Si dice spesso su queste pagine che i giapponesi sono un popolo dalla memoria corta, che non va oltre i successi anime del momento e ignora tutto ciò che è stato trasmesso prima di una breve manciata d’anni.
I sempre più numerosi sequel, remake, ristampe e adattamenti di vecchie glorie ad uso e consumo di un pubblico adulto, in realtà, ci dicono che non è così. O che, perlomeno, lo è per i giovani (che, per forza di cose, non conoscono gli anime più vecchi) ma non per gli adulti, che non dimenticano gli anime con cui sono cresciuti. Lo vedi dal tuo professore sessantenne che in classe ti cita le Time Bokan e le serie di Leiji Matsumoto; dal ragazzo quarantenne dello staff della tua scuola che ti viene a cercare scioccato dal fatto che tu conosci un anime che in Giappone è molto raro come Nanà Supergirl; da tutte le tue insegnanti donne che guardano con nostalgia alla tua cartellina di Sailor Moon Crystal; dalla padrona dell’izakaya che ti fa assistere alla sua esibizione al karaoke della sigla del suo cartone preferito da bambina, Candy Candy, e rimane scioccata quando le dici che tu lo hai visto tutto; dai salaryman cinquantenni dell’izakaya che vanno in brodo di giuggiole quando tu canti al karaoke la sigla dell’Uomo Tigre.
Le vecchie glorie rimangono in un modo o nell’altro impresse nella memoria di chi ci è cresciuto, vuoi perché sono dei bei ricordi, vuoi perché ritornano con nuove produzioni, vuoi perché sono ormai parte integrante della cultura di un certo Giappone, e ci si continua a costruire su un certo business.
Come gli anime, anche i personaggi che gli hanno dato vita continuano a restare vivi nella memoria dei giapponesi, ed ecco che, come in Italia non c’è fiera del fumetto che non abbia il suo bel concerto di sigle dei cartoni animati, vieni a sapere che anche in Giappone fanno i concerti di sigle nostalgiche.
Come quello che ha portato, in una caldissima domenica pomeriggio di fine maggio, me e un mio compagno di classe a Toyota (la città sede della celeberrima ditta di automobili), distante mezz’ora di treno dalla mia Okazaki, per assistere ad un concerto degli Anison Big 3.

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Chi sono gli Anison Big 3? Come dice il nome stesso, è un gruppo formato da tre grandi delle "anison", le sigle dei cartoni animati: Ichiro Mizuki, Mitsuko Horie e Hironobu Kageyama.
Tre nomi che non hanno bisogno di presentazioni, avendo alle spalle più di trent’anni di carriera nel mondo degli anime, e che in Giappone sono ancora attivissimi con vari concerti e registrazioni di nuovi brani.
Per noi che le sigle le abbiamo avute quasi sempre in italiano, forse il peso enorme che hanno questi tre artisti non è poi così comprensibile. Qualche dato en passant, che verrà poi approfondito più avanti con una più dettagliata analisi del concerto: Ichiro Mizuki è l’interprete delle sigle dei più celebri anime robotici di Go Nagai, nonché di innumerevoli anime di fantascienza e produzioni tokusatsu (i telefilm di supereroi); Mitsuko Horie è una delle più famose e prolifiche cantanti e doppiatrici giapponesi (dalle maghette Toei a Candy Candy, da Saint Seiya a Sailor Moon, da Kiss me Licia a Dragon Ball il suo curriculum è sterminato); a Hironobu Kageyama dobbiamo celeberrimi brani di Dragon Ball e Saint Seiya, oltre che un’infinità di altri pezzi tutti grintosi e famosissimi.
Avevo una conoscenza abbastanza superficiale dei pezzi di Mizuki, mentre sono più ferrato su quelli della Horie e soprattutto di Kageyama, ma si prospettava un’esperienza assolutamente indimenticabile, quindi non mi sono lasciato scappare l’opportunità di partecipare ad un concerto del genere. Sulla spinta dell’entusiasmo (perché no, una cosa del genere non te la dimentichi per parecchio tempo), ve ne parlo un po’, anche se purtroppo non posso fornirvi foto o riprese dell’evento, vietatissime come a quasi tutti gli eventi del genere che si svolgono in Giappone, ma cercherò di corredare qua e là con i brani originali o riprese di eventi passati trovati sulla rete con un po’ di fortuna.

 

Si prospetta, del resto, già fighissimo un concerto che si apre con la sigla originale di Mazinga Z (identica nella base musicale a quella che abbiamo sentito in Italia e con un testo forse meno evocativo ma non meno efficace), eseguita da un uomo che sembra direttamente scappato dagli anni settanta, con i suoi capelli ingellatissimi stile Little Tony, la giacca di pelle nera rubata a Fonzie di Happy Days e la sciarpa rossa svolazzante al collo stile il primo Kamen Rider. Ichiro Mizuki compie settant’anni il prossimo anno e in quegli anni settanta sembra rimasto intrappolato per sempre, ma sembra che ci stia benissimo e risulta scoppiettante, vitale, energico, virile e fighissimo più che mai.

