Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a opere recenti, con gli anime Mekaku City ActorsTrinity Seven e Kekkai sensen.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Shintaro Kisaragi, NEET diciottenne rintanato nella propria stanza da due anni, vive la sua comunissima vita immerso nel mondo virtuale del proprio computer. A tenergli compagnia c'è Ene, una "cyber-girl" approdata nei suoi dispositivi elettronici dal giorno in cui un anonimo gli inviò una misteriosa e-mail. L'esistenza di Shintaro cambia radicalmente il 14 agosto, quando, causa un guasto alla propria tastiera, è costretto a uscire nel mondo esterno. Durante l'acquisto viene preso in ostaggio da un gruppo di criminali che hanno fatto irruzione nel negozio. Proprio in questa occasione viene in contatto con alcuni membri di quella che scoprirà essere la "Mekakushi Dan" (la Gang Bendata), grazie ai quali riesce a sventare la rapina.

"Mekakucity Actors" è un anime tratto dalla serie "Kagerou Daze", diventata famosa grazie all'omonima serie di canzoni e light novel. Diretto da Akiyuki Shinbo e prodotto dallo studio Shaft, è stato trasmesso durante la stagione primaverile del 2014.

Grafica: voto 6,5/10
Il reparto grafico dell'anime è atipico. E' evidente la mancanza di un lavoro approfondito sull'animazione dei personaggi, i quali assumono uno strano aspetto che può piacere o meno. I colori sono molto forti e ben distinti, tanto da conferire un senso di surrealtà. Da apprezzare invece il largo utilizzo di animazioni computerizzate che rendono l'anime unico nel suo genere.

Audio: voto 10/10
Il comparto sonoro è forse la vera punta di diamante della serie. Le canzoni sono tratte proprio dalla serie di canzoni "Kagerou Project" da cui è tratto l'anime. Esse non fanno semplicemente da sottofondo, ma raccontano loro stesse gli avvenimenti e le sensazioni dei personaggi; sono tutte coinvolgenti, molto ben fatte e riescono ad enfatizzare la narrazione. Meravigliose la opening "Daze" e la ending "Days".

Personaggi: voto 7,5/10
I personaggi sono ben congegnati: essi sono rappresentati nella loro più profonda psicologia, mostrandone accuratamente desideri, passioni e delusioni. Tutti i personaggi dell'anime sono protagonisti, ognuno con la propria storia, senza mai sfociare nella banalità, e ognuno di essi svolgerà un ruolo fondamentale per gli avvenimenti successivi.

Sviluppo trama: voto 8/10
La trama presentata nei primi episodi non è che una minuscola parte della vera storia celata dietro l'intera serie. Lo sviluppo della storia, apparentemente caotico e senza alcun filo logico, va a strutturarsi con più tecniche differenti. La prospettiva della narrazione si basa principalmente su due tipi di onniscienza: quella multi-selettiva (fatti narrati dal punto di vista di più personaggi) e quella selettiva (vicende che si sviluppano attraverso le testimonianze dei personaggi). Proprio quest'ultima ha un ruolo fondamentale, poiché è proprio tramite l'ampio uso di flashback che lo spettatore riesce finalmente a ricollegare tutti i fatti precedenti e dare così un senso logico al tutto.

Intrattenimento: voto 7/10
Nonostante si sviluppi attraverso ricordi del passato, "Mekakucity Actors" rimane un anime assai gradevole da seguire. Esso non risulta essere quasi mai noioso, con un'alternanza di scene esilaranti e drammatiche, enfatizzate dalle splendide OST e dai colori sgargianti.

In definitiva, "Mekakucity Actors" è una serie col solo scopo di intrattenimento, e proprio sotto questo aspetto risulta essere un ottimo prodotto, seppur non un capolavoro. L'unica nota veramente negativa sono il numero degli episodi: il racconto dei fatti antecedenti alla storia viene portato eccessivamente avanti lasciando pochissimo spazio alle avventure effettive dei personaggi, che vengono raccontate sporadicamente e troppo velocemente nel finale della serie. Nonostante ciò esso è un anime originale, unico nel suo genere, che riesce a coinvolgere e intrattenere lo spettatore senza alcuno scopo moralistico o interpretativo.




