Dopo l'estenuante momento lucchese, siamo in grado di fornirvi i nomi dei vincitori del contest Si alza il vento, lancia in volo la tua recensione.

Prima dell'annuncio dei nomi con annesse motivazioni dei giurati, premettiamo due considerazioni in merito alla graduatoria finale. In primis: il livello degli elaborati pervenuti si è dimostrato generalmente alto, tanto che non ci è apparso opportuno stilare una vera e propria graduatoria di merito degli elaborati. Stampigliare delle votazioni numeriche sull'impegno dei concorrenti ci sarebbe anzi sembrato squalificante per tutti. Ci siamo permessi di commentarle e discuterne, sino a identificare una rosa di testi che ci sono unanimemente apparsi eccellenti, ciascuno nelle sue caratteristiche distintive. Queste eccellenze si considerano quindi, nelle loro diversità, tutte parimenti "prime classificate". Inoltre, questi ex aequo non sono tre, ma quattro: non siamo riusciti ad escluderne uno tra loro, così abbiamo ritenuto doveroso allargare il numero dei premiati.
 


Vincitori (in ordine alfabetico):

[premio conferito: BD/DVD italiano a scelta del singolo vincitore tra titoli prodotti dallo Studio Ghibli + icona di AnimeClick.it Premio Poeta]


- imedith
 
Una recensione molto corposa, ma non a vuoto. Estremamente ricca, precisa, attenta e soprattutto molto ordinata. Elegante, molto documentata ma personalmente critica, con un taglio analitico che la rende davvero informativa e chiara. Più che una semplice recensione lunga, quasi un (buon) saggio breve. Ottima la scrittura, ricca ma mai preda di barocchismi. (Shito)
 
Di taglio quasi accademico, la recensione si caratterizza per precisione strutturale ed ordine espositivo. Buon ritmo espressivo, cui sul piano dei contenuti corrisponde un'ottima capacità di identificare le idee cardine della storia, in bilico tra aspetto onirico e realismo, umano e tecnologico. Appropriato il raffronto tra caratteristiche ricorrenti ed elementi di novità della pellicola. (Kyon)

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INTRODUZIONE
Hayao Miyazaki è quel genere di regista che stordisce lo spettatore di emozioni innanzitutto sensoriali. Per questo i suoi film d'animazione sono sempre difficili da incasellare secondo schemi prestabiliti, almeno per noi occidentali che da secoli accordiamo al logos il ruolo di protagonista: non tutto viene spiegato a chiare lettere. Soprattutto nelle sue ultime creazioni, come "Ponyo sulla scogliera" o "Il castello errante di Howl", il filo narrativo si perde spesso fra la meraviglia di suoni, colori e azioni mozzafiato.
"Si alza il vento" non può prescindere da questa impronta caratteristica del maestro, così come non può prescindere dal character design tipico dello Studio Ghibli (seppure declinato diversamente dai vari registi di volta in volta), che molti amano spassionatamente per la semplicità del tratto e la grande espressività, ma altri non sopportano, trovandolo insipido, caricaturale e infantile.
La scelta, per l'ennesima volta, di Joe Hisaishi quale compositore della colonna sonora del film, conferma la volontà del regista di portare avanti una tradizione ormai trentennale. C'è da dire che in questo caso Hisaishi, pur firmando un'opera di tutto rispetto e perfettamente intonata allo stile e ai momenti del film, non brilla per creatività. Esegue un buon compito ma apparentemente con minor passione rispetto ad altre indimenticabili sue produzioni.
Tutti questi elementi, così "cristallizzati" nei decenni pur se continuamente reinterpretati, costituiscono del resto la firma indiscussa del prolifico regista Hayao Miyazaki. Il quale, dopo quest'ultima fatica, ha annunciato il suo ritiro dal mondo dei lungometraggi animati, almeno per quanto riguarda la regia. Così, spingendo l'acceleratore su tutte le sue personalissime passioni (prima fra tutte il volo), con un pizzico di autobiografismo (il sogno degli aerei, la miopia, la malattia della madre) e con decine di richiami a tutte le sue opere passate ("Porco Rosso", "Laputa: il castello nel cielo", "Nausicaa", solo per citarne alcune) si congeda dal suo pubblico con un'opera sorprendente, capace di spiazzare perfino chi ne è fan di lungo corso.

