Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci concentriamo su titoli trasmessi in passato su RAI 4: AnoHana, Welcome to the N.H.K. e Puella magi Madoka Magica.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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<b>-CONTIENE SPOILER-</b>

"Ano hi mita hana no namae o bokutachi wa mada shiranai", ovvero "Non conosciamo ancora il nome del fiore che abbiamo visto quel giorno", è il nome integrale della serie del regista Tatsuyuki Nagai ("Toradora!") che ha letteralmente spopolato nella stagione primaverile d'animazione nipponica del 2011.
Già dall'intitolazione, che è più generalmente riportata con l'abbreviazione in "AnoHana" (e ci credo...), si può presumere l'indole puramente romantica di una produzione di tal genere, che si colloca a metà tra una commedia sentimentale e una storia 'drammatica'. Essenzialmente, "AnoHana" è un normalissimo slice of life portato a sbilanciarsi verso due contesti, sentimentale e drammatico, appunto, che proprio non riescono a ben integrarsi nelle vicende, risultando addirittura insensati: passo più lungo della gamba.

Basta poco ad addentrarsi nella situazione narrata e notare che c'è qualcosa che non va, ma andiamo per ordine: il primo episodio è, quasi inaspettatamente, più chiarificatorio del previsto. Dei primi personaggi apparsi, viene subito rivelato un bel po', grazie anche all'esposizione di un breve flashback che farà da fondamento agli interi avvenimenti dell'anime: esso riguarda l'infanzia dei sei protagonisti, e in particolare il tragico episodio che segna la prematura morte di uno di loro. Si tratta di Meiko Honma, ragazzina che riappare improvvisamente nella vita di Jinta Yadomi, un tempo leader di quella cerchia di amici, che nel frattempo sono tutti cresciuti e frequentano le superiori. Neanche per Meiko, comunque, il tempo pare essersi fermato, dato che sembra anch'essa essere diventata grande.

La surreale convivenza tra lo spirito e il ragazzo non è certo l'elemento che più deve destare stupore in un'opera dall'aria sognante come "AnoHana", nondimeno è impossibile non constatare certe insensatezze ricorrenti che possono davvero recare fastidio allo spettatore più esigente. Innanzitutto, Menma (nomignolo di Meiko): la candida ragazzina è senza dubbio il personaggio più controverso (nel bene e nel male) della serie. E la chiamo 'ragazzina' anche se in realtà, come già accennato, dovrebbe avere la stessa età dei suoi 'ex-amichetti', ma il fatto è che non li dimostra affatto, né fisicamente, né tanto meno caratterialmente! Sa benissimo di essere morta tempo fa, e di riuscire a fare percepire concretamente la sua presenza soltanto a Jintan - il motivo di ciò verrà spiegato tardi e con un espediente fragile e banale - tuttavia s'ostina, imperterrita, ad agire come se tutti potessero vederla o udirla. Oltre ad adottare quest'atteggiamento a mio avviso dannatamente stupido, c'è da dire che non sarà da meno il ragazzo: pur avendo a che fare con il fantasma più rumoroso e 'corporeo' del mondo - sì, Menma può svolgere qualsiasi comune attività di un essere umano, inclusa quella di nutrirsi, giocare al gameboy (?), mettere in disordine... insomma, modificare fisicamente l'ambiente circostante - egli non si degnerà mai di dimostrare ai miscredenti amici la tangibilità della presenza della ragazza. Sarà essa stessa a dare prova della propria esistenza, sì, ma dopo ben otto episodi! La reazione dei coetanei? Beh, piuttosto inverosimile, ovviamente. Anzi, a proposito di inverosimiglianza di reazioni, vorrei introdurre quello che è un altro aspetto mal curato di "AnoHana" che contribuisce a minarne il buonsenso: la caratterizzazione dei sei giovani.

È chiaro che, come già accennato, alla base di tutta la storia raccontata vi sia un episodio shoccante, che avrebbe inevitabilmente percosso la vita di ognuno dei ragazzi, fin quasi a 'bloccarla' in quel frangente. Questi vivono infatti nell'ombra di quanto accaduto, non riescono ad accettarlo, non sono in grado di perdonare se stessi, finiscono quindi per dividersi, allontanarsi quanto possibile dal passato, non riuscendoci minimamente, quindi si ricongiungono ancora, non senza molte difficoltà. Il punto della questione è però un altro: per quasi tutta la durata della serie, l'interesse maggiore degli autori sembra essere riposto nei complessi psicologici di un branco di adolescenti che mai si renderanno conto di avere interpretato delle (alquanto improbabili) cotte bambinesche come vero amore! Viene progressivamente delineata una carrellata di triangoli amorosi adolescenziali perdurati da circa un decennio di distanza: questa è una cretinata bella e buona, considerando che i mocciosi avranno avuto più o meno sette-otto anni quando tutto cominciò, età in cui non ci si potrebbe mai seriamente 'innamorare' di qualcuno.

