Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo Summer Wars e il manga Dragon Quest - La grande avventura di Dai.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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"Evangelion 3.0" rappresenta l'ultima fase, quella più plateale e raccapricciante, del declino di Hideaki Anno. Il terzo capitolo del fantomatico "Rebuild" assume i connotati dell'incubo otaku per eccellenza: la foschia nerastra che avvolgeva il tormentato Shinji Ikari negli ultimi due episodi della serie televisiva anziché ritirarsi per lasciar spazio al cielo limpido diventa fetida, nauseabonda, pronta a distruggere i gloriosi moniti del suo predecessore. L'ennesima trollata d'autore? Potrebbe anche essere, ma sarebbe soltanto l'ennesimo capriccio di un regista che ormai è diventato un po' la caricatura di sé stesso: a furia di prendere in giro gli spettatori, si finisce inevitabilmente col darsi la zappa sui piedi, è inevitabile. Certamente, la decontestualizzazione di un gigante come "Evangelion", trasformato da opera psicologica e riflessiva in penoso blockbuster senz'anima, è sintomo di una generale carenza di idee, nonché di un manierismo urlato e nauseante; l'ennesima rivisitazione svogliata dei soliti cliché; l'autoreferenzialità estrema di un otaku il quale, anziché ritirarsi dalle scene conservando un briciolo di dignità, preferisce intascarsi tanti bei quattrini facendo prostituire senza alcuna decenza la sua gallina dalle uova d'oro.

Il secondo capitolo del "Rebuild" - il primo si trattava di un mero recap della prima parte della serie televisiva - in un certo senso era stato un modo per compiacere gli americani - con il suo Shinji Ikari impavido, novello Schwarzenegger che diventava nientepopodimenoche Dio per salvare la sua donna - senza alcuno sviluppo filosofico e psicologico degno di nota, a parte il fanservice abusato ed urlato - coronato dall'entrata in scena di un nuovo children, una meganekko tanto insopportabile quanto inutile ai fini della trama, nonché dalle numerose inquadrature delle belle natiche di un'insulsa Asuka a digiuno di una qualsivoglia caratterizzazione.
Questo terzo capitolo è ancora peggio, perché - almeno in teoria - vorrebbe tornare ai fasti della serie originale: le gesta eroiche a stelle e strisce del film precedente vengono rinnegate, sebbene in apertura ci sia la solita scena d'azione da film americano di serie B, un combattimento nello spazio in cui il regista fa di tutto per far risaltare i particolari meccanici degli Eva e degli Angeli, fallendo completamente nel rendere "Evangelion" un qualcosa di epico. Anno ricorre addirittura al riciclaggio di alcuni dei migliori brani della colonna sonora di "Nadia - Il mistero della pietra azzurra" - alla faccia della secca creativa! -, con grande sgomento dei fan di vecchia data della GAINAX; dopo tale infelice incipit, Shinji Ikari dimenticherà il suo eroismo impavido, e tornerà ad essere il solito otaku paranoico della serie del '95 - seppur in modo superficiale ed artificioso, senza alcuna introspezione degna di nota. Egli sarà catapultato nel futuro, forse in una dimensione differente - insomma, si tratta di uno di quei cliché fantascientifici triti e ritriti sui quali i fanboy della saga si dilettano a costruire imponenti castelli di carta -, e ivi ritroverà una nuova Misato Katsuragi trasformata nella versione femminile del capitano Okita/Nemo/Gloval di Yamato/Nadia/Macross, che attiverà la sua Corazzata Spaziale/Fortezza Dimensionale/Nuovo Nautilus con la STESSA musica di sottofondo utilizzata nella STESSA scena della serie televisiva di "Nadia - Il mistero della pietra azzurra" in cui avveniva lo STESSO fatto. Il tutto è così ridicolo da rasentare l'autoparodia - e forse quel buontempone di Anno questo voleva fare, a parte le solite questioni economiche già accennate (si pensi all'Evangelion smartphone, messo in commercio grazie a questo revival cinematografico: la metamorfosi di Anno, dapprima otaku complessato in piena crisi esistenziale, ora furbo capitalista sulla falsariga di Steve Jobs).

Ovviamente non manca all'appello un raccapricciante fujoshi bait - la melensa e stucchevole storia d'amore tra Shinji e Kaworu, uno degli apici trash del film; un idillio a base di sonate di pianoforte, toccate (non musicali) e preconfezionate frasi a effetto recitate sotto la candida luce della Luna.
E tutto va avanti così, al solito modo, goffamente, con misteri che non verranno mai svelati, una sceneggiatura che trasuda luoghi comuni da tutti i pori, gli sguardi languidi che si lanciano i due protagonisti del film - con tanto di musica pseudo latino americana di sottofondo - che forse andrebbero bene in un film di Pedro Almodovar, non di certo in un'opera che si fa carico del nome "Evangelion". Come se tutto ciò non bastasse, Anno cerca di ripetere determinate scene da brividi del glorioso "End of Evangelion", tuttavia fallendo miseramente, lasciando lo spettatore più attento perplesso, stizzito e bisognoso di purificarsi dalla perniciosità di una tale insulsaggine visiva.