GLI ELEMENTI DI NOVITA'
"Si alza il vento" racconta la storia di un uomo realmente esistito, Jiro Horikoshi, che sin da bambino coltivava il sogno di lavorare nel settore aeronautico. La narrazione si inserisce in un periodo storico preciso, gli anni fra le due guerre mondiali; in un luogo preciso, il Giappone; in un contesto sociale, culturale e artistico preciso anch'esso e influenzato dalle avanguardie e dai nazionalismi.
Stretta fra questi paletti, la trama deve necessariamente svolgersi in modo per lo meno "realistico". E difatti mai un film di Hayao Miyazaki è stato più ancorato alla realtà: nella sua lunga carriera il fantasioso maestro ha tratto ispirazione da luoghi, racconti, personaggi storici o mitologici, ma li ha sempre re-interpretati in chiave personale, secondo il proprio gusto e la propria visione delle cose. Li ha spogliati di tutti i loro elementi concreti per trasformarli in simulacri ideali e intangibili, spesso inseriti in tempi e luoghi indefiniti, perciò così potenti nello stimolare l'immaginario dello spettatore e così rispondenti alla sua scoppiettante creatività. Qui non poteva farlo e la cosa salta immediatamente agli occhi.
Ciò che accade è tremendamente vero nel dramma delle situazioni proprio perché è vera tutta l'ambientazione e le storie che vi si inseriscono. La sorte del vivere in quel tempo e in quel luogo è messa completamente a nudo nella sua ineluttabilità.
Anche se, ancora una volta come ne "Il castello errante di Howl", Miyazaki non raffigura in prima linea la violenza del conflitto armato, questa presenza incombe pesantemente per tutta la durata del film fino addirittura a diventarne la chiave per giungere alla conclusione.
Ma le tragedie circostanziate assurgono anche a tragedie universali quando il terremoto del Kanto del 1923 può essere quello del Tohoku del 2011 (che ebbe luogo proprio durante la produzione del film), le guerre mondiali non differiscono dalle odierne guerre in Medio Oriente e la malattia in qualsiasi epoca e a qualsiasi latitudine comporta sempre le medesime sofferenze. È la lotta generica e primigenia dell'esistenza per la quale "bisogna vivere nonostante tutto" e assaporare le fugaci gioie di ogni singolo giorno, come decidono di fare i protagonisti.
Ne è la dimostrazione il fatto che Jiro non lotti e non cerchi di sfuggire alla sua sorte o di cambiare quella dei suoi aeroplani. Accetta quel che accade in maniera passiva, consapevole di non poter modificare lo stato delle cose, dando il meglio di sé soltanto dove sa di poter arrivare, pur con ottusità e a prescindere da tutto quello che succede intorno. È un protagonista ben diverso da Ashitaka o da Pazu, che si agitano tanto per i loro scopi. Jiro fa quello che può, come aiutare chi vicino a lui è in difficoltà, sperare che un giorno gli aeroplani siano usati per scopi civili, ma non crede in alcun modo di poter cambiare lo stato delle cose.
Diversamente, la donna amata lotta strenuamente e per tutto il tempo contro il proprio dramma, da classica eroina miyazakiana che non vuole arrendersi. Solo che è una lotta impari, anch'essa, una lotta che sembra addirittura fine a sé stessa e capricciosa in certi momenti. Più che ammirazione si prova commiserazione per lei.

Questa ricerca del reale fra l'altro è amplificata dai magnifici scenari disegnati, di un dettaglio stupefacente e frutto di una maestria ormai indiscutibile nel panorama dell'animazione. Ricchissimi di particolari e suggestivi grazie al sapiente uso di luci e colori, sono la giusta culla per questo tipo di narrazione. L'attenzione maniacale per la fedeltà storica ha portato a riprodurre con precisione millimetrica i mezzi di trasporto d'epoca, le strade e gli arredamenti, restituendoci "l'atmosfera" di quel periodo come difficilmente si pensa che un disegno animato possa fare.
Per non parlare delle sequenze epiche che coinvolgono centinaia di persone, di case, di oggetti tutti insieme nello stesso fotogramma: non si nota un solo movimento ripetitivo, meccanico o a scatti, la folla scorre fluida e realistica come se fosse interpretata da attori in carne e ossa. Non a caso queste scene si concentrano in momenti di alta tensione nella narrazione: nello stesso piccolo spazio hanno luogo centinaia di movimenti in contemporanea, proprio come accade nelle situazioni vere di panico generale, così che non si sa dove soffermare lo sguardo. Il movimento di massa così ben realizzato è talmente evocativo da lasciare col fiato sospeso, quasi si rimanesse soffocati dalla fiumana di gente in cammino. Come se fossimo lì accanto ai protagonisti, spintonati anche noi, a respirare lo stesso odore di fumo.

C'è poi un altro aspetto da prendere in considerazione, non completamente nuovo e già apparso in molte sue opere precedenti, ma qui certamente più sottile e nascosto, tanto quanto decisivo per conferire al film il suo realismo: l'imperfezione. Quella che rende così umani gli esseri umani e così nostro questo mondo a cui apparteniamo.
L'imperfezione intesa non come colpa o cattiveria o errore, ma imperfezione come dato di fatto dell'esistenza, come impossibilità di distinguere nettamente il bianco dal nero, come parte necessaria e complementare della perfezione. Come componente indissolubile della vita, quella vera.
Leitmotiv dell'intero film è infatti la perfezione dell'aereo al quale Jiro anela e l'imperfezione del modo in cui la sua invenzione sarà accolta dal mondo.
Ma c'è anche la perfezione nella genialità di Jiro dal punto di vista professionale e la sua imperfezione nel gestire l'aspetto relazionale e più intimo della sua vita, sia nei rapporti con la famiglia che nel rapporto con la donna che ama.
C'è la perfezione di Nahoko nell'accondiscendere, comprendere e prendersi cura di Jiro nonostante il suo comportamento (o proprio per quello?), ma l'imperfezione del suo destino ingiusto che rende persino l'amore triste e schiavo dei compromessi.
In breve c'è la perfezione di quegli ideali a cui i protagonisti aspirano, a cui qualsiasi uomo aspirerebbe, e poi c'è l'imperfezione onnipresente della vita reale. Quegli ideali sono irraggiungibili, è questa la vera novità: per la prima volta il mondo di Miyazaki non si risolve in un finale illusorio. Non si risolve neanche nel finale saggio di "Principessa Mononoke" o in quello ambiguo de "La città incantata". Non si risolve e basta, perché è irrisolvibile.