Invece no, gli ormai diplomandi s'impuntano sull'origine di quei sentimenti acerbi, prendendoli sul serio e annegando in mille preoccupazioni, agitandosi, infuriandosi, litigando tra di loro, come quelli che oggi definiremmo, in modo colorito, 'bimbiminkia'. Anche se lo sconvolgimento emotivo di quel momento fosse stato così forte da cristallizzarsi nel tempo - e in effetti pare proprio essere così - non è ipotizzabile che ci si comporti come dei bambocci cresciuti solo in fisico! È tutto copiosamente studiato apposta per innescare il solito meccanismo emozionale: sarebbero capaci di rendere appassionante anche la relazione tra un neonato e un cavallo, a questo punto.
E quando, nelle battute finali, ci si farà credere che abbiano finalmente raggiunto una maturazione, tutto ciò che ci verrà sbattuto in faccia sarà... una tempesta di lacrime. Lacrime, lacrime e ancora lacrime. Un'isterica estasi collettiva fomentata da un pianto sfrenato e liberatorio, una folta manciata di minuti della sostanza di liquidi oculari capaci di contagiare il pubblico medio alla pari di sbadigli: classico sistema, insomma. In tutto questo, sebbene a più riprese Menma si sia sforzata di fare capire ai suoi amici che non preferirebbe vederli piangere... ecco come la ripagano. Belle me**e! E se quegli esasperati ed esasperanti gemiti finali dovrebbero rappresentare 'lacrime di felicità', beh, direi che il risultato non sarebbe potuto essere peggiore di così. Ridicolo.

Ma dietro l'insoddisfacente approfondimento caratteriale e le attitudini dei sei tipetti c'è un'ulteriore constatazione da fare: se li analizziamo meglio uno per uno, intravediamo dei perfetti stereotipi dell'animazione nipponica. Menma è, oltre a quanto ne sia già stato detto, una plateale incarnazione del personaggio ingenuo all'ennesima potenza, e allo stesso tempo irrequieto al punto da causare quasi fastidio (una sorta di Yui Hirasawa); Jintan è un hikikomori, non uno di quelli allo stadio terminale, ma indolente e seccato al punto giusto. Ovviamente è orfano di madre - un altro classico: personaggio orfano di almeno uno dei due genitori. Anaru (un nomignolo che è tutto un programma) è la classica ragazza che cerca di mascherare il tormento interiore con un ingannevole mutamento caratteriale, ma è anche la risposta tangibile alla domanda che gli otaku, sempre annidati da qualche parte, si pongono principalmente alla visione di un anime, ovvero: "dove sono le tette?". Poppo è il tipico 'bonaccione' della compagnia, e forse anche il meno irritante proprio grazie al suo fare scherzoso e incoraggiante (almeno inizialmente); potevano poi mancare, in un gruppo così variegato, gli elementi snob? Abbiamo così Tsuruko, la classica studentessa altezzosa che ha sempre qualche frecciatina giudiziosa da elargire, e infine Yukiatsu, che gioca sia il ruolo di sprezzante fighetto sia quello di amico-rivale in amore di Jintan, quando a conti fatti è il più sfigato e nevrotico di tutti.
Tra i personaggi secondari gli unici da ricordare sono due madri, rispettivamente quella di Menma, che prova una sorta di repulsione verso gli amici della figlia - comportamento non tanto giustificabile da parte di una persona adulta e vaccinata - e quella di Jintan, che, pur rivelandosi fondamentale ai fini della trama, riesce a ritagliarsi pochissimo spazio nei flashback narrativi.