Ma cosa rimarrà di questo film, una volta che sarà passato di moda? Il testamento spirituale di Anno? La tanto millantata resurrezione della GAINAX storica? Nulla di questo. Perché stiamo parlando del fanservice spinto all'estremo, del feticcio otaku per antonomasia aggiornato a nuovi livelli di squallore, una prostituta cinematografica il cui unico scopo è quello di testimoniare l'invecchiamento che avanza, il coronamento della demenza senile; tante scene vuote e prive di pathos che sfilano all'interno della suprema fiera del ridicolo, un triste teatrino su cui aleggia la goffaggine di chi da più di vent'anni ripete sempre le stesse cose a della gente che dopo qualche mese le ha già dimenticate. La fine di una generazione ormai vecchia, stanca, che si è ridotta ancora peggio delle nuove generazioni di otaku da lei stessa criticate. E chissà che traguardi di inezia raggiungerà il quarto capitolo del Rebuild - sempre se uscirà, anche se non ci conterei molto. Magari nell'ennesimo riciclaggio trash di "Devilman" e "Ideon: Be Envoked" ci ritroveremo delle scene e delle musiche prese di peso da "Karekano", alla faccia di chi vedeva in questo "Rebuild" una nuova rivelazione in grado di farsi veicolo di profonde argomentazioni esistenziali. Ma si sa, i giapponesi per quanto concerne l'animazione hanno la memoria corta, sono superficiali e molto più modaioli e consumisti del modello occidentale che intendono ricalcare. E gli incassi stratosferici di quest'opera a dir poco orripilante ne sono la prova.




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Se dovessi consigliare la lettura di un manga del genere shonen a qualcuno, oltre a Dragon Ball, Hokuto no Ken e altri, consiglierei sicuramente Dragon Quest - Dai no daiboken. Cos'ha di speciale questo manga? La storia? Il tratto? I personaggi? Analizziamo il tutto con ordine.

Era il 1989 quando in Giappone, nelle pagine di Jump, veniva pubblicata una storia ispirata alla celebre saga videoludica Dragon Quest. Il marchio era ed è molto fertile di idee ed ecco che si apprestava a nascere una delle serie shonen più belle mai esistite, Dai no daiboken appunto. Alla sua creazione ci pensarono un trio di mangaka appena usciti dal Bird Studio, il celebre team di assistenti di Akira Toriyama che tutti gli amanti di manga e anime conoscono. Il trio era composto da Koji Inada per le illustrazioni e Riku Sanjo con Yuji Horii alla sceneggiatura. Un gruppetto che assieme fece un ottimo lavoro, direi perfetto.
Ma veniamo alla storia, oggetto principale del discorso: Dai, un ragazzino di circa 12 anni, vive in un'isoletta circondato da mostri di vario genere e trascorre beato le giornate, tra un gioco ed un altro. Ad occuparsi di lui c'è Brass, un mostro dell'isola che lo ha trovato e che lo accudisce. Il sogno di Dai è quello di diventare un prode guerriero e di sconfiggere il Male salvando il mondo. Assieme a lui c'è il fido Gome, un Golden Metal Slime che lo segue dappertutto. Il giovane incontrerà presto un maestro che gli insegnerà le basi per essere un guerriero ed un grande amico che lo accompagnerà ovunque andrà per sconfiggere il Grande Satana appena comparso.

All'apparenza sembra una trama molto semplice e lineare, di come siamo abituati a vederne di tutti i colori e in tutte le salse. E magari non vi posso dare nemmeno torto se ci aggiungo che Dai ha anche un misterioso potere che si risveglia ogni tanto e che gli permette di battere qualsiasi avversario gli si pone davanti. Una trama semplice, banale insomma.
Ma il punto di forza di Dai non è tanto nella sua trama di base (che man mano che si evolve la storia diventa sempre più intrigante e sensazionale), ma quanto nei personaggi e nei loro intrecci semplicemente magnifici. L'evoluzione caratteriale dei personaggi di Dai - La grande avventura è un qualcosa di speciale, di stupendo, che ci regala una crescita psicologica non indifferente e che pone i nostri eroi in problemi che non si fermano all'uccisione di mostri o al salvataggio di una cittadella infestata dai demoni. I nostri eroi vengono posti di fronte anche a problemi quotidiani come l'amore, la gelosia, l'invidia, i sensi di colpa, la scarsa fiducia in sé stessi, la mancanza di una persona importante, tutti elementi che vengono messi in primis e che vengono affrontati in una maniera perfetta, facendo crescere i personaggi fino ad una maturità che mai ci saremmo aspettati.
Risvolti, colpi di scena, in Dai - La grande avventura non mancherà tutto ciò, rivali che portano il lettore a tifare per loro in quanto aventi onore, valori, lealtà, orgoglio e che metteranno in discussione la loro fedeltà al Nemico. Un'opera completa, che culmina nella saga finale, donandoci scontri magnifici, situazioni indimenticabili, rivelazioni, dichiarazioni d'amore e molto, molto altro ancora.