GLI ELEMENTI CARATTERISTICI
Miyazaki, però, resta pur sempre Miyazaki. Se per certi aspetti "Si alza il vento" appare così diverso da ciò a cui ci ha abituati, abbiamo già detto che per tutto il resto il film è probabilmente quello che ritrae più da vicino il suo universo, le sue idee e il suo modo d'essere.
Non poteva mancare, quindi, una frequentissima dimensione onirica in cui il regista dà libero sfogo alle sue fantasie più tipiche, alternando così due registri narrativi distinti. A ben vedere, però, l'aspetto immaginifico in questo film, proprio perché relegato a determinati istanti, esercita un ruolo ancora più potente. Il sogno è tale proprio (e soltanto) perché in opposizione alla realtà.
Il sogno è istinto, azione incalzante, passione debordante, colori vivaci e chiasso allegro "all'italiana". Addirittura, i personaggi al suo interno sono sempre perfettamente coscienti di trovarsi in una dimensione dove tutto è concesso. È come un'agognata valvola di sfogo alle costrizioni del mondo vero, ma anche il luogo incontaminato dove le idee prendono forma e dove si può sperare ancora di realizzarle.
La realtà invece è caratterizzata da costante stasi e formalità, sguardi persi nel nulla, lunghissimi silenzi e, soprattutto, calcoli infiniti. Si dipana tutta fra il lento consumarsi di una sigaretta e lo scrivere numeri su numeri. Niente è facilmente raggiungibile (al contrario del sogno dove qualsiasi stranezza è permessa nell'immediato), ogni piccola conquista è frutto di estenuanti elaborazioni, una lotta interiore portata avanti con paziente razionalità.
C'è una sola eccezione: l'innamoramento. La passività-da-rassegnazione può essere vinta soltanto per l'amata, fino a piangere addirittura, fino a mettersi in pericolo e mettere in pericolo ogni cosa per lei. Non eroicamente come Ashitaka, ma umanamente e fragilmente come Jiro Horikoshi.
L'innamoramento sembra essere in grado di conferire alla realtà, per brevissimi e fugaci istanti, tutte le magiche atmosfere e i colori del sogno. Non più interminabili silenzi seduto a una scrivania, ma parole, risate, cielo e natura, azione.
È forse questo il momento meno realistico e più idealistico di tutto il film, che farà battere il cuore di molti spettatori per la sua delicatezza e storcere il naso a tanti altri per la sua prevedibilità e romanticheria. E che costituisce un topos dell'intera filosofia miyazakiana, qui trattato con un'eccezionale sensibilità: la donna è la strenua combattente che sopporta in silenzio e offre appoggio e protezione a costo di sacrificare sé stessa, l'uomo è l'eterno bambino smarrito che necessita delle sue cure, della sua approvazione e del suo incoraggiamento come dell'ossigeno per respirare. Solo così lui può compiere grandi imprese e svolgere al meglio il proprio lavoro, che è poi ciò che lo nobilita.
È dunque solo l'ansia che fa correre e piangere Jiro? Oppure è terrorizzato come un bambino all'idea di perdere la sua àncora di salvezza e, di conseguenza, la possibilità di realizzare il suo sogno? Siamo sicuri che sia proprio Nahoko ad avere bisogno di quella mano stretta e non sia piuttosto Jiro, come lei ben sa, il primo a necessitarla? La donna è proprio l'anello di congiunzione tra la realtà e il sogno, ciò che permette a Jiro di portare avanti i suoi progetti senza perdersi nell'uno o nell'altro mondo.

