Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi variamo un po', con il film d'animazione occidentale Frozen, il telefilm americano Power Rangers Megaforce e l'anime Sakurasou no Pet na kanojo

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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L'idea che la Disney volesse nuovamente prendere in mano una fiaba tradizionale come spunto per un suo nuovo classico mi ha subito riempito di gioia, dal momento che i miei film disneyani preferiti sono proprio quelli tratti dalle fiabe, in particolare quelle al femminile: "Biancaneve", "La Bella addormentata nel bosco", "La Bella e la Bestia". La gioia si è un po' ridimensionata, prima dell'uscita del film, dopo aver saputo che in inglese - e disgraziatamente in italiano - il titolo sarebbe stato "Frozen" (e non "La regina delle nevi"), ma soprattutto è stato il trailer a darmi un'impressione davvero negativa. Mi son detto: «Ci risiamo! Ecco il solito film in 3D che punta tutto sulla comicità e sulla risata facile». Sono quindi andato al cinema senza grandi aspettative e, fortunatamente, ho trovato un'enorme sorpresa. Il trailer, infatti, è uno specchietto per le allodole, visti i tempi bui in cui naviga l'animazione occidentale: praticamente buona parte delle scene comiche (e graziose e necessarie per smorzare la tensione) presenti nel film è usata per il trailer, che non rispecchia decisamente il tono reale di "Frozen". Per caso su youtube ho visto che c'è anche un altro trailer (detto di Elsa, dal nome di una delle protagoniste), non tradotto in italiano, che, invece, presenta il film in tutta la sua affascinante veste. Fine premessa noiosa.

La storia ruota attorno a due sorelle, la maggiore Elsa, destinata a diventare regina del Regno di Arendelle, e la minore, Anna. Non si sa bene perché (non viene spiegato), ma Elsa nasce col potere di creare e manipolare il ghiaccio e questo, fin dalla sua infanzia, la costringerà a vivere in reclusione, temendo che gli altri possano scoprire il suo segreto. Quando la verità verrà alla luce, Elsa fuggirà dal regno e sua sorella Anna partirà alla sua ricerca. Il resto non si può anticipare!

La trama del film forse può apparire fin troppo rapida e scontata, ma personalmente non ritengo che questo sia un difetto, sia perché è una fiaba, sia perché di partenza il film dovrebbe essere alla portata di un pubblico di bambini. Detto questo, comunque, la storia è solida, ben costruita e molto affascinante. Come spesso capita nelle fiabe, ci sono dei momenti ellittici nella vicenda: come dicevo non si sa perché Elsa nasca con i poteri, né si capisce bene il passato di un personaggio, Kristoff. Ma questo non intacca la solidità dell'intreccio, che funziona comunque alla grande.

Il film ha davvero molti punti a suo vantaggio, in primo luogo le tematiche. Finalmente si torna a parlare di sentimenti e di valori, come nei migliori classici del Rinascimento Disney (penso in particolare a "La Bella e la Bestia"). Qui si tocca in particolare una tematica che, trasfigurata a seconda del vissuto di ciascuno spettatore, potrà toccare veramente una fascia ampia di persone: il tema del diverso. Elsa, infatti, dal momento che è la sola ad avere dei poteri magici (sarà chiamata con sprezzo 'strega'), di cui la gente ha paura, può benissimo rappresentare l'escluso della società di oggi. E la sua reazione è a sua volta quella di avere paura e di attaccare quando si sente minacciata. Altra conseguenza della sua situazione è quella di ritrovarsi in una difficile e dolorosa solitudine, che a un certo punto crederà essere la sola strada per raggiungere la felicità. Era veramente da tanto che la Disney non partoriva un personaggio così bello; forse il paragone è grosso, ma mi sento di accostarla alla Bestia.
Altro tema presente nel film è quello dell'amore e, finalmente, non nel solito 'classico' modo melenso, ovvero il grande amore della principessa e del principe. Se in "Come d'incanto" lo stereotipo dell'amore principesco veniva demolito a colpi di brillante ironia, qui lo sarà in maniera più drammatica, soprattutto perché a un certo punto sarà proprio l'altra protagonista, la principessa Anna, a rischiare di farne le spese. La conseguenza sarà quella di spostarsi con più decisione sulle altre sfaccettature dell'amore, che non necessariamente, per essere vero e profondo, deve essere quello tra un uomo e una donna.