Discostandoci ora dalla trama e dallo schema dei personaggi voglio parlarvi del tratto, altro punto di forza di quest'opera stupenda. Il maestro Inada ci regala una continua evoluzione del disegno, che parte da un semplice e lineare tratto, pulito e piacevolmente osservabile, fino a scene curate magnificamente e meticolose nei particolari. La somiglianza tra il suo tratto e quello di Toriyama è lampante, in quanto ricordo che Koji Inada proviene dal suo Studio, ma la differenza è netta, avendo uno stile che sì, si avvicina a quello del papà di Dragon Ball, ma che fa immediatamente suo, mostrandoci uno stile indipendente e che si discosta totalmente da quello del mentore. Insomma, lo stile di Dai - La grande avventura non è una mera copia di quello di Dragon Ball, assolutamente. Purtroppo molta gente non la pensa così, e dopo una breve occhiata alla trama, ai disegni e a qualche pagina del manga etichetta con ignoranze la saga come una banale copiatura di Dragon Ball.
Parlando del tratto mi vengono alla mente le stupende tavole dei combattimenti tra Dai e Crocodyne, lo scontro con Hyunkel, Baran, Hadler, tutti quei personaggi resi magnificamente. In particolare Hyunkel, con i frontespizi dei capitoli appena la sua entrata in scena, dove è rappresentato stupendamente.

Personalmente il mio primo approccio con Dai no daiboken è stato con il numero 42, epico per chi conosce la storia. Ovviamente non capii molto della trama, non avendo i precedenti numeri, ma già mi colpii per gli splendidi combattimenti che offriva, per i personaggi visivamente accattivanti e per il tratto così somigliante a quello di Dragon Ball. Passò poco tempo e nel 2002 passarono su Italia 1 la serie anime con il titolo "I Cavalieri del Drago" e da lì nacque definitivamente la passione per la serie. Purtroppo l'anime non riscosse molto successo, anche perché troncato a meno della metà non permise una visione completa dell'opera, un vero peccato. Infatti l'anime ripercorre i primi 15 volumi(dell'edizione italiana) dei 54 della serie completa.

Venendo all'edizione italiana, l'opera è edita da Star Comics con un adattamento a "sottilette" di 54 numeri. Con l'uscita dell'anime su Italia 1 la casa editrice iniziò una ristampa dal titolo "Dai - La grande avventura - I Cavalieri del Drago", aggiungendo il titolo (confusionario, tra l'altro) datogli da Mediaset, ma interrotta per scarse vendite. L'edizione è abbastanza reperibile e consiglio veramente a tutti di dargli almeno una possibilità in quanto è un ottimo titolo che non tradirà le aspettative degli amanti del genere, sopratutto i fan del maestro Toriyama.




6.0/10
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"Summer Wars" è un film del 2009 ed è il secondo diretto da Mamoru Hosoda con la Madhouse, dopo "La ragazza che saltava nel tempo". Bisogna far notare che la carriera di Hosoda nell'animazione non è cominciata con "La ragazza che saltava nel tempo", visto che in precedenza il regista aveva avuto modo di realizzare alcune opere per la Toei; opere tra cui anche una che i fan dei "Digimon" probabilmente ricorderanno, il film "Digimon Adventure". Il perché ciò dovrebbe avere importanza per questa recensione è presto detto: la trama di quel film ritorna quasi identica dentro "Summer Wars", tant'è che ho spesso avuto la sensazione di poter prevedere in certi punti lo sviluppo dell'intreccio. La cosa di per sé non sarebbe così grave, se i due film fossero stati girati da due persone diverse, ma così l'impressione che ho avuto, oltre a un senso di deja-vù, è che Hosoda non abbia voluto sforzarsi di sviluppare una trama originale, se ha invece scelto di affidarsi a una sceneggiatura riciclata da un suo vecchio film.