Meno male che gli sviluppatori della A-1 Pictures sono riusciti a non combinare la stessa mole di casini nella realizzazione tecnica, che non si distingue particolarmente ma si mantiene su ottimi livelli dall'inizio alla fine. Le sigle e il doppiaggio sono probabilmente le cose migliori di questo prodotto.
In sintesi, cos'è "AnoHana"? È il formato teenager di un'epopea del pianto, che si maschera da rappresentazione approfondita di temi come la morte, il superamento del lutto e la reincarnazione, il taglio con il passato e la crescita, il sentimento d'amicizia e quello amoroso, senza comunque riuscire mai a coniugarli in maniera credibile, e, peggio ancora, peccando di contraddizioni e illogicità a dir poco intolleranti.
Forse un giorno capirò quale sia stata la parte in cui avrei dovuto commuovermi, ma per adesso mi viene da piangere solo a pensare a quanti appellativi di 'capolavoro' gli siano stati affibbiati.



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Attenzione: la recensione contiene spoiler

"Welcome to NHK" è un anime memorabile, una gemma che mi ha letteralmente conquistato. Poche cose mi hanno mai preso così tanto come quest'anime, che ho seguito settimana dopo settimana con il suo ottimo doppiaggio in italiano su Rai4. L'ho finito giusto stasera, e tanto mi è piaciuto che ho intenzione di rivederlo nuovamente nel suo doppiaggio originale, per poi seguirlo anche nella sua versione cartacea e scritta.
Comunque non intendo scrivere la trama o cose del genere a riguardo, prediligo usare questo spazio per esprimere giusto le mie opinioni. Al di là dell'aspetto meramente tecnico, che risulta comunque di primissimo ordine, tra ottima regia, splendide OST (per forza di cose devo menzionare Hitori Bocchi, la mia prediletta), animazioni e disegni buonissimi, NHK vince e stravince per i suoi personaggi e le relative efficacissime introspezioni psicologiche, per le sue atmosfere, per i temi che tratta e per come li tratta, e in particolar modo per gli spunti di riflessione che concede.

La storia offre tantissimi momenti caratterizzati da un impatto emotivo davvero forte, ma almeno per me quello che si è rivelato essere il più significativo c'è stato nella puntata 21 quando Sato inizia a credersi il Dio di tutto, rimasto solo nell'intero universo dopo la partenza di Yamazaki.
A parer mio questo che ho appena citato è un momento grandioso, è il culmine della disperazione del protagonista, che proprio in questo momento raggiunge il suo grado di umanità più alto. La sua riflessione ha un sapore tanto tragico, ingenuo e assurdo che non si può far altro che immedesimarsi nella sua situazione, e ammettere che molto probabilmente anche noi saremmo andati a pensare la stessa identica cosa se ci fossimo trovati al posto suo.

Comunque la trama, che inizialmente parte un pelo lenta (ma si tratta giusto delle prime puntate), dopo avere posto le basi per gli argomenti che si tratteranno lungo tutta l'opera e con l'entrata in scena dei vari personaggi acquista un ritmo costante e regge senza problemi fino alla fine non annoiando mai.
E proprio i personaggi sono un trionfo, ognuno di essi si rivela essere calibrato efficacemente e caratterizzato in modo encomiabile. Quelli principali si trovano tutti in un grave problema, che spesso porta a risvolti sociali negativi e che fanno poi da cardine per il loro modo di agire.
Il mio favorito rimane sempre e comunque Yamazaki, l'otaku che non solo sa uscirsene con discorsi molto coincisi e significativi nel momento del bisogno - quello molto toccante che fa alla fine della puntata 13 per esempio -, ma che sa pure dare delle efficacissime lezioni di vita a Sato in modi davvero insospettabili. Mi riferisco soprattutto al riuscitissimo colpo di scena che avviene quando si rivela essere la Mia del gioco online che aveva creato dipendenza in Sato.

Insomma, NHK può da una parte essere inteso come il semplicissimo resoconto della tragedia quotidiana di un essere umano qualunque, dall'altra come un'esperienza morale di validissimo spessore. Il suo trattare temi tanto delicati come il suicidio, l'alienazione e via discorrendo in modo ironico non fa altro che rendere i suoi messaggi più efficaci che mai, e spesso il giocare sul contrasto "dramma/ironia" porta a un forte coinvolgimento emotivo che rende certe scene di inaspettato spessore.
La forte accentuazione erotica che viene manifestata molto spesso nel corso della storia può benissimo dare fastidio (io tollero davvero poco l'ecchi smodato), eppure in questo contesto ci sta bene, tenendo conto che il protagonista stesso, abbandonato com'è nella totale solitudine, inizia ad avere anche dei desideri perversi, che diventano dei veri e propri sogni illusori a lungo andare: esempio lampante è la puntata 22.