SPOILER
Eppure, piano piano nel corso della trama, anche il sogno viene contaminato dalle imperfezioni della realtà. Forse perché Jiro cresce e matura grazie alla donna che ama, forse perché anche la realtà viene poco a poco influenzata dalla positività del sogno nel momento in cui Jiro si avvicina al realizzarlo.
Il punto di contatto fra i due mondi però, invece di costituirne il momento di equilibrio, rappresenta quello della disgregazione: nella vita vera non si può avere tutto. L'anello di congiunzione si spezza, perché ha esaurito la sua funzione: la donna può finalmente gettare le armi e arrendersi al destino, avendo accompagnato il proprio uomo all'apice del sogno tanto agognato. Da adesso in poi per Jiro inizia una nuova esistenza.
E nel momento in cui tutto ciò avviene, la preoccupazione e lo smarrimento dipinto sul volto di Jiro, lo sguardo rivolto altrove, i capelli mossi dal vento invisibile, il silenzio di questa consapevolezza, sostituiscono la gioia e la baldoria che ci aspetteremmo. In modo emblematico le persone che lo attorniano devono richiamare la sua attenzione addirittura scrollandolo per un braccio. Il percorso di formazione del nostro protagonista è giunto al termine: sogno e realtà, da adesso in poi, non saranno più così disgiunti.
È tutto finito. Miyazaki ci scaraventa senza troppi complimenti nella scena finale in cui ogni cosa è confusa: passato, presente e futuro, mondo reale e mondo ideale, ormai non ci sono più distinzioni di sorta. Non ci sono spiegazioni che tengano, non ci sono perché, non ci sono ragioni: semplicemente è accaduto, semplicemente accade, così come accade di essere al mondo, di respirare e di costruirsi il proprio percorso fra le genti.
Bisogna solo vivere, cogliere il momento e lasciarsi andare al vento che si alza ad accompagnare le nostre esistenze: il vento costante che fa arrivare lontano le passioni, il vento impetuoso che distrugge senza poter essere fermato, il vento dolce che sospinge fra le braccia dell'amata, il vento imprevedibile che ci porta dove vuole contro la nostra volontà, il vento lieve delle piccole cose che danno gioia. Un alito di vento capriccioso che anima tutte le nostre vite.

CONCLUSIONI
Un lungometraggio di grande spessore, sia a livello tematico che di realizzazione tecnica e, soprattutto, di encomiabile sensibilità e rigore storico. Non è di certo un film per tutti, né tantomeno il classico cartone animato per famiglie.
È rivolto prevalentemente a un pubblico adulto disposto ad affrontare tematiche mature, ma ancora capace di meravigliarsi e commuoversi come i bambini. Lo spettatore ideale per questa pellicola è la persona senza preconcetti, non per forza fan sfegatato di Miyazaki, un adulto qualsiasi semplicemente disposto a lasciarsi rapire e trascinare dall'atmosfera suggestiva del film.
Il mio voto è 10, ma so di essere di parte perché adoro i lavori sfornati dallo Studio Ghibli e il tipo di percezioni che mi regalano. Magari sarà 8 per chi ama un altro Miyazaki e non apprezzerà fino in fondo la "svolta realista" del maestro. Potrebbe essere 6 per coloro che in un lungometraggio preferiscono character design più elaborati e suspense da thriller rispetto allo slice of life che contraddistingue quest'opera.
Ma dare meno di 6 a un lavoro di questo tipo credo francamente che sarebbe un abbaglio. Vorrebbe dire, a prescindere che sia piaciuto o meno nei contenuti e nel suo svolgersi, negarne innanzitutto l'incredibile valore documentale e l'impegno realizzativo. Come ho detto spesso per i film dello Studio Ghibli: anche soltanto a guardare i meravigliosi scenari disegnati c'è sempre da rimanere incantati.


- Kary89
 
Una recensione lunga e puntuale che sottolinea bene la presenza di finzione e invenzione nel realismo del film, molto documentata (e ottimamente!), molto bilanciata tra contenuto espositivo e taglio critico. Spicca un'ottima conoscenza dell'autore con una vivace focalizzazione sui punti chiave. Molto bella la scrittura, precisa e nitida, non scontata ma senza orpelli retorici ridondanti. (Shito)
 
Recensione accurata, non indulge alla retorica ma si sofferma sui tratti fondamentali dell'opera, sottolineando la tensione tra idealizzazione e realismo immanente alla storia animata da Miyazaki. Rapidamente ma efficacemente tratteggiati i personaggi, il quadro storico-economico e lo spirito del tempo. Non mancano riferimenti generali alla filmografia del regista, all'interno della quale viene assegnato un ruolo di summa poetica a Kaze Tachinu. (Kyon)

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"E' stata un magnifico vento"

Non è facile giudicare l'ultima e forse definitiva fatica del regista Hayao Miyazaki, uno dei pochi autori giapponesi a non aver bisogno di presentazioni. Perpetuamente in bilico tra realismo nella ricostruzione (di eventi, situazioni, personaggi) e idealizzazione degli intenti, è un film che rinuncia a molti tratti distintivi del suo autore per raccontare una storia di conflitti che si sono svolti internamente e esternamente a una delle figure centrali della storia giapponese.

Si alza il vento racconta in sostanza i dieci anni di creatività (in realtà tredici, contando il periodo universitario) di Jiro Horikoshi, ingegnere aeronautico passato alla storia per aver progettato i primi caccia impiegati nella Seconda Guerra Mondiale dall'esercito giapponese, tra cui il celebre Zero. É una biopic, e come tale presenta molti fatti documentati mescolati ad alcune invenzioni, quest'ultime tratte dal romanzo omonimo di Tatsuo Hori. C'è molto poco di vero ad esempio nella grande storia d'amore che occupa la seconda metà del film. Le stesse Kayo e Nahoko, rispettivamente sorella e grande amore del protagonista, sono personaggi fittizi. Al contrario la carriera dell'ingegnere è narrata in maniera ortodossa e l'ambientazione che fa da sfondo alla vicenda ricostruita con un grado di fedeltà mai visto prima in un film di Miyazaki. Fatti drammatici come il terremoto del Kanto del 1923, la crisi degli anni '30 e tutta la fase di riassestamento economico pre-bellico vengono esposti nella loro crudezza, colpendo a tradimento lo spettatore. Ma è tutta la narrazione, a ben vedere, ad essere dura e onesta. Non siamo ai livelli di un Takahata, ma è qualcosa di diverso da tutto quel che ha prodotto Miyazaki in precedenza e che si può capire solo mettendosi nei panni dello spettatore.