8.0/10
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Cosa succede quando si prende uno shounen e lo si infarcisce con magia, azione, combattimenti, un harem e tanto fanservice ecchi? Si ottiene una furbata chiamata Trinity Seven.

Nato originariamente dalle menti maligne di Saito Kenji (sceneggiatura) e Nao Akinari (chine), Trinity Seven è un anime che prende tutti gli stereotipi tipici degli shounen e li plasma a proprio piacimento, sfruttando il tutto senza alcuna remora.

Arata Kasuga è un liceale come tanti, la cui unica pretesa è quella di vivere una vita tranquilla e pacifica insieme alla cugina Hijiri. La routine tanto da lui tanto amata comincia però a venir meno nel momento in cui incontra una misteriosa ragazza dai capelli rossi che, con voce flebile, gli intima di "svegliarsi", altrimenti sarebbe stata costretta a ucciderlo. Turbato da questo incontro, Arata si accorge con il passare delle ore che il mondo che lo circonda non è reale, bensì è il frutto dell'uso inconscio dei suoi poteri di Candidato Re dei demoni e del fenomeno di decadimento che ne è conseguito. La misteriosa ragazza incontrata in precedenza, la maga Lilith Asami, gli conferma il tutto, esortandolo nuovamente a scegliere fra la morte o l'abbandono totale del suo destino di demone. Presa coscienza degli avvenimenti e che a causa di ciò la cugina è scomparsa nel nulla, Arata convincerà Lilith a portarlo con sé all'Accademia Biblia per istruirlo come mago affinché possa salvare Hijiri dall'oblio in cui è stata reclusa. Su questa premessa ruota l'intero universo narrativo di Trinity Seven, lavoro che sicuramente non brilla in quanto a originalità, ma che riesce a raggiungere brillantemente i propri obbiettivi di intrattenimento senza particolari sforzi.

Se dovessi paragonare questa serie a un autoveicolo, direi senza alcun dubbio che Trinity Seven è un diesel adatto alle lunghe percorrenze, soprattutto per la sua capacità di partire in sordina e poi esplodere in corso d'opera. La prima impressione che si ha dell'opera è difatti quella di uno shounen senza né arte né parte, ma si sa che l'abito non fa il monaco, e solo con il passare degli episodi ci si accorge che il vero punto di forza di Trinity Seven è l'essere riuscito a trovare un perfetto equilibrio fra le varie componenti narrative che lo caratterizzano, fra piccoli colpi di scena e un'ottima caratterizzazione dei personaggi secondari. Se da un lato avremo un protagonista che darà il meglio di sé nelle parti umoristiche grazie alla sua sfacciataggine, dall'altro avremo circa una dozzina di "protagonisti occulti" in grado di agire autonomamente e con ottimi risultati. Una politica capace di colmare le lacune fisiologiche della serie stessa in quanto shounen, ma che rende il tutto più interessante e meno scontato.
Stelle indiscusse di tale scelta sono le Trinity Seven, maghe che hanno raggiunto il massimo nel loro campo di ricerca, nonché personaggi a tutto tondo con le proprie storie e carattere distintivo ben definito. Ognuna di loro è associata a un thema (ovvero un campo di ricerca magica), a sua volta collegato a uno dei sette peccati capitali che rispecchia l'esatto opposto del carattere del/della magus (elemento decisamente particolare che mi ha piacevolmente stupito, devo ammetterlo). Questa "associazione opposta" si rivela essere una delle carte vincenti per lo sviluppo dei personaggi, in grado di lasciare parecchio spazio all'immaginazione dello spettatore riguardo il vero carattere di ognuna delle Trinity Seven. Difatti spesso ci capiterà, a serie in corso, di essere più interessati a scoprire i retroscena di ognuna delle Trinity anziché seguire le azioni di Arata (che resta comunque una sagoma).

Un discorso a parte va fatto per la componente ecchi, da molti vista come troppo invadente, ma che a mio avviso andrebbe considerata tenendo conto del target a cui è rivolta la serie (perlopiù adolescenti). È vero, magari ce ne sarebbe potuto essere di meno, ma una volta entrati nell'ottica narrativa della serie ci si rende subito conto che tutte le "mezze" nudità e i momenti imbarazzanti altro non sono che un pretesto per fare gag e riderci su in modo del tutto spensierato e innocente (anche perché di volgare c'è veramente poco o nulla).