"Welcome to NHK" non è perfetto, anzi: ci sono volte in cui i personaggi sono disegnati un po' alla buona, squadrati come nemmeno fossero i bozzetti a matita, mentre certi dialoghi sembrano un poco troppo innaturali vista la situazione in cui avvengono; ma la capacità di rendere il suo mondo così reale, così vivo e di fare emozionare e immedesimare il suo pubblico non fa altro che renderlo un anime, a mio parere, di valore assoluto. E' difficile dire addio a quella che è stata una vera e propria "convivenza" con Tatsuhiro Sato, iniziata da settembre e durata a cadenza settimanale fino ad oggi, che mi ha portato a conoscere fin nei più profondi meandri della sua persona questo personaggio che, teoricamente un semplice ammasso di tratti disegnati, malgrado ciò sembra così reale. Questa sorta di "vicino di casa" resterà per sempre impresso nella mia mente e nel mio cuore, e mi sento onorato per questo.
Ringrazio Rai 4 per avere trasmesso quest'opera, di cui altrimenti non avrei mai fatto la conoscenza. Questa è la mia prima recensione, ma non desisto nel mettere un 10 tondo tondo a quest'anime, che per me se lo merita senza dubbio alcuno per tutto quello che mi ha regalato, come le lacrime che mi ha fatto versare ripensando a come ogni essere umano non sia altro che un ammasso di carne che pensa e prova emozioni.



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Sgomberiamo innanzitutto il campo da un equivoco: molti paragonano questa serie a "Neon Genesis Evangelion". Niente di più errato, Evangelion e Madoka Magica non hanno nulla in comune né dal punto vista tematico né da quello narrativo. Quindi se avete amato Evangelion potete odiare tranquillamente Madoka Magica e viceversa.
Se c'è qualcosa che accomuna queste due serie è la loro capacità di avere stravolto la formula dei rispettivi generi di appartenenza, il robotico per Evangelion, il majokko sentai nel caso di Madoka Magica. Il majokko sentai è il genere nato ufficialmente con l'anime e il manga di "Sailor Moon" (anche se degli echi si possono già ritrovare in "Cutie Honey" di Go Nagai) e si basa sull'unione di due generi, ovvero quello delle maghette in stile Creamy con i telefilm in salsa Power Rangers. Letteralmente è il genere delle maghette combattenti. Tuttavia, nonostante l'exploit di "Sailor Moon", nessun altro anime di questo tipo è riuscito ad avere lo stesso impatto a livello mondiale o a reinventare la formula in maniera drastica - cosa in cui è parzialmente riuscita la serie "Pretty Cure".

Poi nel 2011 arriva Puella Madoka Magica e di nuovo si parla di quattordicenni dotate di magici poteri impegnate a combattere i cattivi. Realizzato dallo Studio Shaft e dalla Aniplex, ha una storia apparentemente semplicissima: Madoka è una ragazzina delle medie che in una giornata come tante altre incontra un folletto, Kyubey, il quale promette a lei e alla sua migliore amica Sayaka di potere realizzare qualsiasi loro desiderio. In cambio diventeranno delle "maghe" e dovranno lottare contro le "streghe". La proposta sembra allettante, ma un'altra maga, Homura, farà di tutto per dissuaderle dal fare una scelta simile.
Come già anticipato, Puella Madoka Magica ha dato nuova linfa a un genere che sembrava non avesse già più niente da dire, ha meritatamente avuto un successo enorme e ha ricevuto persino gli elogi da parte di Mamoru Oshii, il regista di "Ghost in the Shell". Non è affatto un caso che tutto questo sia avvenuto, a mio avviso. Madoka Magica ha preso tutti gli stereotipi narrativi del genere e li ha completamente rovesciati, macchiando uno dei generi più innocenti dell'animazione giapponese con il rosso del sangue e il nero dell'angoscia. Puella Madoka Magica infatti, nonostante l'aspetto bamboleggiante, non è per niente un anime per ragazzine.

Prendiamo per esempio il famiglio, Kyubey. Da Creamy a Card Captor Sakura, fino alla parodia più cattiva del genere, Dai Mahou Togue, questo genere di creature è una presenza stabile in questo tipo di anime. E' una sorta di Virgilio che accompagna lo spettatore nella dimensione magica della storia, dando il potere alla protagonista di turno e fungendo per lei da grillo parlante, da voce saggia che già conosce le cose e quindi le esplica anche a noi tutti che leggiamo o guardiamo. Insomma è una figura positiva, direi genitoriale nella trama. Kyubey invece è un essere mefistofelico e già il suo stesso design presuppone questo drastico cambio di direzione narrativa. Nonostante l'aspetto tenero e inoffensivo di un gatto, il suo volto è inquietante e completamente inespressivo. E' assolutamente incapace di provare empatia per le guerriere che ha creato, non le consiglia nel loro percorso di battaglia, ma le tradisce ripetutamente tacendo loro le verità più scomode.