Personaggi: ben delineati e caratterizzati.
Elsa, la Regina delle nevi, che è il fulcro principale della vicenda, pur essendo il personaggio meno attivo, è quello che commuove per la situazione in cui si viene a trovare suo malgrado. Nobile, sempre elegante, con una nota malinconica davvero suggestiva.
Anna, la sorella minore, è la vera protagonista in termini di presenza scenica. Simpatica, brillante, un po' ingenua, è un mix di caratteristiche che la renderanno un personaggio amato, anche perché è ben lungi dall'essere 'miss perfettina' (come le vecchie principesse Disney). Questo l'accomuna a molte di quelle eroine degli anime che hanno operato una rivoluzione dei personaggi negli anni Novanta (mi viene in mente Usagi in "Sailor Moon"). Tutto questo senza perdere in femminilità e in credibilità per un personaggio che ipoteticamente viene da un mondo fiabesco e regale.
Per quel che riguarda i caratteri maschili, troviamo il principe Hans e Kristoff, il boscaiolo. Il primo è delineato in maniera abbastanza tradizionale, ma sarà anche al centro di un grosso capovolgimento delle carte in tavola (che non sto a spiegare, perché sarebbe uno spoiler troppo grosso); il secondo è, invece, l'ideale personaggio maschile di una fiaba rivolta al pubblico moderno. Più belloccio che bello, simpatico ma non macchietta, protettivo quel che basta senza essere il cavaliere senza macchia e senza paura, con quel pizzico di grettezza, che lo rende più umano e meno stereotipato.
Assoluta rivelazione è stato il personaggio di Olaf, il pupazzo di neve. Dal trailer temevo che fosse la macchietta della storia, temevo fosse onnipresente e che avrebbe trasformato il film in una 'caciara' per far ridere gratuitamente piccini e grandi non troppo amanti del sentimento e della riflessione. Con mia grande sorpresa, ho scoperto di sbagliarmi. In primo luogo ha una presenza scenica notevole per la sua simpatia, ma limitata nei tempi. In secondo luogo ha una comicità molto dolce e davvero divertente, senza scadere nella grossolanità. Infine, non è solo una spalla o una macchietta, ma serve a rappresentare, in maniera trasfigurata, i sentimenti di Elsa e i suoi reali desideri («io amo i caldi abbracci»). Ci sono dei momenti in cui riesce a commuovere e subito dopo a farti sorridere grazie alla sua dolcezza. Sono sicuro che piacerà molto ai piccini (in maniera più superficiale) e spero ai grandi (ma non credo sia scontato che se ne capisca la profondità).

Dal punto di vista tecnico siamo di fronte a un grande dispiego di mezzi, che funziona in maniera veramente ineccepibile. Non sono un amante delle animazioni in 3D e sono convinto che i personaggi umani sarebbero stati bellissimi anche in 2D, ma qui devo dire che l'uso intelligente della CG era forse necessario. Scene come quella della costruzione del castello di ghiaccio sarebbero difficilmente immaginabili con un'altra tecnica, vista la resa così bella delle sfaccettature della neve e del ghiaccio e dei colori dell'aurora. Insomma, siamo di fronte a scenari splendidi e a personaggi che funzionano, trovando il giusto mezzo tra una resa realistica delle superfici e una stilizzazione fumettistica necessaria e ben congegnata (non so se sia una mia impressione, ma un qualcosa di derivazione giapponese ce la vedo nel chara design, soprattutto delle due principesse).

Le musiche sono molto belle e funzionano bene, anche se non sono memorabili (siamo insomma lontani da colonne sonore incredibili come quelle de "La Sirenetta" o de "La Bella e la Bestia"). Sicuramente la canzone più di impatto, sia per musica, sia per testo, sia per resa scenica, è quella di Elsa, "Let it go" (intitolata nella nostra edizione "All'alba sorgerò"). Credo che sia l'unica scena che entrerà effettivamente nella memoria per la sua bellezza complessiva. La musica è comunque molto presente, addirittura 'troppo' secondo alcune critiche. Essendo della generazione del Rinascimento Disney, sono stato contentissimo di trovare tanto spazio dedicato al canto, che rendono senza dubbio "Frozen" un film musicale in piena regola. L'influenza di Broadway c'è, soprattutto nella scena del confronto di Elsa e Anna al castello di ghiaccio (sovrapposizione delle voci e aumento dei toni in parallelo al crescendo della tensione tra le due).