A partire dal protagonista: Jiro Horikoshi viene dipinto come un fanatico dell'aviazione, perso nel suo mondo tanto da trascurare famiglia e affetti. Eppure corre dietro al suo sogno con un tale trasporto infantile da suscitare simpatia. Scommetto che molti professionisti della creatività si saranno identificati in certi suoi atteggiamenti e ossessioni. Dopo "Porco Rosso" e Fujimoto, passando per "Il castello errante di Howl", Miyazaki è riuscito a rappresentare un otaku a 360 gradi senza giudicarlo; non a caso è stato chiamato Hideaki Anno, esordiente assoluto nel mondo del doppiaggio, per interpretarlo. Anche i comprimari hanno un'inusitata profondità psicologica, pur non uscendo da certi modelli consolidati nella filmografia del regista: Honjou amico "adulto" del protagonista come Ferrarin, Nahoko ricorda nella sua devozione molte eroine-mamme del passato. Vivaci, ma limitati dal loro ruolo, i due mentori Castorp e Kurokawa, mentre merita un approfondimento maggiore il conte Caproni, unico interlocutore di Jiro nelle uniche sequenze oniriche del film. La venerazione di Miyazaki per il nostro ingegnere non è mai stata un mistero, tanto ispirare il nome del proprio studio di animazione (Ghibli è la firma di uno dei suoi motori). A Caproni viene infatti riservato il compito di spiegare il grande conflitto della storia dell'umanità: si può inseguire il progresso al prezzo della guerra? Cosa è preferibile, un idillico rapporto con la natura o un mondo con le piramidi? Quesiti non facili, che nel film, come in "Mononoke Hime", non trovano risposta. D'altronde pure Miyazaki non è mai riuscito a conciliare la sua passione per gli aerei da guerra con il suo marcato pacifismo. La presenza di questo dissidio, assieme alle sequenze di umanità dosate con perizia, fa di Si alza il vento il testamento-capolavoro del regista.

Sarebbe facile a questo punto della recensione perdersi nella disamina delle animazioni del film, che, da tradizione Ghibli, raggiungono l'eccellenza. Ogni ingranaggio, ogni tessuto, ogni gesto simulano una fisica quasi stordente per verosimiglianza. Sequenze come il citato terremoto e l'incontro in stazione tra Nahoko e Jiro sono investite di pathos per come sono state animate. Mi hanno sorpreso in positivo le grandi folle di persone che invadono lo schermo a più riprese, la bellezza dei calcoli a matita e i riflessi sugli occhiali-fondo di bottiglia del protagonista.

In conclusione Si Alza il Vento è forse il film più personale di Miyazaki. Lento e didascalico nella prima metà, tragico e romantico nella seconda, mette in scena più di ogni altro la sua poetica al fine di raggiungere l'agognata maturità artistica. Da consigliare caldamente ai fan del regista e dei film d'autore, sconsigliato a chi, a un prodotto d'animazione, chiede l'evasione e nulla più.


- kodamina
 
Recensione estremamente focalizzata ed equilibrata, si distingue per essere l'unica tra le eccellenti ad essere cosÏ concisa, eppure esaustiva. Sempre documentata e veritiera, non si mette in mostra per sciorinare dettagli, ma colpisce precisamente al cuore delle cose con piccoli tocchi spesso molto ispirati. Davvero molto ben scritta, mai retorica, ma suggestiva ed efficace. (Shito)
 
Brevità non vuol dire incompiutezza. Si tratta di una recensione ritmata ed essenziale, piacevole da leggere e azzeccata nel quadro che delinea. Accurata al punto giusto, trova un buon equilibrio tra freschezza descrittiva e profondità, coniugando bene il piano denotativo e quello connotativo. Un'ottima resa dell'atmosfera del film, che si sostanzia di pennellate rapide e leggere. (Kyon)

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<b>Attenzione: la recensione contiene spoiler</b>

"Vola solo chi osa farlo" (Sepulveda)

Quanto è assillante questa metafora per gli intellettuali di tutti i tempi, quale prepotente brama di riscatto dal disagio della vita terrena li spinge a cercare nel volo la liberazione ultima?
Il folle volo di Ulisse e il volo di tutti coloro che hanno voluto oltrepassare il confine: quando la realtà non basta a placare quel senso di avvilimento che caratterizza l'anima di un sognatore, ci si deve spingere oltre, in un luogo dove sia possibile far volare un aereo con un dito. Quel luogo è dentro e fuori ognuno di noi, è oltre le colonne d'Ercole o è semplicemente immutabile lì, nel mondo della nostra immaginazione. Miyazaki ci dice fin dalla prima scena di cosa parlerà la sua opera, e nella dimensione onirica della storia fa rivivere personaggi realmente esistiti e, attraverso loro, vive anche lui per l'ultima volta nelle sue sceneggiature, proiettando sul protagonista la sua stessa passione per il disegno, mettendo in scena il suo stesso racconto di eterno bambino sognatore, che ha avuto i suoi "dieci anni" per realizzare un progetto e che vuole fermarsi lasciando nel cuore delle persone il faticoso messaggio di sperare.