Per non parlare poi della trasformazione in super eroine da parte dei personaggi. Solitamente nei majokko sentai, ma anche in tanti altri anime e manga, l'eroe o l'eroina è un predestinato. Ha un potere recondito che viene casualmente scoperto. In Puella Madoka Magica no: si acquisisce il super potere per cupidigia. Nessuna delle guerriere è una santa votata in maniera disinteressata alla causa, sono tutte lì per tornaconto personale alla fin fine, cosa che già rovescia completamente il concetto tipico di "eroe" dei cartoni animati. Tale visione viene anche ribadita tramite lo svolgimento della trama stessa: chiunque usa o crede di usare il proprio desiderio per gli altri vedrà ogni volta questa sua scelta ritorcersi tragicamente contro di lei, come se il tentativo di ammantare di altruismo la propria scelta venisse implicitamente tacciato di ingenuità.

Diventare una maga non è quindi come per tanti super eroi dei cartoni animati e dei fumetti in generale il riscatto da una vita da perdente, come per Usagi Tsukino o Clark Kent: è un salato prezzo da pagare per vedere realizzato un sogno. In questa serie infatti diventare una guerriera non significa affatto come in "Wedding Peach" vivere esaltanti avventure assieme alle proprie migliori amiche per poi vedere il bene trionfare sul male. Essere un super eroe in quest'anime è una condanna, significa attraversare un percorso di inaudita violenza e solitudine che alla fine inaridisce e devasta psicologicamente i personaggi. Non c'è infatti una goccia del romanticismo e dei valori di amicizia propagandati dagli altri majokko sentai: qui le guerriere arrivano a ostacolarsi, a cercare di uccidersi a vicenda, a odiare sé stesse e cosa hanno scelto di fare. Nessuna infatti dopo infinite battaglie contro il mostro di turno guarderà più con orgoglio ai valori di giustizia e amore che crede di rappresentare. L'orrenda routine renderà le più forti ciniche, le più deboli pazze e alla fine tutte saranno unite da un unico funesto destino a cui non potranno opporsi.

A questo innovativo quadro generale si unisce poi uno sviluppo della trama coinvolgente e originale, che puntata dopo puntata non finisce mai di spiazzare lo spettatore con colpi di scena uno più brillante dell'altro.
La domanda però a questo punto sorge spontanea: perché un anime così tetro ha un aspetto così infantile? Ovvio: perché è paradossale. Cosa c'è infatti di più disturbante che vedere delle ragazzine dall'aspetto angelico e innocente, vestite di frappe e pizzi, districarsi in un contesto simile di violenza psicologica? Insomma, l'infantilismo e l'innocenza del character design è il tassello fondamentale per la creazione dell'atmosfera che permea tutta la serie, perennemente in sospeso tra l'onirico e il grottesco. E' impossibile non solo riconoscere la città in cui Puella Madoka Magica è ambientato, ma anche l'epoca in si muovono le protagoniste, in quanto a scenari futuristici si susseguono paesaggi facilmente riconducibili alla nostra epoca. Il momento però in cui graficamente questa serie dà prova di quest'idea sono le scene di battaglia. Scordatevi le pose al limite dell'imbarazzante di Sailor Moon, le trasformazioni infinite nel bel mezzo della battaglia e i mostri dal design ridicolo. Ogni volta che una maga entra in contatto con una strega questa precipita in un'altra dimensione, dove la realtà viene completamente stravolta e la gioia per gli occhi di fronte a un simile sfoggio di bizzaria visiva si unisce allo sgomento per il crudele svolgimento della battaglia.

Meritoria di applausi è anche la colonna sonora: il tema di Puella Madoka Magica è maestoso, solenne, quasi un coro gregoriano che sottolinea con ancora più forza l'aura d'inquietudine e dramma in cui questa serie sguazza.
A costo di dire un'eresia agli occhi di chi detesta quest'anime, io penso che Puella Madoka Magica, se fosse una serie americana e fossimo negli anni Ottanta, si intitolerebbe "Watchmen".
Strabiliante. Da vedere senza se e senza ma, per me è già una pietra miliare.