Sono rimasto molto sorpreso anche dal doppiaggio italiano, che in partenza si preannunciava tragico per la presenza dei (giustamente) temutissimi 'talent', in questo caso due attrici uscite dal cast della soap-oper partenopea "Un posto al sole". La rivelazione è stata Serena Rossi, voce della principessa Anna: simpaticissima quando lo deve essere, capace di commuovere e di essere drammatica nei momenti più tristi. Ed è anche bravissima a cantare. Forse, da un punto di vista strettamente tecnico, possono esserci delle sbavature, ma vista la natura del personaggio, trovo che nel complesso aiutino a rendere più reale e umano il personaggio (esattamente come era stato con Tosca nel doppiaggio di "Anastasia", che aveva reso più vera e meno affettata della controparte pulitissima e noiosa di Meg Ryan in originale). Serena Autieri, invece, che doppia Elsa, risulta un po' più meccanica nella parte doppiata, pur riuscendo a essere convincente su un personaggio tutto sommato non espansivo (e raggiungendo tranquillamente una credibile drammaticità quando necessario). La sua rivelazione c'è stata, invece, nel canto. Una voce meravigliosa e potente, calda e regale come ci aspetta che sia la voce di una regina (la sua versione di "All'alba sorgerò" regala dei momenti veramente splendidi). E soprattutto riesce a cantare trasmettendo del sentimento, cosa non particolarmente scontata (molte coriste di formazione classica dei vecchi Disney hanno sempre offerto prove canore eccelse, ma spesso più di servizio che 'di cuore'). Invece, ascoltando la sua Elsa, ho avuto l'impressione che l'Autieri abbia cercato di trasmettere i sentimenti del personaggio anche col canto.
Sul resto del cast niente da dire, tutti perfetti, compresi i 'talent' (su Brignano non avevo timori, è un mattatore e recita a teatro, non poteva che doppiarlo bene Olaf).

Era da due decenni che la Disney non sfornava un film che mi piacesse veramente così tanto e non posso che ringraziarli. Sembra che si siano messi di impegno per infilarci dentro tutto quello che vorrei trovare in una fiaba. Il film sta piacendo a critica e pubblico e credo che si meriti dei degni riconoscimenti. So per certo, però, che non piacerà a tutto il pubblico, soprattutto quello maschile, perché sembra voler fare decisamente un passo indietro, riproponendo un cartone di impianto sentimentale e non comico. E il pubblico di oggi, purtroppo, trova noioso il sentimentalismo...



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Correva l'anno 1993, quando il mondo venne incantato dai coloratissimi Power Rangers: adolescenti come tanti che potevano trasformarsi in supereroi dai poteri straordinari che guidavano bellissimi dinosauri robot per combattere le forze del male.
Sono passati vent'anni da quei primi Power Rangers, e la saga nel frattempo è continuata fra alterne fortune e vicende, continuando ad adattare con attori occidentali i telefilm giapponesi della saga Super Sentai.
Dinosauri, ninja, animali, viaggi nello spazio e nel tempo, samurai, poliziotti galattici, universi cyberpunk, magie, arti marziali, robot e supereroi di ogni forma e colore, mille e più avventure prodotte prima dalla Saban, poi dalla Disney e poi di nuovo dalla Saban che, vent'anni dopo, riappropriatasi dei diritti del brand che lei stessa aveva lanciato, ci regala una serie speciale dedicata al ventesimo anniversario dei suoi supereroi in costumi di spandex: Power Rangers Megaforce, adattamento del giapponese Tensou Sentai Goseiger trasmesso nel corso del 2013.