 

Più giovane il collega Kageyama, che di anni ne ha cinquantasei e ha un look non meno appariscente ma più giovanile, con una bella tinta bionda sui capelli lunghi. Kageyama rispecchia invece, in pieno, quegli anni ottanta che hanno visto la sua ascesa come cantante di sigle di cartoni animati, e dei bambini degli anni ottanta ha fatto la gioia, presentandosi sul palco sulle note della celeberrima “Cha-La-Head-Cha-La”, la sigla di Dragon Ball Z. Noi abbiamo visto Dragon Ball Z con una sigla italiana del tutto diversa, ma tra videocassette della Dynamic Italia, versioni strumentali che spuntavano negli episodi ogni cinque minuti e nuove cover realizzate per le produzioni più recenti del franchise è un brano famosissimo anche per i fans italiani, specie per quelli come me che se adesso sono in Giappone è anche perché in gioventù sono rimasti folgorati da Dragon Ball.
Credevo che bastasse la sigla di Dragon Ball Z, cantata a squarciagola da me e da tutto il pubblico, a rendere fantastico il concerto, ma questa non è stata che la punta dell’iceberg.

 

Mitsuko Horie ha sessant’anni ed è una donna elegante ed energica, che sembra appunto uscita da un cartone animato per l’incredibile versatilità con cui riesce a modificare il tono della voce adattandosi ai mille vestiti che si è cambiata nel corso della serata. Il suo ingresso in scena, tra le sigle di Candy Candy, Himitsu no Akko-chan (Lo specchio magico) e Papà gambalunga, ha fatto la gioia del pubblico femminile in sala.

 

Potrei scrivere un libro sui tremila momenti esaltantissimi del concerto, che nell’arco di circa due ore mi ha regalato dei momenti assolutamente indimenticabili. A cominciare da Mitsuko Horie che ha inferto un colpo mortale al mio cuore di fan di Sailor Moon. La Horie non ha mai, ufficialmente, cantato delle sigle per la serie (quella storica degli anni ’90, dato che ha cantato una delle versioni di “New Moon ni aishite” per il nuovissimo Sailor Moon Crystal), ma ha doppiato Galaxia, la cattiva dell’ultima saga, che tanta ansia e terrore ha provocato alle guerriere Sailor e agli spettatori che guardavano le loro gesta in tv. Sono passati all’incirca una decina d’anni da quando ho visto Sailor Moon in giapponese per la prima volta, ma quella voce mi fa ancora venire i brividi. Ora, dopo tanti anni, mi trovo in Giappone, e la donna che ha dato vita alla perfida e splendida Galaxia è lì, a pochi metri da me, che se la ride perfidamente e mi dice “Io sono la regina Galaxia…”. Continuerò a risentire questa voce nei miei sogni per molto tempo, questo è sicuro…
Non paga di avermi già emozionato alla follia solo con una frase, la Horie ricorda che sì, lei non ha mai ufficialmente cantato una sigla per la serie, ma di recente le è stato chiesto di rifare “Sailor Star Song”, proprio la opening della quinta saga anni ’90, ed eccola lì, che me la intona davanti. Mi aveva già perso alle prime note…

 

Hironobu Kageyama ha fatto moltissimi brani che adoro, ma soltanto uno, inaspettatamente, è stato fatto al concerto: “Vajra On!”, sigla della serie anni ’90 Zenki (il motivo per cui io conosca questa serie e questo brano è da ricercare in quello che è uno dei miei hobby segreti: attaccare su Youtube tutti quei immensi video di due, tre, cinque ore con “Le migliori opening degli anime anni XX”). Ovviamente mi ero dimenticato dell’esistenza di questa canzone, ma alle prime note mi si è acceso un campanello e sono andato avanti a cantarla tutta, in un’esperienza impreziosita dall’esecuzione più ammorbidita con la chitarra.

 

Da Saint Seiya, dove Kageyama ha lavorato come cantante e Mitsuko Horie ha dato la voce a Hilda di Polaris, un solo brano, che inaspettatamente non era la celeberrima sigla d’apertura “Soldier Dream” (le corde vocali ringraziano, perché mi sarei sgolato più di Kageyama, probabilmente), ma una canzone di cui disconoscevo l’esistenza, realizzata in duetto tra Kageyama e la Horie: “Time - The choice of 2036”. Mi ha conquistato alle prime note, l’ho ricercata, ascoltata per settimane e inserita prontamente nella mia scaletta di brani del karaoke.

 

La figosità di Ichiro Mizuki è difficile da descrivere a parole. Un po’ Hiroshi Shiba, un po’ Kamen Rider, un po’ Lupin III, quest’uomo incarna una virilità d’altri tempi che ti conquista subito, portandoti in un mondo fatto di canzoni esaltanti come poche, come oggi non se ne fanno più (peccato), di vestiti trashissimi eppure fighi allo stesso tempo e di un ardore incontrollabile che comincia a diffondersi nel tuo cuore.
Capitan Harlock col suo “Il mare dello spazio è il mio mare”, uno splendido medley di canzoni di Ultraman, e poi la perla, l’ultima cosa che mi sarei aspettato e che mi ha dipinto sul volto un sorriso scemo e felicissimo.

