Budda testa

“3.500 anni fa, un popolo proveniente dalla lontane regioni dell’Iran si insediò in una zona vicina all’India, l’attuale Pakistan. Si impossessò di queste regioni attraversate da cinque affluenti del fiume Indus e situata non molto lontano da quella catena di montagne denominata Himalaya. La nuova città si chiamò Ariana. Violente piogge e un forte vento si abbatterono sulle cime delle montagne. Sulla terra il popolo Ariano lottava quotidianamente contro la siccità, ma riuscì comunque ad estendere la sua civiltà sempre più a sud, fino a quel paese chiamato oggi India. Quelli che avevano fatto parte dei conquistatori originali, e che agli occhi di tutti rappresentavano la parte più nobile, diventarono la classe dirigente di questa nuova civiltà ed assunsero il nome di Bramini. Il termine Bramino fù per tantissimo tempo nella società indiana sintomo e sinonimo di potere assoluto. Anche se gli uomini sono uguali i Bramini li separano in differenti categorie: le caste. Essi crearono anche una gerarchia nella quale occupavano il vertice ed a cui seguivano i soldati (i Kshatriyo), la gente normale: mercanti, artigiani, agricoltori… (i Vaisya), e gli schiavi (i Sudra), instaurarono di conseguenza una forte discriminazione tra la gente. A causa di questa discriminazione per centinaia di anni (e, a volte, ancora ai nostri giorni) il popolo indiano conobbe grandi sofferenze. I Bramini, uomini di potere si consacravano agli dei, offrivano loro sacrifici, facevano predizione, decidevano le festività, insomma, decidevano tutto. Ma a poco a poco affondarono sempre più nel lusso e nella corruzione. Le feste e le predizioni alla fine persero il loro scopo e diventarono solo una serie di rituali superficiali e privi di senso. Il popolo, che a causa di tutti questi inganni si sentiva smarrito, desiderava una guida che gli permettesse di essere felice. Una guida che gli facesse ritrovare la gioia di vivere e per tanto tempo attese, con il cuore pieno di speranze, che apparisse finalmente un uomo in grado di apportare loro tutto questo.”
Con queste parole, Osamu Tezuka, inaugura, su un susseguirsi di fondali che ritraggono vette inviolate, il primo dei quattordici volumi del suo Buddha, pubblicati in Giappone per la prima volta nel 1972 da Ushio Shuppansha.