Una serie di tributo che comincia come una copia-carbone dell'originale.
Identica la trama, con una minaccia aliena alla Terra e un faccione soprannaturale con robottino scemo al seguito che investono cinque adolescenti del potere per diventare eroi.
Identici i colori-simbolo degli eroi, quel "rosso e giallo più rosa, nero e blu" che caratterizzava i primi cinque Power Rangers, così come assai simile se non identico in alcuni casi è l'accostamento dei colori e delle bestie che a loro corrispondono (ancora rosso/dragone, rosa/fenice e giallo/tigre).
Anche a livello caratteriale i nostri cinque protagonisti sono quasi del tutto identici ai loro illustri "antenati", e non mancano altri piccoli tocchi di classe come battute che dalla prima serie si ripetono, la presenza di una caffetteria gestita da un barista di nome Ernie o di una coppia di bulli che infastidiscono la vita scolastica dei protagonisti.

La trama di Power Rangers Megaforce è tutta qui: cinque ragazzi che combattono il male. Certo, l'incipit della serie ci fa presagire grandissime cose per il futuro, ma si tratta appunto del futuro, di cose che verranno eventualmente mostrate nel sequel Power Rangers Super Megaforce, la vera e propria serie dell'anniversario, di cui Megaforce è solo un antipasto dal sapore un po' scialbo.
Come già successo proprio alla prima serie, Megaforce non rispetta quasi nulla dell'originale giapponese su cui si basa, dal quale prende qualche episodio a casaccio, qualche scena di combattimento ridoppiata e basta.
Tensou Sentai Goseiger era una serie molto dolce, pregna di una grande spiritualità, di grandi messaggi, di avversari assai carismatici e dotata di una gran caratterizzazione dei personaggi.
I cinque protagonisti non avevano segreti, grazie al buon numero di episodi dedicati all'approfondimento dei loro caratteri e al forte legame che essi instauravano con personaggi secondari ricorrenti che riuscivano ad essere il perno di tutta la storia. Personaggi secondari ricorrenti che in Megaforce mancano praticamente del tutto, escludendo il barista Ernie e il professore dei ragazzi, che però compaiono poco e niente e solo per fare gags che vorrebbero far ridere e non ci riescono.
Sviluppandosi in soli venti episodi (più due special riassuntivi abbastanza inutili) contro i 50 di Goseiger, Megaforce non ha tempo da dedicare alla caratterizzazione dei personaggi, che vengono ricordati per una e una sola caratteristica: Gia è la bionda figa di legno della scuola, Jake gioca a calcio e le fila dietro senza cavare un ragno dal buco, Noah è un secchione che si veste al buio. Troy, il protagonista formale, è un bambolotto fighetto del tutto privo di carisma, di una storia personale, di qualsiasi cosa che possa caratterizzarlo come personaggio. Quello che dovrebbe spiccare di più (e in Goseiger il combattente rosso spiccava tantissimo) è invece il personaggio che meno viene calcolato nel corso della storia, sia da parte degli autori che dagli spettatori stessi, che non riescono a provare la benché minima empatia nei suoi confronti.
Si salva dalla mediocrità la sola Emma, la dolcissima e sensibile combattente rosa, ma solo perché, nel loro prendere episodi di Goseiger a casaccio da adattare, gli autori han ben pensato di prendere praticamente quasi solo quelli incentrati sulla combattente rosa Eri, corrispettivo dagli occhi a mandorla della dolce Emma.

Un altro personaggio che spicca (facile vincere quando caratterizzano solo te, eh?) è Robo Knight, personaggio esteticamente uguale ma abbastanza diverso dall'originale Gosei Knight (che, tanto per cominciare, non è un robot), che si rivela essere il fulcro di Megaforce, portando con sé la tematica del conflitto fra l'uomo e la macchina che verrà trattata praticamente lungo tutta la serie, con risultati anche un po' ripetitivi, ma anche coi suoi bei momenti, ogni tanto.
Per quanto riguarda i cattivi, il loro ruolo è stato completamente riscritto rispetto ai loro corrispettivi di Goseiger, che facevano parte di diverse fazioni mentre qui sono quasi tutti sotto lo stesso comando. Essendo poche puntate, i cattivi vanno e vengono senza che ci si riesca ad affezionare troppo, ad eccezione del solo Vrak, ricordato più per la persistenza (è il cattivo che in Goseiger ha più spazio) che per un carattere particolarmente incisivo.