In un Giappone impressionista e popolato come un quadro di Brueghel, cresce Jirō Horikoshi, rimasto negli annali per aver progettato il caccia giapponese Mitsubishi A6M Zero, per lungo tempo considerato il miglior aereo da combattimento, prima utilizzato per l'attacco a sorpresa a Pearl Harbor e in seguito utilizzato dai giovani piloti kamikaze per i loro voli suicidi contro la flotta americana. Il messaggio politico però non è quello di esaltare una macchina di morte, bensì quello di esaltare il genio creativo di qualcuno che, a causa di una "miopia" carica di connotazioni simboliche, non può volare ma solo progettare. "Il viaggio di inverno" di Shubert che si ode da quella finestra aperta sulle buie strade tedesche, è quello di Jirō ed è quello dell'eroe romantico che cerca il senso della vita abitando un mondo tutto dentro di sé.
La ricerca tecnica e storica di Miyazaki è estenuante, ogni dettaglio è maniacale. La trasposizione del reale, però, viene mitigata dal dialogo onirico con l'ingegnere Caproni, che risulta essere esilarante soprattutto per il simpatico stereotipo in cui il Maestro, innamorato dell'Italia, inquadra il nostro famoso progettista. Caproni da buon italiano è allegro, attaccato alla famiglia e al "buon vino". Questa descrizione è supportata dal geniale Hisahishi, che contamina di mandolino una meravigliosa colonna sonora.

In questa sottile atmosfera di dormiveglia, dove il terremoto e la guerra hanno il suono di un luttuoso lamento - "Le vent se leve! Il faut tenter de vivre" -, aeroplani di carta e pastelli fanno da sfondo al tenero amore di Jirō e Naoko. Questo amore spezza il ritmo minuzioso della trama e lo profuma di leggerezza e di quella bellezza e perfezione che caratterizza l'opera d'arte giapponese. Nonostante tutto quando si alza il vento, la facilità, che fa volare un cappello galeotto dalla tua testa, è la stessa con cui la vita ti porta via le persone che ami; la malattia, in tal modo, porta via Naoko, che scompare, invitando Jirō - che cammina tra le macerie del proprio talento diventato arma di distruzione -, a vivere.

Le opere di Miyazaki ti lasciano sempre qualcosa nel cuore: essere rapiti dall'essenziale semplicità dei sentimenti di cui è composta la vita è sempre calorosamente disarmante.
Quindi grazie Miyazaki per questa pellicola e per tutte le altre, grazie per averci fatto commuovere e averci nel frattempo regalato "Totoro", grazie di aver dato a noi adulti la possibilità di sentirci bambini e grazie per non averci lasciato soli in questa meravigliosa e malinconica via di fuga, l'immaginazione.


- Rygar
 
Una recensione dal taglio molto colto, ma personale e genuino. Nonostante ciò, mostra un contenuto di lettura critica personale assai spiccato, con un testo che non si perde mai nell'autocompiacimento scrittorio, aprendosi poi a un lato più schematico e didascalico sull'opera. Nel totale risulta sempre ben scritta e bilanciata, documentata e funzionale, con picchi espositivi particolarmente ispirati. (Shito)
 
Descrive bene lo Zeitgeist tratteggiato nel film, con dovizia di dettagli e riferimenti puntuali alla realtà riprodotta da Miyazaki. Ordinata e completa quanto agli aspetti trattati, si sofferma tuttavia poco sull'aspetto amoroso della storia. Questo la rende una recensione 'anomala', ma comunque ricca di pregi espositivi e di passaggi espressivamente efficaci. (Kyon)

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L'uomo è una creatura imperfetta e incompleta, consapevole delle sue condizioni e dei suoi limiti. Come tale nutre un bisogno metafisico unico tra tutte le specie di viventi sul pianeta Terra. Questo bisogno metafisico si traduce in sogni e aspirazioni che sconfinano con quanto la natura e la realtà possano permettersi di offrire. Ed è qui che l'imperfezione e l'incompletezza della natura umana, spinte prepotentemente dal desiderio, dall'ambizione e dal sogno, plasmano e alterano la natura circostante nel costante tentativo di plasmare l'irreale. Non solo per soddisfare le tipiche esigenze rappresentate dalla piramide dei bisogni di Maslow, ma anche per concretizzare ciò che l'uomo cogita, immagina, sogna. Uno dei più antichi sogni della creatura imperfetta e incompleta denominata "uomo" è sempre stato quello di volare. L'uomo non si basta, "nemmeno Dio gli basta", e, insoddisfatto della sua condizione di bipede che calpesta il suolo, ha, nel corso dei millenni, ripetutamente cercato un metodo per superare le sue limitazioni fisiche e potersi librare in cielo. Con l'invenzione dell'aereo l'uomo è riuscito a concepire un metodo per aggirare la sua stessa natura e sperimentare l'ebbrezza dell'assenza di suolo sotto i piedi, sentendosi a modo suo parte del firmamento.

