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I Sopravvissuti

“Vivere in una piccola casa non è poi così male, ho sempre desiderato sapere cosa si provi a vivere in un piccolo appartamento, come una giovane coppia di sposi”.
“Per pulire la casa ci vuole un attimo”.
“Tutto è a potata di mano, da accendere la tv a farsi una tazza di tè”.
Queste sono le voci di Itsuko Suzuki (63 anni), Keiko Sugahara (60 anni) e Sumiko Toyoguchi (70 anni). Vivono tutte negli alloggi temporanei di Sasaya est, dopo essere state costrette a lasciare le loro case di Namie a nord di Fukushima. Cercano di scherzare sulla loro condizione di sfollati, ma in realtà non saprebbero dove altro andare: non possono tornare a casa, non hanno i mezzi per trasferirsi altrove e almeno qui trovano un senso di comunità che dà loro sicurezza.
Sono almeno 157.000 le persone che hanno lasciato l’area di Fukushima: 32.000 vivono negli alloggi temporanei prefabbricati e 59.000 in appartamenti sussidiati, quindi senza un affitto da pagare. Questa sistemazione doveva durare due anni, ma la Tepco non ha ancora stabilito le quote di compensazione, gli alloggi permanenti ricostruiti sono ancora pochi e gran parte delle zone di evacuazione (11 comuni in un raggio di 45 km) resta inabitabile. Il governo è perciò intenzionato ad estendere a 4 anni il tempo di soggiorno degli sfollati negli alloggi temporanei. La paura maggiore però per tutti è che la Tepco valuti zero le case andate distrutte, perché già vecchie oppure in zone che non potranno essere riqualificate per i prossimi 40 anni. In tanti stanno pagando rate di mutui per case che non hanno più e si stanno costituendo cause di gruppo nei confronti della società per tutelarsi. Alcuni si impegnano in prima persona: è il caso di Sumiko Toyoguchi, che, nonostante l'età avanzata, spinge costantemente i compagni evacuati a far sentire la propria voce attraverso petizioni e manifestazioni. L’anno scorso, quando la Tepco ha minacciato di ridurre della metà l’assegno mensile di 100.000 yen per ogni sfollato, la donna ha contribuito ad organizzare una campagna di protesta, riuscendo poi nel proprio intento — che la causa fosse sacrosanta è fuor di dubbio, anche perché il 40% dei residenti a Sasaya è over 60, e senza quei soldi non avrebbe potuto sopravvivere.

barcatsunami

Un tale attivismo è però raro, perché molto più comune è il sentimento di rassegnazione, o l'ancora più inquietante litania del “tutto va bene”, frase che viene ripetuta fino alla nausea. Ad evidenziare ciò è stato Satoshi Nakojima nel sito Blogos: l’ingegnere informatico ha raccontato come le persone siano “costrette” ad unirsi al consenso generale per non rischiare di essere visti come “nocivi” per la società; coloro che si pongono domande o hanno dubbi riguardo alle informazioni fornite dal governo e dalle autorità locali, soprattutto per quello che riguarda il livello di radiazioni, sono additati come soggetti che vanno intenzionalmente contro il sistema, individui egoisti che vogliono abbandonare le proprio città, in un’atmosfera di "fabbrica del consenso" che ricorda quella che si respirava in Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale.
Purtroppo, per quanto sia comprensibile cercare di ricostruirsi una vita normale, la strada è ancora lunga e costellata di incognite per il futuro, soprattutto per quel che riguarda la salute. Un pool di ricercatori dell’Università di Tokyo ha esaminato 1400 bambini di età compresa fra 6 e 14 anni in località Miharumachi (a 50 km da Fukushima) fra settembre e novembre 2012, e ha riscontrato che i livelli di cesio 137 erano sempre al di sotto della soglia minima rilevabile di 300 becquerel: un risultato incoraggiante, considerato che fra novembre 2011 e febbraio 2012 erano stati trovati fino a 1300 becquerel in 54 bambini. Ciò vuol dire che i controlli sugli alimenti hanno impedito l’ingestione di materiale radioattivo. Alle buone notizie se ne alternano altre drammatiche: da prove effettuate su 130.000 bambini che vivevano attorno a Fukushima, è risultato che il 40% ha i primi sintomi di cancro alla tiroide, senza contare che altre forme di malattie possono anche non manifestarsi per decenni. In più ci sono anche le patologie collegate indirettamente alle radiazioni, come l’aumento dei bambini con i piedi piatti oppure con un peso maggiore rispetto ai loro coetanei residenti in zone lontane dal disastro. Questo succede perché genitori ed insegnanti hanno paura a farli giocare all’aperto, dove potrebbero essere esposti ad una dose maggiore di radiazioni.
A tutto ciò c’è da aggiungere lo stress mentale e fisico cui sono sottoposti soprattutto gli anziani: da un’indagine dell’Agenzia di Ricostruzione del Governo Giapponese, risulta che 35 persone fra i 60 e gli 80 anni sono morte per problemi di salute causati dalla stanchezza e dallo stress per i vari spostamenti in diversi rifugi temporanei. Gli sfollati hanno dovuto trasferirsi mediamente 7 volte, ma alcuni sono arrivati anche a 16 volte; si prevede quindi di fornire il supporto di psicologi clinici.