Vent'anni di Power Rangers, vent'anni di serie che han presentato trame intricate, autoironiche, complesse, con ottimi personaggi e risvolti e attori di una certa bravura vengono praticamente annullate da questo Megaforce, che segue fedelmente lo schema della prima serie presentando una trama piatta e priva di particolari colpi di scena se non nelle ultimissime battute, dei personaggi abbastanza insulsi e una recitazione originale inascoltabile, ricca di spacconate, americanate, frasi trendy e gags slapstick che solo raramente fanno ridere (e se lo fanno è perché già la base dell'episodio giapponese era divertente).
Di contro, la grafica è molto buona, con un massiccio uso della computer grafica per creare i robot, i mostri e gli effetti dei combattimenti, rendendoli una gioia per gli occhi, ma questo è merito dei Giapponesi più che degli Americani. La colonna sonora non è pervenuta, eccezion fatta per la sigla che, ruffianamente, riprende quella della prima serie, ma in una versione assai meno bella.

Di base, la storia non sarebbe neppure male. Megaforce ha la sua mezza dozzina di episodi dove lo spettatore si emoziona pure a vedere i Rangers che difendono gli umani o che insegnano a Robo Knight ad apprezzarli o che gli mostrano di considerarlo un amico nonostante sia una macchina, i combattimenti (sia quelli in costume che quelli robotici) sono spettacolari e intrattengono il giusto. Tutto sommato la visione scorre liscia e tranquilla, ma servivano molti più episodi, molti più approfondimenti sui personaggi, molti più personaggi secondari di un certo spessore, una tematica di fondo che desse un senso al tutto.
La prima serie, che aveva una trama pressoché identica a questa, la sviluppava, però, in tre stagioni e un numero assai maggiore di puntate rispetto a queste stiminzite 20.
L'effetto era totalmente diverso. Anche se i personaggi erano simili, erano molto più sviluppati, si riusciva perfettamente a identificarsi nei loro caratteri e nei loro problemi.

La prima serie Power Rangers, seppur non perfetta, era il racconto di una generazione.
Eran gli anni '90, i personaggi portavano salopette, camicie da boscaioli, pantaloni larghissimi alla MC Hammer, top da ginnastica alla Cindy Crawford, giubbotti di pelle con le borchie, facevano arti marziali negli anni di Street Fighter e dei picchiaduro su cabinato, inscenavano intrallazzi amorosi fra un drink e l'altro negli anni di Bayside School e Beverly Hills e guidavano dei fighissimi robot a forma di dinosauri negli anni di Jurassic Park.
Troy e compagni, coi loro abiti anonimi, bruttini (l'accozzaglia di stili e colori del look di Noah mi perseguiterà per sempre) e sempre uguali in tutti gli episodi, chi rappresentano? Non hanno alcun segno distintivo, non hanno nulla che possa ricondurli alla generazione cui appartengono, non hanno un carattere, una storia, non hanno neppure un mentore degno di tale nome (Gosei, il gigantesco moai che li guida, si vede poco e niente, e Tensou, il robottino rubato a Corto Circuito con trent'anni di ritardo, non fa nemmeno ridere) o un legame particolare con i loro animali-simbolo.

Cos'è, insomma, Power Rangers Megaforce? E' una serie che, nel tentativo di arruffianarsi i vecchi fans con un sacco di citazioni ai primi Power Rangers, finisce per esserne soltanto l'ombra. Una serie che sì, tutto sommato si lascia guardare, e che sicuramente piacerà a un pubblico infantile, ma che vive troppo di rendita, campando sul nome Power Rangers e sulle altissime aspettative create per il sequel, tanto più che il finale di Megaforce è totalmente aperto (e perciò, dovendo valutarle come due serie separate, deludente). Megaforce ne ha la forma, prova a ricostruirlo, ma è fuori tempo, gli manca del tutto il fascino pioneristico della prima serie, che aveva i suoi difetti, ma a una serie d'esordio del 1993 li si perdona, a una serie come Megaforce, che ha sulle spalle vent'anni di Power Rangers e vent'anni di trame e personaggi gestiti molto meglio, no.
Gli spettacolari combattimenti in computer grafica non riescono a compensare la pochezza dei suoi personaggi, il modo irrispettoso con cui ha trattato l'originale giapponese e l'estenutante programmazione americana con lunghissime pause in attesa dei nuovi episodi di una storia che, però, non migliora mai, lasciandoci con soli 20 episodi di prologo per quella che, si spera, sarà un'avventura molto più epica e gradevole nel suo complesso.
"Rimandato a Settembre", insomma, nell'attesa di completare la storia di Troy e soci e vedere se il seguito donerà un senso nuovo a questa prima avventura piuttosto banale.
Da consigliare comunque ai bambini, a cui non interessa la caratterizzazione dei personaggi ma vogliono solo intrattenersi con eroi e robot fighi (e Megaforce ce li ha, il Sea Gosei Megazord dalle fattezze di un capitano pirata è meraviglioso!), e, ahinoi, anche ai fans sfegatati dei Power Rangers, che non possono perdersi questa tappa, visto che li condurrà ad un sequel che promette camei, ritorni, citazioni, omaggi e scintille per omaggiare i vent'anni della saga degli eroi in costumi di spandex.



