Biblioteca giapponese Manifesto

Ed eccoci ad un nuovo appuntamento con la collaborazione fra Animeclick.it e il blog Bibliotecagiapponese.it, curato da Anna Lisa Somma, ventinove anni, studi a Lettere Moderne a Pisa e a Roma, socia dell’Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi (AISTUGIA) e appassionata di letterature comparate, japonisme e influenze della letteratura giapponese su quella italiana e francese. Inoltre (sono parole sue) un libro e una tazza di tè sempre a portata di mano. Grazie a lei, in questa rubrica aperiodica, scopriremo piccole perle di cultura e letteratura giapponese, sia antica che contemporanea. Non dimenticate di seguirla anche sulla sua pagina Facebook!


Biblioteca giapponese copertina moshi

Moshi moshi (l'equivalente del nostro ‘Pronto?’): sono queste le parole che Yoshie sogna di poter dire, anche solo un’ultima volta, a suo padre. Parole semplici, banali per contrastare una morte assurda: l’uomo, infatti, ha perso la vita in circostanze poco chiare, al fianco di una donna dal passato inquieto, mentre la moglie e la figlia lo aspettavano, come sempre, a casa.
Una famiglia perfetta distrutta in un solo istante da una tempesta perfetta: ecco il punto di partenza di quest'opera di Banana Yoshimoto, Moshi moshi, ennesimo romanzo di formazione al femminile della scrittrice, in cui rabbia, impotenza, amore e istinto vitale si compenetrano con leggerezza.

Distrutta dal dolore e sconcertata per la relazione segreta del padre, Yoshie riesce, come molte protagoniste dell’autrice giapponese, a trovare un nuovo senso all’esistenza rifugiandosi in cucina, tra intensi profumi e consolanti sapori. Ed è proprio nel piccolo bistrot del vivace quartiere Shimokitazawa a Tokyo, Les Liens (significativamente ‘I legami’), dove lavora, che riesce a recuperare il gusto della vita e persino il desiderio, (o forse solo l’aspirazione, contraddittoria) di amare ed essere riamata. Il tutto è, come sempre, raccontato con quello stile piano e apparentemente ingenuo che ormai gli affezionati lettori della Yoshimoto conoscono bene sin dai tempi di Kitchen.

Biblioteca giapponese Yoshimoto

Se Yoshie tende purtroppo a soffrire di alcune sbavature nella costruzione del personaggio, miglior sorte narrativa è riservata a sua madre, forse la vera eroina del romanzo. La sua presenza lieve e credibile riesce in parte a riscattare una storia che, soprattutto nelle parti finali, sembra aver smarrito un poco se stessa.

E se la cucina la fa da padrona, una bella granita ghiacciata è la cosa che ho avuto tremendamente voglia di mangiare leggendo questo libro. Perché allora non condividere con voi le parole della scrittrice, nonché la facilissima ricetta del kakigori (la granita alla giapponese), tanto amata da Yoshie, la protagonista del libro, scegliendo una delle varianti più note e appetitose?

Kakigori al tè verde

Ingredienti per 1 porzione
1 cucchiaino di polvere di tè verde
2 cucchiaini di zucchero
2 cucchiai di acqua bollente
2 cucchiai di latte condensato (facoltativo)
2 cucchiai di anko, la marmellata di azuki
ghiaccio

Preparazione
Sciogli la polvere di tè verde e lo zucchero in due cucchiai di acqua calda, fino a ottenere una specie di sciroppo. Lascialo raffreddare e versalo in una coppetta.
Tritura il ghiaccio e aggiungilo allo sciroppo, mescolando il tutto.
Guarnisci con anko; se vuoi, puoi addolcire il kakigori utilizzando latte condensato.