Tecnicamente la serie si attesta su standard nella norma, nonostante non brilli particolarmente per qualità delle animazioni nel computo dell'intera stagione, ma si difende con dignità durante i momenti topici. Da segnalare l'ottima opening Seven Doors cantata da ZAQ e la colonna sonora e cura dei Technoboys Pulcraft Green-Fund.

In conclusione, Trinity Seven è una serie ben lungi dall'essere definita come perfetta, e di sicuro non è adatta a tutti i tipi di pubblico, ma le va riconosciuto l'indubbio merito di aver preso i tanti elementi tipici degli shounen e di averli sviluppati in modo del tutto personale e convincente. Visione decisamente consigliata.




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Purtroppo sono tanti i casi in cui un'opera che sembrava promettere molto (e che effettivamente eccelle) su diversi punti trova il suo più grande scoglio nella sceneggiatura: ci sono cascati svariati autori, nei generi e nelle epoche più disparate. Può essere un fatto dovuto a un'eccessiva ricercatezza a livello di intreccio o tematiche, alla mancanza di mezzi o competenze adeguati, o ancora a una fase di cambiamento artistico-culturale non ancora propriamente assimilata; in ogni caso è ormai appurato che non si tratti di un evento così raro. Kekkai Sensen non fa eccezione, e appartiene a questa nutrita categoria.

Le vicende si svolgono in un indeterminato futuro, in cui in corrispondenza della città di New York si è aperta una breccia tra il nostro mondo e quello parallelo, popolato da creature soprannaturali di vario genere. Sulle rovine della metropoli sorge quindi Hellsalem's Lot, neonata città intrappolata in una "bolla" sospesa tra le due dimensioni, dove umani e alieni sono costretti alla coabitazione. Qua si intrecciano le vicende di un gruppo di personaggi appartenenti alla società segreta Libra - capeggiata dall'elegante e raffinato licantropo Klaus V. Reinherz -, il cui compito è mantenere la pace tra le due comunità, nonché l'ordine all'interno di Hellsalem's Lot. Tra i suoi membri figura il neo-assunto Leonardo Watch, pacifico ragazzo dotato di un particolare potere denominato "Occhio Divino", che gli permette di individuare diverse "particolarità" che altrimenti non sarebbero percettibili all'interno dell'altro mondo.

Originariamente l'opera nasce in forma cartacea nel 2009, su un soggetto originale di Yasuhiro Nightow, noto e apprezzato autore del manga Trigun, che non necessita di presentazioni. L'adattamento animato è affidato al rinomato studio Bones, che dal lato tecnico confeziona un lavoro come sempre ottimale; lo stesso però non si può dire della scrittura, accattivante ma purtroppo lacunosa in diverse parti, tra cui lo stesso finale. Ma direi di procedere con ordine.

