Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Conosciuto per il più famoso "The Climber", Shinichi Sakamoto si appresta a portare in scena con quest'opera la storia del boia Charles Sanson, personaggio realmente esistito, attivo durante la fine del diciottesimo secolo. Com'è facile intuire dopo questa premessa, "Innocent" è un manga a sfondo storico, ambientato nella Francia di fine '800, a cavallo della rivoluzione francese, sulla base del romanzo "Il boia Sanson" di Masakatsu Adachi.
In patria ha riscosso non poco successo, candidandosi per diversi premi prestigiosi. Ed è proprio in virtù di questi riconoscimenti e dell'indubbia originalità della trama, che mi sono approcciato a questa opera, rimanendone pienamente soddisfatto.

La trama narra le vicende della famiglia Sanson, deputata all'esecuzione delle pene capitali per conto della monarchia francese. Mi riesce difficile parlare di un intreccio vero e proprio: è più giusto dire che l'opera faccia quasi unicamente perno sull'evoluzione e la maturazione del protagonista, utilizzando la narrazione come mero espediente, in un'ottica molto simile al classico romanzo di formazione.
Chiaramente appaiono diversi altri personaggi, anche piuttosto rilevanti e ben costruiti, come la sorella Marie Sanson. Probabilmente è la magnifica particolarizzazione psicologica di ognuno di questi a risultare il miglior pregio dell'opera. Particolarizzazione che trova la sua summa, come detto, nel protagonista, che personalmente ritengo uno dei personaggi più particolari e meglio riusciti dell'ultimo decennio.
Altro indubbio punto a favore del manga è la minuziosa ricostruzione della Francia settecentesca. Contestualmente, anche le pene comminate ai vari malcapitati diventano parte integrante (in alcuni casi anche prevalente) della narrazione: si trovano diverse scene macabre, molto forti, addirittura urtanti, ma mai fini a se stesse ed è questa la cosa importante.

Graficamente l'opera raggiunge delle vette altissime: l'ambientazione è fantasmagorica, dettagliatissima, i personaggi perfettamente riconoscibili e sempre ritratti con una dovizia di particolari incredibile (gli abiti sono qualcosa di indicibilmente elaborato). Non esagero se dico che ogni vignetta è una piccolo quadro.

L'edizione J-pop è caratterizzata da un'ottima stampa, con pagine a colori magnifiche, e da volumi con sovraccoperta. Unico neo è il formato, piuttosto piccolo, probabilmente non adattissimo per gustarsi fino in fondo gli splendidi disegni di Sakamoto.

In conclusione non posso che consigliare il manga a chiunque intenda approcciarsi ad un'opera matura, caratterizzata da un ritmo piuttosto compassato, che permette una descrizione profonda (anche se in alcuni casi un po' ermetica) della psicologia dei personaggi. Faccio presente che non si troveranno mai scene comiche o passaggi leggeri, riposanti per il lettore, ma l'intera vicenda manterrà sempre un tono serio, rigido, impegnativo. A chiunque sia disposto ad accettare queste premesse, posso garantire che la lettura non deluderà.

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La parola a cui viene associato più spesso questo anime è "commerciale".
I prodotti che disgraziatamente ricadono sotto questa categoria dal punto di vista degli appassionati sono un'infinità, ma, se da una parte ciò è degno di un pubblico più o meno critico e consapevole, dall'altra dimostra una tendenza all'etichettatura selvaggia e ad una certa presunzione nei confronti di tutto quello che non è degno di essere definito "capolavoro", quantomeno secondo i propri standard.
Chiaramente "No Game No Life" è lungi dall'essere tale, e al contrario è evidente fin dalle premesse che si tratta di una delle cosiddette e disprezzate 'commercialate'.

Cosa lo redime allora ai miei occhi?
Innanzitutto il fatto che il mainstream, seppure abbia ormai connotazione strettamente negativa, non coincide in automatico con la scarsa qualità, e questo è il caso di "No Game No Life".
Dal punto di vista tecnico infatti oserei definirlo eccellente, grazie all'animazione sopra la media e un ritmo di gradevole scorrevolezza, merito di un'ottima sceneggiatura in grado di sfruttare al massimo tempi comici e battute irriverenti che spezzano la tensione creata da scontri memorabili e da qualche spunto riflessivo. Quest'ultimo aspetto non viene sviluppato a dovere, risultando spicciolo e superficiale, ma del resto non è la profondità il punto di forza di "No Game No Life", e non è nemmeno quello che si propone di fare. Con la sua superficialità derivata anche da uno scorrimento serrato da mozzare il fiato, si pone l'obiettivo di far provare di tutto allo spettatore in brevi lassi di tempo, rendendo dunque impossibile soffermarsi su varie questioni.
Ponendolo in termini del suo tema più significativo, rappresenta il trionfo della debolezza, che con le sue armi supera sotto diversi aspetti titoli ben più pomposi e pretenziosi (e a mio avviso non sempre migliori) in un inno scanzonato al divertimento.
Aggiungerei però che si rivela un'arma a doppio taglio, in quanto di conseguenza anche aspetti meritevoli di essere approfonditi vengono liquidati, intrappolando i personaggi in un limbo di stereotipi vuoti, malgrado riescano a farsi piacere grazie alle loro interazioni interessanti. Stessa sorte toccata ad alcuni punti della trama, a volte offuscati e altre con veri e propri buchi.