Budda Recensione 1


Recensione Budda titolo illuminato


Siddartha Gautama era un nobile, un Kshatriyo, un uomo appartenente alla classe dominante del suo tempo e del suo stato. Era infatti principe ed erede al trono di Kapilavastu, un piccolo regno situato nel Nepal meridionale. La storia, che in questo caso, spesso, sconfina nell’agiografia, di Siddartha è scritta nel Buddhacarita, un poema epico risalente a circa 1800 anni fa. Composto di 28 canti, solo 14 dei quali giunti sino a noi, di cui il primo e il quattordicesimo non completi. Quattordici sono anche i volumi con cui Tezuka descrive il suo Buddha, ispirandosi liberamente al Buddhacarita, ma con quel fare alla Tezuka che trasforma un poema epico-religioso, in un capolavoro del fumetto moderno.
Prima di capire come il maestro abbia concepito questa sua opera è giusto soffermarci a parlare del protagonista, Siddartha Gautama del clan Shakya. Chi era quest’uomo e cosa fece per diventare così popolare? In un’epoca in cui gli uomini erano suddivisi in rigide fasce sociali il giovane Siddartha conosce l’amore nel modo sbagliato. Si innamora perdutamente di una schiava, ribelle e fuggiasca, Miguela. Il padre di Siddartha, che sogna per lui un futuro glorioso come principe di Kapilavastu, si oppone a questa unione e la fa allontanare. Distrutto dal dolore, il giovane Siddartha, che era sempre stato molto schivo e riflessivo, poco incline ai bucolici baccanali del palazzo reale, si chiude in se stesso e inizia a meditare sul senso della vita. Anni dopo, sceglierà la strada dell’ascetismo, abbandonando il suo regno, la corona e una sposa incinta, per combattere la sua più grande paura: la morte. Morte come dogma, come inevitabile, che lo attende e lo terrorizza. Morte come unica certezza sulla quale il giovane Siddartha unitosi alla casta dei Bramini e desideroso di imparare, medita per anni e anni, fin quando, grazie a una visione (secondo il Buddhacarita), riceve l’illuminazione mentre era seduto sotto un albero di Pippala. Gautama Buddha
Da questo momento abbandona il suo nome e sceglie per se stesso l'appellativo Buddha, participio passato del verbo sanscrito Budh, risvegliarsi. Egli è quindi il risvegliato, o l’illuminato, colui che ha capito il senso dell’universo. Ma questa sua illuminazione gli procurerà più nemici che ammiratori, poiché il senso dell’universo, per il Buddha, è un’armonia totale dell’uomo con il creato, un livellatore etico e spirituale che pone tutti gli esseri viventi sullo stesso piano di fronte all’infinito del tempo e dello spazio. Già, lo stesso piano, come può un Bramino accettare di essere pari a un macaco? Fonte di scandalo è da subito la scelta del suo primo discepolo: Tatta, un Paria, un senza casta, quindi un essere umano espulso dalla categoria degli esseri umani. Sotto agli schiavi, la dove ci sono cani randagi e insetti, i paria, uomini e donne senza alcun diritto e trattati come bestie, vivevano un’esistenza orribile e priva di conforto. Buddha eleva i Paria al livello dei Bramini, anzi, scegliendo Tatta come suo primo discepolo eleva l’uomo a uno status di privilegio rispetto ai Bramini. Ecco la grande rivoluzione del Buddha, l’affermare in un mondo fatto di rigide leggi sociali che queste non hanno alcun senso, e il porre tutti gli uomini allo stesso livello.
Il Buddha che stupisce i suoi contemporanei non è solo un rivoluzionario, è prima di tutto un grande filosofo. Suo è il concetto di Dharma, le quattro nobili Verità e gli otto Sentieri. Una profonda e completa analisi sui motivi del dolore umano, retta da una logica semplice e molto solida, questo è il grande lascito che Siddartha ci ha fatto.
Capire il Dharma significa raggiungere il Nirvana, lasciare questo mondo con la mente ed esplorare il paradiso dei sensi. Inutile a dirsi quindi, che non posso star qua a spiegarlo, posso tuttavia cercare di darne una panoramica, una descrizione a grandi linee che vi permetta di giudicare la caratura morale con cui Tezuka ha dovuto confrontarsi.
Dharma è la legge cosmica che governa l'universo, la Via attraverso la quale è possibile raggiungere l'illuminazione. In soldoni, il Dharma è una guida all'analisi introspettiva della propria sofferenza. Seguire le parole del Buddha implica conoscere il proprio dolore e, meditando, scoprire un modo per sconfiggerlo. Dolore che si manifesta attraverso le quattro nobili Verità, da scoprire quindi nell'ordine:
1) La verità del dolore
2) La Verità dell'origine del dolore
3) La Verità della cessazione del dolore
4) La Verità della via che porta alla cessazione del dolore
Queste Verità sono, come appunto si intuisce, progressive e sono svelate attraverso un'attenta introspezione individuale e dall'analisi degli otto Sentieri che rappresentano i vari stati del dolore umano, ossia i motivi per cui una persona può soffrire. Il Buddha ci insegna che solo conoscendo il nostro dolore possiamo capirlo e quindi affrontarlo. Questa è la filosofia che Siddartha Gautama, un uomo nepalese di 2500 anni fa, ci ha lasciato a testimonianza del suo cammino sul nostro pianeta. Una testimonianza che ad oggi raduna ancora moltissimi fedeli, mossi, vuoi da spiritualità, vuoi dalla ricerca di risposte o da semplice e squallida moda, ma comunque tutti affascinati dal suo pensiero.