 

La sigla di Jeeg. Che, come tutti sanno, ha la stessa melodia di quella realizzata in Italia (ma un testo decisamente meno bello, se devo dirla tutta), quindi andargli dietro per cantare non è stato difficile.
E poi, una volta finito il brano, lo senti che fa “Questa canzone è molto famosa. Pensate che in Italia l’hanno rifatta, e faceva così…”. E ti accenna, in un italiano sgangherato ma pieno di pura emozione, “Corri, ragazzo laggiù, vola tra lampi di blu…”. Il mio saltellare urlandogli “Io sono italiano!” si è perso nel fragore del pubblico e non ha dato i frutti sperati, ma, ripensando a questo momento unico, il mio cuore ancora batte, nonostante io ai robot di Go Nagai non abbia mai dato troppa importanza.

 

Difficile a credersi, però, la parte più bella del concerto non è stata le canzoni, ma i mille e più siparietti con cui i tre artisti intrattenevano il pubblico tra un brano e l’altro.
Questi tre grandi si conoscono e lavorano insieme da trenta, quarant’anni, e hanno un rapporto che va oltre quello lavorativo. Quando vedi che la Horie e Kageyama si riferiscono al più anziano Mizuki chiamandolo “aniki” (fratellone), che la Horie viene scherzosamente chiamata “Micchan” e Kageyama, che viene chiamato “Kage-chan”, essendo il più giovane del gruppo viene affettuosamente preso in giro e bullato dai “senpai”, non puoi non sorridere.
Tre grandi artisti, ma anche tre grandi amici, che hanno regalato al pubblico momenti di vera emozione, nel loro continuo citare a ripetizione titoli e frasi celebri degli anime, nel loro scherzare, nel loro ricordare con estremo rispetto il collega Isao Sasaki (altro grande delle sigle anime storiche). Un gruppo affiatato e straordinario, capitanato da un Ichiro Mizuki vero mattatore dell’evento, che ha aperto il concerto e si è occupato di fare presentazioni, chiusura e interazioni col pubblico. E come puoi non ridere quando lo vedi interagire con Himawari-kun, un gigantesco pupazzo-mascotte di un gruppo di idol locale, cercando di fargli fare la Kamehameha con le sue mani da pupazzo.
Non puoi non ridere quando vedi tre personaggi del genere che per coinvolgere il pubblico si mettono a intonare la versione giapponese di “Se sei felice e tu lo sai batti le mani…” modificando il testo per inserire i titoli delle loro sigle più famose con tanto di balletto o la particolarità della città ospite (“Se pensi a Toyota, pensi alle macchine”) e vedi Kageyama che sfotte Mizuki perché non riesce a fare il balletto di trasformazione di Akko-chan e Mizuki che, per ripicca, lo riprende perché non può dire “Z” con lo stesso tono della sigla di Mazinga Z ma deve dirlo con quello di “We gotta Power!”.

 

Difficilmente dimenticherò un’esperienza del genere. Poter star lì, a contatto con gente che ha gli anime nel sangue e che ha collaborato a modo suo per far crescere la tua passione, anche se non lo sa personalmente, è stato fantastico. Poter dare dei volti alle voci, e scoprire che questi volti sono anche simpatici, non ha prezzo. Ultimamente, qui su AnimeClick.it, ci si è chiesti spesso se un evento del genere, con cantanti giapponesi, potrebbe avere successo in Italia. Personalmente ritengo di no, visti alcuni flop passati e visto che il bagaglio culturale dei fan italiani non è lo stesso dei fan giapponesi, per cui noi italiani (voi, io non ne ho più) ad un concerto di Cristina D’Avena ci strappiamo i capelli, ma non conosciamo i cantanti giapponesi, i loro brani e la loro lingua, quindi non ci divertiremmo poi così tanto. Questo stesso show, rifatto in Italia, non sarebbe fattibile, perché si perderebbe tutta la bellezza dei dialoghi tra gli artisti: dialoghi naturali, spigliati, sinceri, nati da un’amicizia e un rapporto lavorativo più che trentennale, che si perdono completamente se chi ascolta non sa il giapponese e perderebbero la loro naturalezza se tradotti da un interprete. Sono grato al fatto di star vivendo qui in Giappone e di conoscere la lingua, perché mi ha permesso di fare esperienze come questa, ma non penso che una cosa del genere potrebbe varcare con successo i confini del Giappone. Oggi mediamente conosciamo meglio le sigle giapponesi più di ieri, ma conosciamo gruppi e artisti nuovi, mentre questi colossi delle sigle giapponesi di un tempo in Italia finirebbero per essere emeriti sconosciuti. Un peccato tanto grave quanto inevitabile, dato che, come si ricorda sempre, gli anime sono qualcosa di realizzato da giapponesi per giapponesi…