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Per i sopravvissuti il dilemma maggiore però rimane se tornare alla propria città d’origine appena sarà possibile, per ricostruire quanto perduto, oppure rifarsi una vita altrove — un altrove dove ormai vivono da due anni e dove magari è previsto che stiano ancora 3-4 anni. Molti hanno trovato lavoro, i loro figli sono andati in altre scuole e si sono fatti nuovi amici, quindi ricominciare tutto spaventa, ma allo stesso tempo la nostalgia per la propria casa è forte. Lo stesso sentimento vale per le amministrazioni locali, alcune delle quali hanno intenzione di conservare parte degli edifici distrutti per la memoria storica delle future generazioni: è il caso di Otsuchi, nella prefettura di Iwate, dove l’attuale sindaco Yutaka Ikarigawa ha annunciato che la parte anteriore del municipio (fra cui l’ingresso e l’orologio, che si è fermato al momento del disastro) sarà preservata per poter raccontare a chi non c’era il terribile terremoto. Di parere opposto il sindaco di Kasennuma, Shigeru Sugawara, che ha deciso, in accordo con i proprietari, di smantellare una barca da pesca trasportata dallo tsunami per diverse centinaia di metri all’interno della città. Per due anni il peschereccio era rimasto fermo, diventando per molti un simbolo, ma l’amministrazione ha deciso che allo stato attuale delle cose sia opportuno rimuoverlo, in quanto ostacolerebbe la ricostruzione della città e avrebbe un costo di manutenzione eccessivo.

L'incredibile storia di chi ha deciso di rimanere nella zona contaminata di Fukushima- sottotitoli in italiano



Ricominciare con l’aiuto di tanti, senza dimenticare

Se fino ad ora la situazione descritta non è delle più rosee, non bisogna però disperare. Tanto si fa e tanto si continua a fare per ricostruire, principalmente nelle zone sì devastate dallo tsunami, ma fuori dall’emergenza nucleare. Molti sono i progetti realizzati o in fase di compimento.
In nove località della Prefettura di Iwate il Ministero delle Infrastrutture ha costruito diverse scale di emergenza per permettere ai residenti di evacuare rapidamente verso le zone più alte in caso di allerta tsunami; sono dotate di corrimano per aiutare la salita alle persone più anziane e di luci ad energia solare per fornire l’illuminazione anche in caso di blackout.
Nella Prefettura di Miyagi è stata consegnata una prima serie di nuove case: 18 a Yamamoto, 12 a Sendai e 50 a Ishinomaki, e si spera di arrivare a circa 16.000 unità abitative entro marzo 2016.
La Senriku Railway co. ha riaperto un tratto della linea ferroviaria costiera del nord-est, e precisamente quello fra le stazioni di Sakari e Yoshihama, per un tratto di 21,6 dei 36 km della tratta Minamiriasu (Prefettura di Iwate). Tre dei vagoni che transiteranno sono stati donati dal Kuwait per sostituire quelli danneggiati.
Il Museo d’Arte Rias Ark (Prefettura di Miyagi) ha riaperto i battenti ai primi di aprile con una mostra di più di 200 foto della città scattate dallo stesso personale del museo subito dopo il disastro, più vari memorabilia, come oggetti e disegni, raccolti per raccontare anche a chi non c’era l’entità del disastro.
Alla fine di marzo è stato testato con successo un nuovo tipo di frangiflutti per ostacolare le onde provocate da un eventuale prossimo tsunami; essi sono posti sul fondale marino (evitando così che possano essere d’intralcio alla navigazione marittima) e possono risalire in superficie in pochi minuti grazie ad una pompa ad aria all’interno del pilastro. Se dovesse scattare l’allarme, l’aria sarà insufflata all’interno della colonna, fino a farla galleggiare; una volta passata l’emergenza, l’aria viene semplicemente rilasciata, con conseguente affondamento del frangiflutto. L’intera opera di 230 metri sarà costruita intorno alla penisola di Wakayama e dovrebbe essere completata entro il 2020 per un costo di 730 milioni di yen (pari a circa 7,8 milioni di dollari).