Ed è così che Hayao Miyazaki, regista di fama mondiale, intende congedarsi dal mondo del grande schermo. Ed è così che omaggia sé stesso, lo Studio Ghibli (il cui nome deriva dall'aereo Caproni Ca.309 "Ghibli" - questo film è un costante plauso all'ingegner Giovanni Battista Caproni), e omaggia tutti gli spettatori con quest'ultima, memorabile opera: "Si alza il vento".

"Si alza il vento" è un film della stagione estiva 2013 della durata di 126 minuti. L'opera trae ispirazione dall'omonimo romanzo breve Tatsuo Hori del 1936, il quale sospinse la creazione del manga di Miyazaki del 2009.

Trama: l'intera trama del film par essere sostenuta da due grandi incipit:

«Le vent se lève... Il faut tenter de vivre!» Poema di Paul Valéry del 1920, Le cimetière marin.
«Gli aerei non si pilotano, si creano!» Frase pronunciata in sogno dall'amico e maestro Giovanni Battista Caproni.

Jirō Horikoshi, ragazzo di buona famiglia, è sempre stato un appassionato di velivoli e desidera diventare un pilota di aerei. Il ragazzo però soffre di miopia, per colpa della quale non può coronare il suo sogno. Fortuna vuole che a scuola egli ha avuto la possibilità di consultare una rivista d'aviazione, grazie alla quale scopre l'esistenza di Giovanni Battista Caproni, ingegnere aeronautico italiano. Caproni gli apparirà in sogno, esortandolo a non rinunciare ai suoi desideri e mostrandogli l'essenza del progettista e del costruttore di aerei. Quel sogno sarà per Jirō la chiave di volta della sua esistenza. Cinque anni dopo quell'evento onirico, il ragazzo prenderà il treno per Tokyo al fine di studiare ingegneria all'università. Durante il viaggio incontrerà Naoko e Okinu, che salverà da un improvviso terremoto che coinvolgerà il convoglio con cui viaggiavano. L'incontro con Naoko impreziosirà la vita del ragazzo grazie al sentimento dell'amore.
Giunto a conclusione dei suoi studi, Jirō lavorerà presso una "primitiva" Mitsubishi come progettista di caccia leggeri, ed è lì che incontrerà il grande amico Kirō Honjō. Sullo sfondo le loro più importanti realizzazioni: rispettivamente il Mitsubishi A6M "Zero" e il Mitsubishi G3M.

Amore d'altri tempi, orrore per la guerra e la grande passione per gli aerei sono le tematiche che costantemente s'intrecciano e si dispiegano in tutta la loro bellezza.
Ed è la vita che deve essere vissuta a tutti i costi ad assumere il ruolo di forza trainante di questo lungometraggio.

Grafica: complessivamente valida. Le ambientazioni sono spesso ottime per varietà, bellezza, cura e precisione del dettaglio, anche se non sempre è riscontrabile la medesima qualità. Le animazioni sono ottime per fluidità e rapidità. Il tipico character design di Miyazaki è ben presente in tutta la sua consolidata grazia e semplicità. Ottimo mecha design.

Sonoro: sicuramente all'altezza del film. Un'opening piuttosto delicata introduce lo spettatore al film. L'ending è più dolce e malinconica, a tratti commovente. OST graziose e appropriate al contesto, il cui richiamo alla sigla iniziale è chiaramente percettibile. Degni di nota gli effetti sonori, soprattutto i suoni dei motori presenti nei sogni di Jirō, poiché spesso realizzati a livello "onomatopeico": paiono proprio realizzati da persone che sbuffano e borbottano, piuttosto che dall'effettiva riproduzione sonora di un motore o del fragoroso boato di un terremoto. Adattamento italiano perfetto, ottime le pronunce della lingua francese e tedesca, ottima la resa semantica globale.

Personaggi: ineccepibili in tutto e per tutto. Una caratterizzazione straordinariamente vivida che consente allo spettatore una grande immedesimazione nei vari personaggi. I personaggi sono plausibili, logici, autentici e perfettamente appropriati al contesto, senza dover ricorrere a fastidiose forzature tipiche di alcune produzioni contemporanee. Il fattore evolutivo è presente e tangibile, così come è ottimo il fattore psicologico e introspettivo. L'interazione s'attesta ad altissimi livelli.

