Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

-

"Cat's eye", letteralmente tradotto e meglio conosciuto in Italia come "Occhi di gatto", è un manga ideato e disegnato da Tsukasa Hojo dal 1981 al 1985, portato sui nostri scaffali da Star Comics solamente nel 1999.

Ai, Rui e Hitomi sono tre belle sorelle che di giorno gestiscono un piccolo bar, ma all'occorrenza si trasformano in "Occhi di gatto", una famosa banda di ladri d'opere d'arte. A cercare di acciuffare questi pericolosi criminali dall'identità sconosciuta troviamo Toshio Utsumi, agente di polizia ossessionato dal proprio lavoro, nonché fidanzato di Hitomi; ed è proprio grazie al loro rapporto che Hitomi riesce puntualmente ad estorcere informazioni all'ingenuo poliziotto, garantendo in questo modo il successo di ogni missione.
Le tre sorelle, pur essendo delle ladre professioniste, non rubano con scopo di lucro, ma una ragione ben più profonda si nasconde dietro ai loro furti.

Se siete nati negli anni ottanta, o nella prima parte degli anni novanta, "Occhi di Gatto" probabilmente rappresenta una piccola parte della vostra infanzia; ancora oggi, a trent'anni di distanza, al solo udirne il nome torna subito in mente la scoppiettante sigla cantata da Cristina D'avena; Il manga tuttavia approda in Italia solamente quindici anni dopo la trasmissione della prima puntata dell'anime, forte di una fama invidiabile, e del fatto di essere uno dei pochi all'epoca tradotti e pubblicati.
"Occhi di gatto" si compone di una miriade di brevi storie autoconclusive, la maggior parte delle quali completamente slegate fra loro, ma che nell'insieme costituiscono una sorta di trama che verrà approfondita maggiormente nei volumi conclusivi. A fare da padrona è sicuramente la comicità, alla quale però si aggiunge una buone dose di sentimentalismo, seppur mantenendo prevalentemente toni scherzosi. I personaggi presentati sono molti e godono di un'ottima caratterizzazione, interagiscono perfettamente fra di loro, e dato i loro caratteri sarà estremamente difficile riuscire a non affezionarvisi.

Il disegno è quello di un Tuskasa Hojo agli inizi della propria carriera, molto acerbi e scarni di dettagli; il tratto migliora a vista d'occhio col proseguire dei volumi, arrivando ad un buon livello negli ultimi capitoli, anche se ancora non paragonabile a quello di "City Hunter", successiva opera del mangaka. La narrazione è fluida, le mini-storie si lasciano seguire con leggerezza e non rischiano mai di annoiare, e i dialoghi non risultano mai eccessivamente pesanti o prolissi.
Il finale è decisamente la parte più controversa ed emozionante dell'opera; tutti i nodi vengono al pettine, e la storia prende una svolta improvvisa e sicuramente inaspettata. Si potrebbe definire una conclusione dolce-amara, che lascia spazio a differenti interpretazioni.

In conclusione, "Cat's eye" è un'opera che ha sicuramente segnato l'infanzia della maggior parte di noi, e che ha, grazie al suo successo, aiutato notevolmente la diffusione del manga in Italia. Un'opera che mi sento di consigliare a tutti, anche se è ancora distante dai livelli raggiunti nella successiva e più famosa opera di Tuskasa Hojo.

7.0/10
-

“Piacere, il mio nome è Ludwig van Beethoven”. Come reagireste se un losco figuro, brandendo un lanciafiamme per cucinare dei gyoza (ravioli cinesi) si presentasse in questa maniera a casa vostra? Probabilmente gli dareste del pazzo (e forse non sbagliereste), salvo poi scoprire che egli è effettivamente una reincarnazione del celebre musicista, ma soprattutto scoprirete che egli non è l’unico nel suo genere, e dovrete presto prepararvi a ricevere anche i suoi celebri e altrettanto pazzi colleghi.

Queste le premesse di "Classicaloid", serie originale diretta da Yoichi Fujita (regista di "Gintama", "Osomatsu-san", "Binbogami-ga" e altri lavori) e realizzata dallo studio Sunrise, andata in onda dall’autunno 2016 in due cours rispettivamente da dodici e tredici episodi. Se avete familiarità col regista, non vi stupirà più di tanto il fatto che "Classicaloid" sia un’opera spiccatamente comico-demenziale, dove il nonsense e le parodie regnano sovrani.