Critiche a parte (che poi hanno valore solo per chi ha visto "Digimon Adventure": tutti gli altri possono godersi il film senza nessun senso di deja-vù), la trama di "Summer Wars" prende le mosse da Kenji Koiso, un ragazzo timido e introverso ma con una predisposizione geniale per la matematica. Kenji lavora alla manutenzione informatica di Oz, un mondo virtuale che connette milioni di persone e in cui è possibile compiere le più disparate azioni, dal chattare con gli amici a giocare in borsa. Un giorno Kenji accetta l'offerta di Natsuki, la ragazza più carina della scuola, di trascorrere con lei il compleanno della nonna nella sua casa della prefettura di Ueda, e qui fa conoscenza della sua famiglia allargata e matriarcale, i cui invadenti membri non perdono occasione di mettere in imbarazzo il povero ragazzo. Ma quando un attacco informatico devasta improvvisamente Oz, per una serie di circostanze la colpa ricade proprio su Kenji, che con l'aiuto della famiglia di Natsuki dovrà lottare per dimostrare la sua innocenza e salvare il mondo di Oz e non solo.

Devo dire che le mie aspettative su "Summer Wars" erano alte, avendone sentito parlare molto bene e conoscendo le qualità del regista, e forse per questo la mia delusione è stata ancor più grande nel realizzare come il film sprechi le sue pur grandi potenzialità per colpa di scelte narrative male sviluppate. In particolare, ciò che Hosoda non è riuscito a gestire qui è l'elevato numero di elementi che affollano la scena, a partire dai personaggi (troppi) fino, soprattutto, al ritmo della narrazione. La storia si svolge parallelamente nel mondo reale e in quello virtuale di Oz, dove nel primo si sviluppano il tema della famiglia e le problematiche legate alla vita affettiva, care al regista, e nell'altro si concentra l'azione e il tema fantascientifico del film, tuttavia i due piani comunicano poco tra di loro e restano fin troppo distinti fino a tre quarti del film, per poi convergere veramente solo nel finale. Mi è sembrato quasi di guardare due film diversi, visto quanto le parti d'azione e quelle più calme sono poco amalgamate: il risultato è che le due fasi dell'intreccio si rubano la scena a vicenda piuttosto che collaborare. Ed è un peccato, perché il film parte molto bene, sembra imboccare subito la strada giusta per confermarsi su un alto livello, eppure man mano che la trama si sviluppa e il cast si fa più nutrito fatica sempre più a dare il giusto spazio a ogni elemento della storia, tanto che il ritmo rallenta eccessivamente e subentra la noia. Complici alcune scene decisamente troppo lunghe e in cui la colonna sonora scompare senza motivo.

Stesso discorso vale per i personaggi. Lo sviluppo dei protagonisti Kenji e Natsuki, dopo un inizio promettente, si arena per cedere il passo agli interminabili membri della famiglia Jinnouchi, così che i caratteri dell'intero cast rimangono poco approfonditi proprio per il tentativo di trovare sufficiente spazio in scena per tutti. E alla fine nemmeno lo spazio dedicato ai personaggi sembra essere ben gestito, con alcuni (tipo Natsuki) che non si fanno vedere per lunghi tratti di film e altri che avrebbero meritato più considerazione. Perlomeno, a fronte di protagonisti troppo sacrificati, a trarre vantaggio dalla situazione è la famiglia Jinnouchi in generale, vero fulcro del film: i suoi membri non possono essere troppo caratterizzati, ma lo sono quanto basta per chiarire i rapporti che li legano e rendere l'idea di una famiglia allargata e caotica, quanto divertente. È un quadro famigliare non dei più comuni, che però rappresenta in ogni caso un realistico esempio di vita associata. Almeno qui Hosoda riesce a far fruttare tutta la sua cura verso la rappresentazione dei sentimenti e le relazioni della vita quotidiana.

A risollevare le sorti del film non basta purtroppo la splendida regia, cinematografica e di gran classe. Bisogna ammettere che sotto il profilo tecnico "Summer Wars" non ha praticamente difetti: ogni inquadratura sembra studiata alla perfezione, il chara design di Sadamoto è qui ancora più rifinito che ne "La ragazza che saltava nel tempo", le animazioni sono fluide e curatissime. Queste ultime in particolare sono veramente eccezionali, sia nelle scene in Oz (accompagnate qui da una bellissima grafica in CG), sia nelle scene "di famiglia", in cui tutti i personaggi si muovono indipendentemente in modo molto realistico.

A mio avviso "Summer Wars" rappresenta un mezzo passo falso nella carriera di Hosoda, il quale tenta di allargare il numero dei personaggi e di aggiungere allo stesso tempo azione alla trama, fallendo però nel gestire la mole di elementi messi in gioco. Non che il film non sia guardabile (e anzi, dal punto di vista tecnico lo è eccome), ma di certo io l'ho trovato un po' noioso e deludente a causa di una trama riciclata, protagonisti sacrificati al gran numero di personaggi, un ritmo lento e una colonna sonora che si dimentica di fare il proprio lavoro. Difetti questi che gli impediscono di sollevarsi dalla mediocrità. Peccato.