre fonti di finanziamento. È chiaro quindi che, senza gli introiti legati al commercio della carne, i balenieri che prendono in appalto il programma di ricerca commissionato dal Governo non potrebbero continuare a operare».

Non solo la ricerca costa, ma anche assaporare la balena non è a buon mercato: la carne di balena surgelata dell’Antartico costa 27 euro al chilo, mentre quella pescata al largo delle coste giapponesi, più tenera, può arrivare a costare 900 euro.
Così la carne di balena esce sempre di più dagli usi e costumi quotidiani e i ristoranti specializzati sono in diminuzione.


Ricerca?! Non con le mie tasse!



Al di là elle implicazioni ecologiste, mangiare la carne di cetaceo fa male, ci si avvelena
Secondo uno studio tossicologico sui cetacei, mangiarne la carne, oltre a essere un grave delitto nei confronti della natura, rappresenta anche un elevatissimo rischio per la salute umana.
La ricerca, condotta da un gruppo di scienziati dell’Ocean Alliance, ha rilevato nei campioni di tessuto prelevati da quasi mille cetacei in cinque anni (2000 – 2005) un accumulo impressionante di metalli pesanti quali cadmio, alluminio, cromo, piombo, argento, mercurio e titanio. A bordo del ketch "Odyssey" gli scienziati hanno infatti seguito i capodogli in 16 regioni differenti del pianeta, dall’Oceano Pacifico, all’Atlantico, al Mediterraneo. Il portavoce il biologo Roger Payne ha presentato i risultati della ricerca alla IWC.

I giapponesi, per i quali la carne dei cetacei non è solo un piatto forte della cucina tradizionale, ma addirittura un principio d'identità nazionale, sono maggiormente esposti al rischio di avvelenamento.
Da un test effettuato in un comune costiero di “balenieri”, che conta in totale circa 3.500 abitanti, di cui sono state coinvolte 1.137 persone, sono emersi livelli di mercurio nel sangue superiori alla media nazionale. Un dato, questo, che è strettamente correlato alla dieta dei residenti del luogo, basata sulla predilezione della carne di delfini e balene. “I risultati delle analisi - ha affermato il direttore dell'istituto, Koji Okamoto - indicano che ci sia una connessione diretta tra i livelli di mercurio, trovati grazie all'analisi dei capelli dei residenti, e l'abitudine delle isole di mangiare cetacei”.

Molti abitanti dell’area sono affetti dalla malattia di Minamata, una sindrome neurologica causata da intossicazione acuta da mercurio. I sintomi includono atassia, parestesie alle mani e ai piedi, generale debolezza dei muscoli, indebolimento del campo visivo, danni all'udito e difficoltà nell'articolare le parole. In casi estremi la sindrome porta a disordine mentale, paralisi, coma e morte nel giro di alcune settimane dai primi sintomi. Una forma congenita della malattia può essere trasmessa al feto durante la gravidanza.


Lavorazione della balena al porto di Wada, avvelenamento da mercurio



Ecco, infine, un interessante reportage di AlJazeera English sulla caccia alle balene in Giappone tra tradizione, cultura, interessi politici ed economici, dal punto di vista Giapponese. Nella seconda parte del servizio vi è anche un dibattito intervista.
Per maggiori informazioni dati e statistiche dal punto di vista giapponese, ecco i link dei siti web della Japanese Whaling Association, e Japan Whaling Section dipartimento del Ministero dell’agricoltura, delle foreste e della pesca giapponese.


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Alla costante ricerca di nuovi anime che mi sappiano ancora stupire ed emozionare.