Biblioteca giapponese gelato yoshimoto

Infine, ecco il brano in cui Yoshie racconta come una granita sia riuscita a cambiarle la vita:

In seguito alla scomparsa di mio padre, per qualche tempo non ho avuto appetito. Una domenica pomeriggio, io e la mamma ce ne stavamo chiuse ognuna nella sua stanza, perché tutto ci sembrava opprimente. Avevo lo stomaco vuoto, ma nessuna voglia di mangiare. Se pure mi fossi messa a cucinare qualcosa, persino il kayu (NdT: “pasto semiliquido ottenuto dalla bollitura del riso per un lasso di tempo prolungato”) e le zuppe mi sarebbero sembrati pesanti. Avevo comperato delle verdure perché volevo farle in insalata, ma poi quel verde mi era parso abbagliante, e la voglia di mangiarle era passata.
Mentre strofinavo la schiena calda di mia madre, che nel letto piangeva e tirava su col naso, le dissi:
“Senti, mamma. Non c’è qualcosa che ti andrebbe di mangiare? Proviamo a bere o a mangiare, anche solo un po’. Altrimenti ci indeboliremo ancora di più”.
Mia madre rispose all’istante:
“Una granita”.

Era un’estate caldissima.
Feci alzare mia madre e mi infilai in un taxi insieme a lei, ancora praticamente in pigiama. Ci dirigemmo a Shimokitazawa. Avevo in mente il ristorante Les Liens, in cui ero stata tante volte con i miei amici, e che serviva la miglior granita che avessi mai assaggiato. Non appena aprii la porta del locale, il vento fresco del condizionatore si mescolò al calore, e una sensazione indefinita si impossessò del mio corpo. Senza esitare andammo a sederci nell’angolo più interno, vicino alla finestra, e insieme tirammo un sospiro.

Biblioteca giapponese bar shimokitazawa

La luce estiva penetrava attraverso il vetro e scottava sul braccio destro. Mia madre guardava fuori in silenzio. Ovunque andassimo, avevamo l’aspetto di due persone infelici, miserabili, abbandonate. La cuoca – che adesso chiamo Michiyo, ma di cui allora non conoscevo il nome – arrivò sorridente, col suo portamento aggraziato e impeccabile, e ci disse:
“Avete tutto il tempo che desiderate”.
Ordinammo granita al mango, alla pesca bianca e al ribes. I pezzetti di ghiaccio erano minuscoli, la frutta ottima. Quella dolcezza mi entrò nel cuore e nello stomaco, sembrava cibo del paradiso. Mi resi conto che la mia mente si stava prendendo una pausa, che stava assaporando una ventata di freschezza, dopo tutto quel tempo passato a farsi domande e a darsi risposte, a provare rimorso, in un moto vorticoso e continuo, senza posa. Anche il vento caldo che di tanto in tanto entrava dalla porta spalancata era gradevole.

Mia madre mormorò:
“Ho come la sensazione che mi si sia aperto lo stomaco”.
Gli interni erano rimasti quelli originali del vecchio edificio, per cui sembrava proprio di trovarsi in un bistrot di una stradina di Parigi; era un po’ come se stessimo viaggiando, e la cosa ci piaceva. Per molto tempo non avevamo mandato giù quasi nulla che non fosse caffellatte, o biscotti, o una zuppa già pronta. Ordinammo una grande insalata con cereali e la dividemmo. Era guarnita con pane francese abbrustolito, tantissimo prosciutto crudo e cereali. C’erano anche piccole pannocchie fresche, pomodorini, gombo e cereali in quantità, mescolati a una lattuga freschissima.

Con aria assente, come parlando a se stessa, mia madre disse:
“È incredibile, sento che è buono. Per la prima volta dopo tanto tempo gusto i sapori. Il corpo continua a vivere anche se l’anima è morta”.
Dopo la granita divorammo l’insalata, poi bevemmo del caffè e finalmente ci rasserenammo.
Pensai che erano mesi che non provavamo momenti sereni. Guardavo distrattamente fuori dalla finestra. Il fluire del tempo nel ristorante era naturale, era un tempo solo mio, che nessuno poteva togliermi.


Anna Lisa Somma
Bibliotecagiapponese.it