Sceneggiatura: l'opera è sintetizzabile come un vettore in costante accelerazione la cui origine è il 1918 e la cui fine si disperde negli anni '40, in quei foschi e tragici meandri della Seconda Guerra Mondiale. La gestione temporale è pertanto fluida, lineare, fruibile, non si perde in flashback ed è tutta proiettata nell'avvenire, o "nell'avanguardia" come ricorda l'amico Kirō Honjō contemplando il design del suo ultimo aereo. Il ritmo è inizialmente più lento, per poi accelerare gradualmente fino a giungere alle fasi salienti dell'opera. Le scene d'azione non mancano, così come non mancano suggestive e bizzarre scene oniriche. Non manca la morte, resa alla perfezione. Degna di nota è la presenza del fumo: che sia fumo di ciminiere, di tubi di scappamento di automobili o aeromobili, di fumaioli di instancabili locomotive a vapore o dell'onnipresenza del fumo di sigaretta, il fumo è una cornice immancabile dell'opera. È presente un cospicuo quantitativo di fanservice tecnico, mentre è tassativamente proibito ogni altro tipo di "esposizione". L'appassionato di aerei troverà pane per i suoi denti in questo film, ma non solo. Chi ama il mondo ferroviario sarà deliziato dal poter ammirare alcuni rotabili giapponesi d'anteguerra e addirittura un meraviglioso esemplare della locomotiva a vapore S 3/6 delle Ferrovie Reali Bavaresi nella livrea d'origine verde con filettature dorate. Lo stesso dicasi per l'intenditore di auto d'epoca.
I dialoghi sono semplicemente magnifici, capaci di saper rendere alla perfezione la tipica conversazione d'epoca ricca di formalismi ormai obsoleti e termini di sapore squisitamente tecnico o puramente sociale.

Finale: non si poteva chiedere di meglio da un'opera del genere. Amare e realistiche riflessioni tra Jirō e il Conte Caproni. Sullo sfondo, la presentazione dei mesti eventi rielaborati in chiave onirica quali il triste sogno maledetto dell'aviazione e la dolorosa rescissione dei legami affettivi rappresentata dall'inesorabilità della morte. Messaggi forti e di chiara denuncia raccontati con magistrale dolcezza e grande stile. Il consumato genio di un grande regista trova in quegli attimi l'apice del suo talento. Cali dunque il sipario.

In sintesi, "Si alza il vento" è, al netto dei difetti, un ottimo prodotto nonché summa concettuale e contenutistica dell'esperienza pluriquarantennale di Hayao Miyazaki e quasi trentennale dello Studio Ghibli. Il film è un capolavoro anomalo, un'opera eclettica, onirica, visionaria, che mostra la straordinaria evoluzione tecnologica dei vent'anni che separavano le due guerre mondiali e l'incredibile evoluzione umana del personaggio Jirō Horikoshi: uomo fra gli uomini, dalla schiena sempre dritta, dalla condotta integerrima e dotato di un prodigioso talento suffragato dalla sua grande passione e dal grande amore che riceve da chi lo circonda, siano essi colleghi di lavoro, amici, affetti o presunti quanto fugaci estranei. Eternamente sul confine tra sogno e realtà, amico onirico del Conte Caproni, che, come Virgilio per Dante, lo guida attraverso i suoi incontri onirici ad esprimere il suo genio e a superare l'impasse rappresentata dalla sua miopia, spronandolo di volta in volta ad essere audace, rivoluzionario, innovativo, e nel contempo, a guardare in faccia alla realtà, con tutti i suoi limiti e tutti i suoi orrori. E nonostante tutto questo, deve vivere.

Il film è consigliato a tutti gli amanti dei prodotti del buon Hayao e a coloro che ricercano un'opera profonda, poetica, contenutisticamente sempre attuale, e che, per una volta, rispetta e valorizza l'Italia e le sue menti più illustri.



Menzioni speciali della giuria:

[premio conferito: icona di AnimeClick.it Premio Poeta]

- Mitsuki_92
 
Ben scritta (con qualche sbavatura), ordinata, piuttosto focalizzata e molto onesta. (Shito)
 
 Buona capacità di sintesi degli elementi essenziali del film, scrittura dal buon piglio espressivo. (Kyon)


- Honze
 
Molto elegante e raffinata, documentata, ma un po' vaga a tratti. (Shito)
 
Basata su una forte accentuazione dei contrasti, si distingue per un ottimo stile. (Kyon)


- 9th
 
Molto narrativa, qualche sbavatura, ma molto vera e onesta. (Shito)
 
Personale, nell'avvio anche aneddotica, e nel complesso ben argomentata. (Kyon)


- Airi-chan
 
Concisa e focalizzata, molto ben scritta. (Shito)
 
Ottimo trafiletto, decisamente coglie il midollo della storia. (Kyon)


Premio della critica:

[premio conferito: da annunciarsi prossimamente su AnimeClick.it]

- LetItBe
 
Ben scritta, taglio molto interessante e focalizzato. (Shito)
 
 Una delle recensioni più interessanti, incalzante e immaginifica. (Kyon)


Vogliamo infine ringraziarvi per aver partecipato numerosi e aver condiviso con noi le vostre impressioni e riflessioni sull'ultima fatica di Miyazaki Hayao.
Vi ricordiamo inoltre che i summenzionati quattro vincitori verranno da noi contattati per la scelta e la consegna dei premi.