C'è poi da chiedersi se "No Game No Life" sia davvero del tutto privo di valore, incapace di spingersi oltre al suo compito svolto egregiamente di intrattenere, seppure a spese di un fanservice che rischia di sfociare nel cattivo gusto e altre pecche sulle quali risulta difficile sorvolare.
Tuttavia ci lascia con l'interrogativo del perché di un tale apprezzamento nei suoi confronti, generato probabilmente dall'identificazione con i protagonisti, e di conseguenza con il problema sociale che grava su di loro. L'ascesa dell'ultima ruota del carro, che qui nello specifico raggiunge toni epici da me molto apprezzati, è un elemento comune a molti anime e manga, in quanto lascia un brivido d'emozione garantito a chi li segue. L'origine di quel brivido è la nostra società basata sull'esclusione? Ci sentiamo forse un po' tutti come Sora e Shiro, desiderosi di una rivalsa, attendendola nell'ombra delle distrazioni, al punto che senza giochi non c'è vita?

9.5/10
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Siete capaci di immaginare la morte di mille persone? Di migliaia? Di milioni? Secondo una certa forma di pensiero, no. Nemmeno a livello teorico. Questo perché la nostra capacità di immaginare non riesce a tenere il passo del nostro potenziale. Possiamo fare più di quanto possiamo immaginare. E questo non è un bene. È male. Molto male.

"E se un giorno... tu ottenessi all'improvviso un potere sovrumano... come useresti quella forza? Diventeresti un demonio pronto a distruggere il mondo con quel potere? Oppure... l'eroe che lo salverà?" In spregio al concetto di soglia sovraliminale, questa è la premessa di una delle opere più importanti e seminali di Go Nagai e del mondo manga/anime in generale. Ciò che creiamo è sempre sotto il nostro controllo. Nostra quindi la scelta di usarlo per il bene.

Mazinger Z è il simbolo stesso della capacità distruttrice dell'Uomo. De facto è il primo esemplare di una lunga serie di interfacce robotiche, che diede il via al genere dei "mecha". Antesignani di questo genere furono in realtà i meno noti Tetsujin-28 e Giant Robo. Ma il primo vero mecha governabile da un pilota fu la creatura di Nagai. Ispirato in parte alle armature dei cavalieri medievali occidentali e in parte all'estetica e allo spirito dei samurai, Mazinger è un prodotto dell'era atomica. Costruito con la super lega metallica "Z", è alimentato da una nuova forma di energia, detta fotoatomica, più potente anche di quella che innesca le reazioni nucleari. Colossale "arma finale", dotata delle armi fantascientifiche più devastanti, è figlia dell'ingegno di Juzo Kabuto, ex amico e collaboratore del dottor Hell, iconico scienziato pazzo intenzionato a dominare il mondo. Mazinger è stato concepito per contrastare Hell e le sue creazioni, altri colossali robot dalle fattezze mostruose e frutto dell'antica sapienza e tecnologia della civiltà micenea che il dottor Hell ha rinvenuto sull'isola greca di Bardos. Juzo Kabuto non sopravvive a un attacco del suo maligno rivale e lascia quindi la sua creatura nelle mani di suo nipote Koji. Il ragazzo è il classico "selvaggio" alla Marlon Brando, baby boomer sempre a bordo della sua moto, ma su cui ora ricade l'onere di portare avanti le battaglie della generazione passata e sconfitta. Grazie all'appoggio di un assistente di suo nonno, il professor Yumi, e della figlia Sayaka (anche lei pilota di un robot), Koji diviene suo malgrado l'erede dello scontro col dottor Hell e i suoi accoliti Ashura, Blocken e Pigman. La lotta entrerà poi in una nuova fase quando farà la sua comparsa la risorta civiltà micenea. Un epilogo che ha il sapore di una mezza sconfitta aprirà una nuova trama, con nuovi protagonisti, e che ricollega l'opera ad altre del variegato universo nagaiano.