Budda recensione titolo di tezuka


Budda CoverSin dalle prime pagine del manga si intuisce subito che la verve e l’ironia di Osamushi non sono state messe da parte neppure per un progetto tanto ambizioso. Centinaia sono infatti le vignette comiche sparpagliate qua e la nell’opera, con la classica vena scherzosa che caratterizza la sceneggiatura del maestro, il quale, durante i 14 volumi, dissemina i suoi vecchi personaggi un po’ ovunque, a cominciare da se stesso (come di vede nell'immagine qua a fianco) o quel Black Jack, anche lui medico, si alterneranno spesso sulla scenografia quando un dottore è richiesto in campo.
Con il maestro così in forma il suo Buddha non poteva che essere tutto particolare. Umano, terribilmente umano, il Siddartha che Tezuka disegna ha ben poco di divino. È un essere che si copre di vergogne, che trema di paura, che cede alle tentazioni, che sbaglia e ripete i suoi errori, salvo poi compiere un percorso di crescita spirituale tanto elevato da porlo, sul viale del tramonto, a maestro per i suoi simili. Un Buddha così tocca davvero il cuore del lettore, che non vede una figura astratta, mitologica, irraggiungibile, ma un essere umano veritiero, con una personalità credibile, che nonostante tutti i suoi sbagli riesce ancora a raggiungere quell’armonia con se stesso e con l’universo, quella pace interiore che ognuno sogna dentro di se. Questo è il Buddha di Tezuka, un uomo come tanti, che intraprende il più arduo dei cammini, abbandonare tutti i suoi privilegi alla ricerca della spiritualità. La storia è ricca di queste persone (si pensi a San Francesco), ma il Buddha ha forse un qualcosa in più. Egli infatti non parla come tramite di una divinità. Insegna, attraverso le vignette di Osamushi, che l’uomo è divinità e che in ognuno di noi alberga, assopito nel profondo del cuore, un piccolo Buddha.
L’illuminazione (bodhi) è dunque possibile per tutti, non solo per chi segue la via della rettitudine. Il riscatto sta nell’imparare dai propri errori (Siddartha ne compirà parecchi) e nel cercare di migliorarsi sempre più. Egli non è quindi solo una guida spirituale, ma anche un maestro di vita, che insegna ai suoi discepoli come affrontare le pene del Samsara (il mondo terreno) alla ricerca della luce che conduce al Nirvana (il paradiso).
Il volto affascinante del Buddha di Tezuka è dunque quello meno plausibile per un uomo venerabile. Un volto che si avvicina alla gente, che lo rende prima di tutto fragile, poi uomo, sempre più maturo e infine un maestro saggio e comprensivo che ha scalato tutti i gradini dell'insicurezza umana per poi giungere a uno status di quiete e serenità. Un esempio dunque, per questo affascina così tanto, per questo coinvolge il lettore che prima in lui si immedesima, nel Siddartha che sbaglia e che fallisce, in lui vede il riflesso dei propri errori: in amore, con la gente, le scelte di vita. In lui poi vede una guida appunto, un modello da seguire per superarsi e per migliorare. Una sorta di "Buddha matrioska" che si svela poco a poco, accompagnando il lettore di volume in volume, attraverso i testi e le immagini del maestro, via via sempre più vicino al Nirvana.