Già il titolo è chiaramente una presa in giro di Vocaloid, in quanto i suoi protagonisti sono si reincarnazioni di alcuni tra i più celebri compositori di musica classica, ma allo stesso tempo sono personaggi moderni che vivono nel nostro mondo contemporaneo. Inoltre, hanno poteri misteriosi e diversi tra loro (detti “Musik”), che si accompagnano ai remix delle loro più celebri melodie. La serie si articola in una struttura ad episodi autoconclusivi, dove la “trama”, se di essa si può parlare, è relegata decisamente in secondo piano rispetto alle interazioni e alle dinamiche tra i vari personaggi.

Parliamo un po’ di questi: i primi a presentarsi a casa della protagonista umana, una ragazza di nome Kanae, sono il succitato Ludwig van Beethoven e forse il nome più noto a tutti, Wolfgang Amadeus Mozart. In entrambi convivono alcune caratteristiche tratte dagli stereotipi delle figure realmente esistite e altri tratti aggiunti totalmente ex novo: avremo così un Beethoven perennemente in lotta con il destino a lui avverso, genio tormentato e solitario, appassionato di caffè ma anche di ravioli cinesi e disposto a tutto per ottenerne la ricetta perfetta. Egli è forse la personalità più simile al classico protagonista shonen manga, brusco, ingenuo ma assolutamente determinato a raggiungere i suoi ideali, e la sua Musik, che verte sui remix di genere rock-metal, calza a pennello con il suo carattere. Mozart invece si porta dietro la fama di genio un po’ sregolato e donnaiolo, e ciò si rispecchia nel suo aspetto, nel carattere giocoso e infantile e nella sua Musik in salsa pop, dagli effetti grafici coloratissimi.
Abbiamo poi un Frédéric Chopin, hikikomori assai schivo ma molto sensibile, il cui potere è divertentissimo (ma non scenderò nei dettagli per non far troppi spoiler); il famoso e popolare pianista Liszt (per quest’occasione mutato in una bella donna in fissa con il concetto di amore); infine il povero Franz “mai-una-gioia” Schubert, una buffissima riproposta del kohai che spera di essere notato dal senpai Beethoven che tanto ammira (tuttavia, sotto un’aura di apparente superficialità, questo personaggio cela parecchio 'angst', ed è forse il personaggio dal carattere di maggior spessore che compie le riflessioni più profonde nel corso della serie).
Dall’altra parte della barricata abbiamo altri tre Classicaloid, che teoricamente sarebbero opposti al gruppetto sopra descritto, in perfetto stile "Excel Saga" (ricordate la squadra comunal-combattente schierata contro il Palazzo e le sue serve?); l’agenzia in questo caso si chiama Arkhe, e i suoi membri sono il celebre Tchaikovsky, qui mutato in un'apparentemente dolce ragazzina, la “one-hit wonder” Tekla Badarzewska, nonché il “padre della musica”, Johann Sebastian Bach, una misteriosa figura che si esprime solo in termini musicali e che sembra saperne di più degli altri sulle proprie origini e sulla missione che essi devono portare a termine nel mondo.
Altri personaggi includono la già citata Kanae, ragazza proprietaria della mansione dove si insediano i Classicaloid e sofferente per l'assenza del padre, sempre in giro per il mondo; il suo compagno di scuola Sousuke, totalmente negato nella musica nonostante le sue migliori intenzioni; infine l’irriverente Pad-kun, una sorta di tablet dotato di una propria intelligenza e in grado di parlare.

Mi sono soffermata sui personaggi principali in quanto credo che il loro apprezzamento o meno sia il cardine per apprezzare la serie stessa. In altre parole, non ci si può aspettare molta suspense o emozioni forti dalla trama, perché essa è meramente un pretesto per giustificare l’esistenza stessa dei musicisti. "Classicaloid" è difatti pura situation-comedy, che non ha molti altri scopi se non fornire qualche cenno sui principali brani di musica classica e strappare due risate allo spettatore. Ed essendo l’humor un aspetto molto personale del carattere di ognuno, la percezione soggettiva della serie potrebbe variare notevolmente. Con me, questa serie ha funzionato assai bene, facendomi ridere ad alta voce in quasi tutti gli episodi (cosa che non mi accade spesso). Personalmente, aver studiato musica e canto per diversi anni, crescendo quindi con essa, sicuramente mi ha reso ancor più apprezzabile il tutto.