"Mazinger Z" è il vero prototipo di tutti i mecha e dei loro canoni narrativi. Secondo il modello della serialità televisiva che si autoalimenta con uno schema ripetuto per decine di puntate, l'anime propone un gioco quotidiano fatto di duelli e schermaglie a colpi di armi di distruzione di massa. La serie in realtà si discosta in molti punti dal manga originale. Non solo per tagli o modifiche alla trama (portata poi avanti per oltre novanta episodi) ma soprattutto per i disegni e le animazioni, più semplificati rispetto al tratto di Nagai. Accentuata inoltre è la componente comica, affidata alle spalle di Koji: suo fratello minore Shiro, ma soprattutto il gruppetto di teppistelli composto da Boss, Nuke e Mucha (tre maschere da teatro farsesco), che realizzano perfino una loro versione "amatoriale" di Mazinger, il Boss Robot.

Tuttavia l'anime preserva quelli che sono gli elementi forse più interessanti dello stile di Go Nagai.
Sottotraccia, si riescono a cogliere dettagli che permettono di superare la classica lettura manichea di uno scontro fra un Bene e un Male assoluti.
Per esempio, il bieco potere della tecnologia e le sue potenzialità vengono espresse tramite un costante ricorso a immani devastazioni. Il Giappone e le sue città (storicamente "abituati" a catastrofi naturali e non) sono così il teatro di scontri di Titani, dove la popolazione, massa indistinta, è falciata come grano, in fede alle apocalittiche visioni della fantascienza già proposte dalla narrativa pulp o dalle opere in cui la fanno da padroni i kaijū (i mostri giganti) come Godzilla.

L'ambiguo volto della scienza era magistralmente espresso nel manga tramite quello di Juzo Kabuto, inquietante e mostruoso quanto i suoi nemici. Nell'anime invece la deformità è tutta degli antagonisti. Forse sono loro l'elemento più interessante dell'opera. Incarnano tutte le peggiori aberrazioni partorite da un passato (prossimo o remoto) che getta le sue ombre ancora oggi sul presente. Sono i figli di quelle storture ideologiche e sociali che hanno deformato il XX secolo: il dottor Hell rimanda più che altro ai classici cosmoclasti da fumetto, creatori di realtà paramilitari che richiamano i totalitarismi (il Terzo Reich in primis). Ma i suoi sottoposti sono anche più carismatici dei protagonisti.

Il barone Ashura è un essere composto a metà da un corpo maschile e uno femminile. Meschino e crudele, è altresì dotato di una fedeltà quasi morbosa per il suo padrone, esemplificando così in modo fisico (perfino nella voce) i concetti di dicotomia e dualismo, fra fede e pazzia, fra amore e violenza.

Il conte Blocken è il perfetto subordinato, ormai solo una testa, che deve essere tenuta in mano da un corpo surrogato. Forse un ex nazista salvato dal dottor Hell, è la parte acritica del Male, ancor più gretto di Ashura. Senza dubbi, pietà o scrupoli. Letteralmente "acefalo".

Il visconte Pigman è la paura dell'ancestrale, di quel lato primitivo e selvaggio che giace sotto i conformismi dell'uomo civile. Un imponente guerriero, un corpo possente e statuario, governato da una sorta di folletto maligno. Un incubus, che turba i sonni della convenzionalità.

Sono fatte salve anche alcune delle tematiche che Nagai ripropone in altre sue opere, come le ambizioni, i dubbi e la rabbia della blank generation. I loro problemi, le loro angosce, vengono accennate nel loro senso di ribellione, nelle loro pulsioni. La loro ribellione viene però messa a tacere dalla necessità progressista e dalla seduzione offerta da una nuova ridefinizione del superuomo, ora compagno (più che padrone) delle macchine nel suo quotidiano.

Anche se solo accennato, in "Mazinger Z" è presente quell'afflato tutto nipponico verso la robotica (figlio dell'animismo shintoista), che vede i suoi costrutti non come semplici oggetti, ma come anch'essi depositari di una sorta di "anima". Koji, Sayaka, Boss e spesso perfino il dottor Hell, "sentono" i loro robot, soffrono con o per essi, e a volte vi si rivolgono come fossero interlocutori. Le stesse macchine a volte sono umanizzate al punto da sembrare avere una loro volontà, nonché le stesse pulsioni degli esseri umani, oltre alle stesse caratteristiche fisiche. Emblematico in tal senso il dettaglio che vuole Afrodite A, il robot di Sayaka, avere i seni che sono all'occorrenza anche due missili (o viceversa). Dando così voce a un senso paraerotico che vede la possibile fusione tra uomo e macchina a tutti i livelli, anche quello sessuale.

"Mazinger Z" è un'icona del Secondo Dopoguerra, l'era che vede l'Uomo fare un girotondo, prendendo per mano l'atomo, un robot, una pace belligerante e un senso di riscatto represso. Koji e tutti i suoi coetanei "reali" sono i "figli della bomba", destinati ancor prima della nascita a fare i conti con le ceneri di Hiroshima e sobbarcarsi il peso di una sconfitta che impone una rivalsa. Una nuova guerra per risorgere. Una guerra che si combatte con gli spettri del passato, per un futuro che si crogiola nella confortante e radioattiva luce dei raggi fotonici.