Budda recensione titolo ambientazione


Il mondo in cui Siddartha vive e insegna è un guazzabuglio di piccoli stati in guerra costante tra loro. Miseria, violenza, crudeltà e carestie sono all'ordine del giorno. In questo scenario così crudo è normale aspettarsi una costellazione di popoli xenofobi e sospettosi, che però si aggrappano disperati a superstizioni e improbabili santoni che, con le loro truffe e la loro arroganza, spingono sempre più la casta dei Bramini verso l'oblio. Importante è però anche l'influenza nipponica che il maestro, suo malgrado, subisce nel rappresentare i soldati. Spesso da loro scaturisce quella mentalità tipica del samurai di epoca Edo, quell'arroganza nei confronti di tutte le altre caste, Bramini inclusi, che non era propria dell'India del primo millennio avanti Cristo. A parte schiavi e Paria infatti, la casta militare aveva in grande considerazione il popolo dal quale dipendeva per il proprio sostentamento. I generali e nobili lo sapevano bene e trattavano mercanti e proprietari terrieri con ogni riguardo. La mentalità giapponese qua invece prevarica un po' quella che fu la storia e si insinua in certe scene di ordinaria violenza dove il soldato semplice appare la cellula impazzita governata dal tumore maligno della cupola militare. Sia ben chiaro che questo genere di adattamento è comprensibile. Molti scrittori celebri, parlando di terre lontane, da Salgari a De Amicis, passando per Kipling fino alle recenti Guerre stellari di George Lucas, risentono inevitabilmente dell'influsso culturale dei luoghi a loro famigliari e della società in cui vivono. Poco male quindi se la veridicità storica viene un po' scombussolata dal Sensei e dal suo essere giapponese. Buddha non è un trattato di antropologia, è prima di tutto un buon romanzo.
Come sempre accade, nelle opere di Tezuka ogni personaggio è caratterizzato in modo praticamente perfetto. Lo spessore morale che il maestro riesce a conferire ai vari coprotagonisti e alle innumerevoli spalle del Buddha è esemplare e deve far riflettere mentre oggi leggiamo l’ennesimo manga in cui ogni personaggio ricopre uno stereotipo preconfezionato. Ogni soggetto di Tezuka è unico. Cominciano dal Buddha, che abbiamo già descritto, passando per Tatta, coprotagonista di quest’avventura, unico personaggio a comparire dal primo all’ultimo volume. Sboccato, irrunento, istintivo, Tatta è l’anello di congiunzione tra l’uomo e la bestia. Brigante e assassino Tatta, dal sangue bollente, è colui che segue il Buddha e lo sostiene. Romantico e drammatico il rapporto coniugale tra Tatta e Miguela, primo grande amore di Siddartha, che ora, dopo anni, si lega al brigante in un'intensa storia romantica. Anche lei è un tassello chiave in questo mosaico variopinto e le sue parole smuoveranno più volte il cuore del Buddha. Di grande impatto è invece il personaggio di Depa. Ostinato, algido, spesso crudele, il maestro/amico di Siddartha, diviene poi suo strenuo avversario, per poi tornare, verso la fine, suo alleato. Budda 1Rappresenta senza ombra di dubbio, il cuore dell’uomo che vacilla, in bilico tra le antiche certezze e le nuove rivelazioni. Sarà proprio Depa a guidare Siddartha verso le penitenze e le privazioni che lo porteranno all’illuminzione, per poi voltargli le spalle e tacciarlo di cialtroneria, invidioso e incredulo verso i nuovi insegnamenti del Buddha. Altro personaggio chiave è Devadatta, cugino di Siddartha e ragazzo dal fascino femminile. Ammaliatore, lusinghiero, ruffiano, Devadatta sarà per Siddartha la nemesi, colui che lo seguirà come discepolo per proprio tornaconto, che si prodigherà a dimostrare la sua enorme abnegazione alla dottrina del mestro, superata solo dall’invidia per lo stesso. Devadatta è l’uomo che non ce la fa, l’uomo che, nonostante abbia toccato con mano i propri errori e sia stato messo di fronte alla luce della dottrina (Dharma) si lascia tentare ancora e ancora dai suoi bassi istinti e per questo è condannato a non raggiungere mai il Nirvana. Invidioso, attenterà anche alla vita del Buddha, che non l’ha scelto come suo successore, preferendogli il fratellastro Ananda. Ananda il bandito, lo spregiudicato, il sanguinario. Colui che non si fa problemi a uccidere i suoi stessi compagni per salvarsi la vita. Infimo, meschino Ananda, un uomo che Siddartha si prodigherà per salvare più volte, con le parole della rivelazione. Ananda dopo vari errori capisce i suoi sbagli e decide di seguire la via del Dharma. Segue l’insegnamento del Buddha e in breve tempo ne diventa il discepolo prediletto, colui che verrà eletto a suo successore, superando lo stesso Tatta, che tormentato dal desiderio di vendetta per coloro che gli hanno inferto tanta sofferenza in gioventù abbandona il Buddha per cercare il suo riscatto. Ananda è l’uomo che trova la luce nel buio, colui che dopo innumerevoli errori sceglie la via della redenzione, riscattando il suo passato e scontando la sua pena di bandito portandosi addosso un greve peso di dolore per le sue azioni passate, che lo tormenterà per tutta la vita.
Accanto a loro una costellazione di personaggi minori, tutti ben delineati, tutti con un grande spessore morale, con carattere, che emergono dalle pagine disegnate come fantasmi del passato e guidano il lettore nei meandri della valle dell’Indo.
Gli sfondi, curatissimi come in tutte le opere del Sensei, sono sempre squisiti e ricostruiscono un Pakistan e un’India arcaici, ingessati dalle caste e dilaniati dalle guerre tra stati. Questo è il mondo in cui vive Siddartha, disegnato da Tezuka in maniera abile senza mai esagerare nei dettagli ma dandoci sempre e comunque una sensazione veritiera, che supera il confine del disegno e si imprime negli occhi con paesaggi mozzafiato e viste aeree degne di un reportage del National Geographic.
Il movimento è come sempre fluidissimo, dinamico, scorre tra le vignette, attraverso le tavole, spezzandole letteralmente a volte, travolte dai sonori pugni di Tatta, dalle spadate di Ananda o dalle sfuriate dello stesso Siddartha. Con una sceneggiatura così morbida la lettura è sempre piacevole ed è davvero difficile concludere un volume e non cedere alla tentazione di leggere il successivo.