I punti forti si possono dunque riassumere nelle personalità diverse e variegate dei personaggi e nei remix, a mio parere riuscitissimi, dei loro celebri pezzi di musica classica (tra i migliori la rivisitazione enka di “A Maiden’s Prayer” di Badarzewska, con tanto di sala karaoke che ne rende perfettamente il tono vintage, o la suonata “Kreutzer” di Beethoven, o ancora l’originalissima versione rap dell’ “Erlkonig” di Schubert). I brani sono davvero tanti e comprendono anche delle canzoni dedicate ai personaggi umani.

Tuttavia, pur avendo adorato questa serie, non posso esimermi da elencarne alcuni punti deboli: innanzitutto, il focus incentrato perlopiù su Beethoven e Mozart, che vede molti più episodi dedicati a loro rispetto agli altri musicisti, come se avessero una corsia preferenziale. E se altri, come Chopin e Schubert, hanno almeno un paio di episodi dedicati cadauno, per la povera Liszt o Badazerwska non abbiamo che una misera puntata a testa, davvero insufficiente a farcele conoscere ed apprezzare al meglio come gli altri. Essendo stata annunciata una seconda serie per l’autunno 2017, non smetto di sperare che vi sia un’altra occasione per riequilibrare le presenze in scena e dedicare un po’ più di spazio a quei Classicaloid che al momento sono inevitabilmente secondari rispetto a Beethoven, Mozart o Bach.
Altro difetto sono alcuni episodi, fortunatamente non in alto numero, che sono stati troncati bruscamente nonostante finissero con un cliffhanger. Se posso spiegarmi l’assenza di una trama consistente per la serie in sé, non riesco altrettanto a spiegarmi una scelta stilistica che si nota davvero pesantemente all’inizio di alcune puntate e a cui resta difficile abituarsi.
Infine, la caratterizzazione dei personaggi parte ottimamente ma, ahimè, non si evolve tanto quanto sarebbe lecito sperare. Certo, magari Beethoven diventerà un filo più sensibile e Chopin un filo meno asociale, ma non vi è nulla di rivoluzionario, nemmeno per il povero Sousuke, che viene trattato dai creatori come inetto a fronte di un gruppo di geni.

A questo proposito, "Classicaloid" non sempre è politically correct: nonostante un inevitabile lieto fine, non esita a “maltrattare” un poco i suoi stessi personaggi per raggiungere il suo scopo umoristico. E’ un humor talvolta cattivo, ma alla fine non ci si può che affezionare a questi personaggi che in fondo sono buoni e tengono a vivere la loro vita, semplicemente, senza farsi troppi crucci sulle loro origini. Un episodio in particolare è dedicato proprio a questa filosofia, trattandola in maniera schietta e diretta come da proprio stile. Quest’episodio è indubbiamente il mio preferito.

"Classicaloid" è quindi una serie che in un mare di situazioni assurde e stravolgimenti a volte anche grafici, offre anche una manciata di momenti piuttosto toccanti. Un altro punto a favore è la totale assenza di fanservice, facile magnete per una serie di tipo comico-demenziale. Al contrario, vi è un episodio dove viene esso stesso parodizzato, senza per questo scadere nel banale o rovinare la visione.

Dal punto di vista grafico, la serie è un tripudio di colori, sia nel character design che nelle ambientazioni (ad esempio nel bellissimo design della mansione di Kanae, costituita da diverse parti di strumenti musicali che sono parte della sua stessa architettura), e ovviamente nelle Musik e nei costumi dei Classicaloid trasformati. Le animazioni sono nella media delle produzioni moderne a basso-medio budget, ovvero non sono nulla di eccelso. La colonna sonora è a ragione il punto forte della serie, non solo nei brani ma anche nelle bgm, orecchiabili e riconoscibili l’una dall’altra.