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Chi scegliere tra la disadattata mangaka geniale e la doppiatrice di anime tosta e dal cuore tenero?

Il talento è un dono piovuto dal cielo e molto spesso la genialità degli altri è uno stimolo per noi stessi: un incentivo a impegnarsi con volontà e ferrea determinazione, nel tentativo di trovare la nostra personale realizzazione. Tuttavia, nel nostro intimo, siamo normali esseri umani. E gli umani provano invidia, gelosia e 'sano' egoismo. Dopotutto si nasce soli e si muore altrettanto: l'alfa e l'omega dell'esistenza umana hanno una sola compagna, la solitudine. L'egoismo è dunque una parte di noi stessi con la quale si deve fare i conti tutti i giorni.

Ecco perché gli abitanti del Sakurasou, eccentrici come il loro dormitorio (e di conseguenza la serie di cui sono protagonisti), mi sono piaciuti quando hanno invidiato, fino a odiare, i propri compagni baciati dal dono di riuscire a realizzare i loro desideri senza quasi rendersene conto. La rivincita del duro lavoro, continuamente sbeffeggiato dalla sorte e dal giudizio altrui, che trova un minimo di soddisfazione nel rancore umano e naturale della gelosia. Certo, tutto poi si risolve - e, aggiungo io, 'giustamente' - per il meglio, poiché il talento dell'uomo o la donna geniale distrugge chi gli si avvicina troppo, ma non lo fa mica apposta...

"Sakurasou no Pet na Kanojo" è, oggettivamente, una bella serie moderna, capace di miscelare le capacità tecniche della nuova generazione dell'animazione all'intensità delle storie made in Japan. Il character dei personaggi è ben fatto e variegato, mentre il ritmo della serializzazione si mantiene sostenuto per buona parte degli episodi. Parliamo dunque di un prodotto di ottima fattura, dove anche il fanservice, utilizzato in dose massicce all'inizio (vedi il primo episodio), pian piano scema con l'emergere della trama effettiva, fino a diventare un contorno appetibile ma assolutamente non invadente (dalla metà della serie quasi scompare del tutto).

Ho individuato l'apice della serie nel fantastico episodio 21 che, da solo, riassume la chiave di lettura che ho provato a esporre all'inizio. Il finale, gli ultimi tre episodi, è invece completamente aperto (la serie ripercorre sei delle dodici light novel e mezzo realizzate da Kamoshida e Mizoguchi), virando verso il 'buono' (non mancano però spunti di indiscusso valore come la prima parte del discorso di Misaki Senpai durante la cerimonia del diploma).

In sostanza, ho particolarmente apprezzato il concept alla base della storia, soprattutto perché l'evoluzione animata lo ha reso quasi alla perfezione. Inoltre, una menzione d'onore va al tentativo di far percepire, anche se di sfuggita, il dietro le quinte di un'industria che ci regala sempre tante emozioni: l'entertainment nipponico costituito da anime, manga e videogame. I protagonisti sono infatti un'animatrice (nel senso di produttrice di anime), una mangaka, una doppiatrice di anime, uno sceneggiatore di anime, un programmatore e un aspirante produttore di videogame: la summa di chi lavora per noi appassionati. Ovviamente le singole figure professionali non sono state indagate fino in fondo, poiché la storia si concentra più sul lato slice of life/romantico delle relazioni tra i personaggi, uniti a modo loro dall'arte che si declina nelle loro specializzazioni (nell'anime è personificata dall'Accademia Suimei, ma ancor di più dal dormitorio Sakurasou).