Budda recensione titoli edizione italiana


Hazard comincia a pubblicare il Buddha in Italia nel gennaio 1999, con il titolo Budda. A un primo sguardo, toccando con mano il volumetto e provando a piegarlo se ne intuisce subito l’estrema flessibilità. Una flessibilità e una morbidezza che però non pregiudicano la comodità di lettura. Inoltre una volta richiuso il volume torna rapidamente allo stato originario, senza rimanere piegato o incurvato. La carta è di ottima qualità, giallognola, come nelle edizioni giapponesi, ruvida al tatto, con una discreta grammatura, offre un rapporto di trasparenza quasi nullo. La rilegatura, in brossura cucita, a cura delle Grafiche Alma di Milano, è curata e molto resistente. Ottima la qualità di stampa, con un inchiostro nero opaco ben assorbito dalla carta, non presenta sbavature e non si deteriora neppure al contatto coi polpastrelli. Sommariamente buona la traduzione, che non manca di scivoloni sparsi qua e la, vuoi per le vignette invertite (più di una volta troveremo, per esempio, Siddartha che pronuncia la battuta di Tatta e viceversa), vuoi per gli errori di battitura, ma nel complesso dei 14 volumi è accettabile. Il prezzo è un tantino sbilanciato. 7,75€ appaiono subito onerosi, ma il gioco vale la candela.
Un’edizione davvero ben curata quindi, accompagnata da una grafica di copertina semplice ma d’impatto. Hazard ha saputo in questo ultimo decennio, regalarci edizioni di Tezuka e Matsumoto molto importanti, e speriamo che l’importazione dei capolavori del maestro, prosegua sotto l’occhio esperto della casa milanese.

Budda recensione titoli conclusioni



Il Buddha di Tezuka è un’opera matura, che spinge il lettore a riflettere accompagnandolo con ragionamenti semplici, con esempi e con parabole. Una lettura che funge da guida per chi si sente in vena di spiritualismo o come ottimo romanzo per chi invece opta per un approccio più distaccato. Il tratto e la sceneggiatura del sensei sono inconfondibili, anche se il disegno sembra ormai, agli occhi dei più giovani, abituati a ben altra fattura, vecchio e cartoonesco, quella di Tezuka resta una delle migliori rappresentazione del movimento su carta nel mondo, con quel dinamismo, quella semplicità e quella verve graffiante che solo Osamushi a saputo creare. Di grande impatto anche la sceneggiatura che non stanca mai, non annoia e coinvolge il lettore dell'inizio alla fine, creando con esso un rapporto di curiosità e suspance a tratti, specie verso il finale. Un acquisto importante, che non può mancare nella collezione dei fan del maestro e che riesce ad appassionare ogni lettore.


[CERCAMANGA_"Budda"]