In conclusione, direi che mi è difficile assegnare un voto univoco a questa serie: da una parte, per me ha raggiunto perfettamente il suo scopo principale, ossia intrattenere e far ridere, e ho amato tutti i personaggi come in poche altre serie. Tuttavia penso che ad una persona a cui non piaccia la musica e/o il tipo di personaggi così “affettuosamente idiota” questa serie non possa dire granché. In occidente la serie è passata in sordina, con pochissimo o nessun seguito, e valutata abbastanza pesantemente sui principali siti stranieri. In Giappone pare invece aver riscosso un discreto successo, infatti, come detto, ne è stato annunciato un seguito previsto per il prossimo autunno. Direi quindi che un voto come 7 può andar bene. Per me resterebbe da 8+, ma oggettivamente penso che un 7 sia un buon compromesso tra il suo humor, grintoso e irriverente, e le sue lacune di tempistica e sviluppo. Consigliata soprattutto agli amanti della musica.

-

Non un capolavoro, non un'opera eccellente, comunque un ottimo prodotto: "Re:ZERO" è in grado di intrattenere egregiamente lo spettatore e in alcuni frangenti riesce a colpirlo ed emozionarlo.

Avvolto dalle ombre del mistero e spinto da un soprannaturale potere, il giovane Subaru si ritrova a vivere nel quotidiano vicino ad Emilia, divina fanciulla, candidata alla selezione reale, di cui il ragazzo non può non invaghirsi.

La storia si evolve con le insidie e i pericoli offerti dal clima di tensione in cui la selezione si svolge, e costringe il malcapitato Subaru a mettersi alla prova con un potere che rischia di risucchiarlo nel buco nero della follia. Vivere. E vivere, ancora, fino a quando un giusto destino non sarà consegnato alle persone che lo meritano. Subaru deve dunque misurarsi con una realtà più grande della sua, senza disporre dei mezzi necessari per sostenere un simile fardello, privo di un appoggio morale o di un aiuto esterno. Ma la forza dell'amore, si sa, vince su tutto. L'affetto che prova verso chi gli è caro lo obbliga a non desistere, gli impone di divincolarsi dalle ferree prese della disperazione e di spianare un sentiero fra gli spinosi cespugli della morte. In ciò consiste la virtù di Subaru, nella strenua opposizione a un fato apparentemente ineluttabile, nella volontà consolidata di proteggere a qualsivoglia costo chi gli è stato vicino. Comunque, sebbene ciò inevitabilmente lo porti a tradire segni di instabilità psicologica, la condizione di disagio mentale in cui versa viene amplificata oltremodo, allo scopo di impressionare il pubblico, risultando così alquanto stucchevole e seccante.

Emilia è il perno attorno a cui tutto ruota, la diafana luce che guida i passi dell'innamorato Subaru e che più di ogni altra possibile motivazione lo sprona a rovesciare le sorti di un mondo intero. Immagine idealizzata, Emilia rappresenta, se permettete, più che lo stereotipo di ragazza ingenua, il topos di donna angelo (non è un caso che sia bianca e pallida da capo a piedi). Nobile d'animo e di spirito sensibile, virtuosa e pura, il ricordo della sua immagine e dei gioiosi momenti trascorsi nella sua compagnia preziosa sono per Subaru la scintilla che scatena l'incendio della determinazione, nonostante il dissidio poc'anzi vissuto.

Menzione d'onore merita anche (purtroppo) Betelgeuse, personaggio totalmente non necessario, stereotipo abusato del completo folle e assetato di sangue, piazzato lì con il fine di insistere banalmente sui temi della pazzia e del male.

L'approfondimento psicologico dei personaggi, per quanto accennato, non è sufficiente, e questo impedisce alla serie di compiere lo step che intercorre tra un ottimo anime e un'eccellente opera. Infatti, un episodio completo viene dedicato al problema dell'analisi della psiche dei personaggi (Subaru e Rem), ma per il resto l'indagine introspettiva lascia a desiderare. L'animazione e la grafica, al contrario, colpiscono in positivo per l'eleganza, la graziosità e la limpidezza dei disegni.

In definitiva, "Re:ZERO" è un anime che consiglierei a chiunque. Offre alcuni spunti notevolmente interessanti, sebbene contenga alcuni aspetti evitabili e banali. L'impressione complessiva è comunque molto buona e il voto che gli assegno è 8,5.