Prima di tutto è doveroso specificare che la struttura dell'anime è ormai quella collaudata, quindi di base troveremo una serie di episodi pressoché autoconclusivi, con la presenza tuttavia di una sottotrama principale che fa da tessuto connettivo. Dico "collaudata" perché lo spettatore più attento noterà subito delle analogie, ancora una volta, con Trigun, che oltre a condividerne in parte l'atmosfera possiede anche tutte le caratteristiche sopraelencate. Tuttavia, se in quest'ultimo le puntate autoconclusive hanno lo scopo di porre delle solide basi per il successivo evolversi dell'intreccio, lo stesso non vale per Kekkai Sensen, in cui questo binomio non funziona come dovrebbe. Infatti è solo negli episodi stand-alone che la serie sfrutta a pieno le proprie potenzialità, con racconti di breve durata in cui solitamente vengono descritte le avventure quotidiane di Leonardo a Hellsalem's Lot, che servono principalmente a esplorare la pittoresca ambientazione. Tra trafficanti di persone, combattimenti clandestini, attacchi di vampiri e mostriciattoli divora-hamburger, attraverso gli occhi di Leo la sapiente regia costruisce pian piano il caotico e chiassoso fascino della metropoli, che viene scandagliata in ogni suo anfratto e diviene in poco tempo la vera protagonista dell'anime, mentre al suo interno si intrecciano le movimentate vicende dello sgangherato cast di personaggi.
Parallelamente a ciò inizia a prendere vita l'intreccio principale, che si delinea attorno all'enigmatica figura di Mary Macbeth, soprannominata White, un'esuberante quanto misteriosa ragazza che afferma di essere un fantasma; tuttavia è proprio a partire dall'evento scatenante (l'incontro tra il protagonista e la giovane) che il meccanismo narrativo inizia a perdere colpi. La storia infatti assume un ritmo irregolare, iniziando ad alternare momenti di stallo e parti in cui procede impetuosamente, con un risultato piuttosto fastidioso (in quanto è fin troppo facile perdere il filo ed essere lasciati indietro); senza contare che non c'è connessione, non c'è coesione tra i due stili narrativi, ma sembra che tutto sia lasciato al caso. Come se non bastasse, la storia viene narrata in modo minimale, soffocando un discreto numero di informazioni, che vengono prima accennate e poi lasciate decadere: se questo espediente venisse sfruttato a dovere, potrebbe anche dare forma a uno svolgimento interessante, ma per via della sua struttura non lineare e costruita su diversi piani temporali, Kekkai Sensen è solo confusionario. Confusionario, disorganico e pure affrettato, perché nei due episodi finali, per ovvi motivi di tempo, la sceneggiatura porta a compimento solo l'intreccio principale - peraltro continuando ostinatamente a soffermarsi più sul "cosa" che sul "come" - e lascia miseramente in sospeso le tante altre sottotrame. E ovviamente ciò si ripercuote anche su alcuni personaggi più secondari (tra cui diversi membri della stessa Libra), la cui caratterizzazione risulta spesso superficiale o addirittura quasi inesistente, per via della cattiva gestione dello spazio loro dedicato. Un approccio alla trama meno sconnesso e spezzettato, e più giocato sulla coralità tra i vari personaggi, avrebbe senz'altro giovato alla riuscita del prodotto.

Nonostante la sceneggiatura sia considerevolmente carente, l'ottima regia riesce a rendere l'opera quantomeno scorrevole e piacevole da vedere. Le inquadrature sono sempre ricercate, e la composizione dell'immagine a volte quasi cinematografica conferisce una dinamicità notevole alle scene, specialmente nei momenti in cui il ritmo accelera bruscamente. Inoltre la regista (la giovane e talentuosa Rie Matsumoto) ricorre a un uso esasperato del montaggio, attraverso la moltiplicazione degli stacchi, l'alternanza tra campi stretti e lunghi, il più volte ricorrente fuori campo attivo e un'organizzazione sintattica "sgrammaticata": per fare un esempio sono frequentissime le infrazioni alla continuità spaziale e temporale, i cosiddetti jump cut, che derivano da un certo cinema della Nouvelle Vague, ma sono stati riadattati ai codici dell'animazione contemporanea, al fine di assemblare il materiale visivo a una cadenza deflagrante e schizofrenica. Le musiche, che alternano sonorità marcatamente jazz ad altre più swing e in certi casi anche pop, accentuano quella straniante "eccentricità" che si respira nell'atmosfera simil-newyorkese; le animazioni, infine, si mantengono sempre su livelli ben più alti della media, ma soprattutto puntano a un'esagerazione dei movimenti e delle espressioni, per estremizzare ancor di più la vivacità del prodotto e la stravaganza dei suoi personaggi.

In sostanza, Kekkai Sensen è un anime che si fa vedere con discreto piacere, per merito soprattutto della regia, del comparto tecnico e della superlativa ambientazione, che lo rendono un prodotto divertente e istrionicamente bizzarro; tuttavia, le troppe carenze nella sceneggiatura e la sua eccessiva frammentazione rovinano tutte queste ottime premesse, in quanto la trama principale viene portata avanti in modo assolutamente incompleto, confuso e insoddisfacente. Per questo motivo non posso andare oltre la sufficienza risicata: peccato, perché avrebbe potuto essere molto di più.