Prima e dopo la ricostruzione

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Nella regione costiera di Fukushima Hamadori, Yumiko Nishimoto (59 anni) è il leader di un progetto che prevede di piantare 20.000 alberelli di ciliegio lungo 190 km di costa nei prossimi 10 anni. “Vogliamo lasciare le nostre comunità in uno stato che renda orgogliosi i nostri figli”, ha dichiarato Nishimoto.
Un progetto simile è condotto dalla Sumimoto Forestry Co.: la società ha prelevato 25 semi dall’”albero dei miracoli" (kiseki no ipponmatsu), cioè l’unica pianta di una foresta di 70.000 pini sopravvissuta allo tsunami, per ricavarne altrettanti alberi. Appena sarà possibile, le piante saranno ricollocate a Rikuzentaka (Prefettura di Iwate) per far rivivere la pineta distrutta. Purtroppo l’albero dei miracoli, nonostante le cure del Japan Greenery Research and Development Center, non ha retto al cambiamento di terreno e all’eccessiva salinità; tuttavia, è stato ugualmente riposizionato lì dove aveva vissuto per 173 anni, diventando monumento di speranza e di memoria per tutte le vittime.
Sempre di più poi sono le città che sono riclassificate in base alle rilevazioni di radioattività. Le ultime in ordine di tempo sono Tomioka e Namie. Le nuove denominazioni di zona prevedono tre categorie:
- Pronte per essere ripopolate se i millisievert rilevati sono inferiori a 20 all’anno
- Residenza ancora vietata se i millisievert si trovano in un intervallo compreso fra 20 e 50
- Ritorno ancora interdetto se i millisievert superano i 50 l’anno

In questo modo circa il 70% degli ex residenti potrà rientrare temporaneamente nelle proprie case per iniziare le opere di pulizia. Lo stesso vale per Namie, dove l’80% dei 20.000 abitanti potrà accedere durante il giorno nella parte centrale della città, mentre quella occidentale resterà per il momento off limits. Le persone potranno così rivedere dal vivo quei posti immortalati solo qualche mese fa da Google Street View. Il colosso tecnologico infatti ha mandato i suoi robot dotati di telecamera dentro a Namie, facendo scorgere a tutto il mondo uno scenario inquietante: macerie, strade deserte, negozi chiusi, finestre buie, tetti crollati che sporgono dal terreno, una nave arenata in mezzo alla campagna. Le reazioni a tale spettacolo sono state molteplici: commozione, rabbia e dolore.
Anche un’altra testimonianza arriva dal web: nel 2012 un gruppo di giornalisti ha fondato la rivista Otsuchi Mirai Shimbun (Momenti futuri di Otsuchi), in memoria dei due giornalisti della città travolti e uccisi dallo tsunami, che nella sola Otsuchi si è portato via il 10% della popolazione. Attraverso Internet hanno contattato numerosi sopravvissuti per farsi raccontare le loro storie di terrore, panico, sofferenza e speranza; il tutto è stato poi tradotto in inglese da un gruppo di volontari giapponesi, statunitensi, australiani e neozelandesi, e pubblicato come e-book con il titolo “La vita dopo lo tsunami: una raccolta di racconti a cura dello Ostuchi Mirai Shimbun”.
Tantissime sono state poi le manifestazioni di solidarietà da parte di tutto il mondo. Le ultime in ordine di tempo sono state le seguenti:
- Il Cile ha donato alla comunità di pescatori di Minami Sanriku una statua dell’Isola di Pasqua alta 3 metri, che prenderà il posto di quella distrutta dal terremoto.
- La cantante Cindy Lauper, dopo aver visitato nel marzo del 2011 le zone colpite dalla calamità per fare una serie di concerti in sostegno alla popolazione locale, ha acquistato un pianoforte nella città di Ishinomaki (Prefettura di Miyagi), lo ha restaurato e donato all’ospedale della cittadina.
- Un gruppo di cittadini inglesi residenti a Tokyo ha organizzato una corsa in bicicletta per raccogliere fondi per Minamisoma (Prefettura di Fukushima); attraverso il loro sito (tokyobrits.com), i promotori hanno già raccolto un milione di yen. Il tour partirà il 19 aprile, e in tre tappe raggiungerà le zone colpite per portare beni di prima necessità a chi vive ancora negli alloggi temporanei.

Qui finisce questo lungo reportage. Questa non è che una minima parte di quello che è successo, succede e succederà ancora in quelle zone. Tutto è infatti ancora in divenire, e in molti casi si “naviga a vista”, perché quello che è accaduto non ha precedenti, almeno nella storia recente e documentabile. L’intento era aggiornarvi e allo stesso tempo ricordare le vittime e i sopravvissuti, perché l’importante è sempre non dimenticare.

Un messaggio di speranza: le persone sopravvissute dell'area del Tohoku ringraziano tutti coloro che le hanno aiutate e sostenute nel dopo terremoto/tsunami



Fonti consultate:
www.nhkworld.com
www.newsonjapan.com
www.arigato.it
www.japantoday.com
www.nippolandia.it
www.japantimes.com
www.newsdalgiappone.com
www.enrocketnews24.com
www.studiare(da)giapponese.com