Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.


-

Anche se non è espressamente citato nel regolamento del sito, credo che fare un copia e incolla di una precedente recensione sia considerato come un atto censurabile. Questo è un vero peccato perché, almeno in questo caso, avrei fatto volentieri a meno di questa regola non scritta e avrei potuto risparmiare tempo e fatica riportando pari pari ciò che avevo scritto per le altre "opere brevi" di Mizuki Kawashita (cambiando ovviamente la descrizione della trama) senza che l'attendibilità della presente recensione ne risentisse. Ma dato che non voglio vedermela cancellata dovrò rimboccarmi le maniche e crearne una nuova; ma sappiate che questa sarà questa l'unica cosa originale che incontrerete se decideste di immergervi nella lettura di questo manga.
"G-maru Edition" è un manga composto da due volumetti che narra le vicende di Kaburagi Aruto, una giovane mangaka in erba. Sin da bambina la ragazza sognava di diventare una famosa autrice di shoujo-manga; ma proprio mentre è intenta al completamento delle ultime tavole della sua nuova creazione vede apparire nella sua camera un buffo robottino che le rivelerà di essere un suo fan e di venire dal futuro. G-maru, è questo il nome del robot predirà per la ragazza un futuro luminoso come mangaka; però, con grande disappunto della ragazza, non come autrice di shoujo-manga ma addirittura di ero-manga.
Il tratto grafico della Kawashita è come al solito superbo: è da diverso tempo che sono un grande ammiratore della morbidezza dei suoi disegno, specie quando si tratta di disegnare volti e figure femminili. Purtroppo, però, questo è l'unico elogio che mi sento di fare a questo manga che si distingue per essere un potentissimo sonnifero: la trama è interessante quanto una lista della spesa e i personaggi sono di una stupidità irritante. E cosa fare quando ci si accorge di aver creato il nulla? La risposta, purtroppo, è sempre la stessa: si abbonda con tette e mutandine.
Cos'è successo all'autrice di opere come "100% Ichigo" e "First Love Limited"? Una momentanea crisi creativa oppure le opere prima citate rappresentano il massimo che possiamo aspettarci? Solo il tempo darà una risposta a questo quesito. Personalmente spero che la Kawashita riesca presto a tornare ai fasti di un tempo: con un talento simile nel disegnare sarebbe un vero peccato se continuasse a sprecarsi in opere simili.
La mia recensione termina qui. Se volete saperne di più consultate le vecchie recensioni di cui parlavo all'inizio: tanto l'andazzo è sempre lo stesso.


-

"Infinite Ryvius" è una serie Sunrise di ventisei episodi, prodotta e trasmessa fra il 1999 e il 2000.
Nonostante sia una serie parzialmente passata in secondo piano (ingiustamente, oserei aggiungere), si tratta comunque di una notevole produzione della seconda metà degli anni '90, periodo estremamente florido per l'animazione giapponese.
Quest'opera è anche nota per essere stata la prima "prova seria" per il rinomato regista Goto Taniguchi (ricordato anche per "PlanetES" e "Code Geass"), che solo un anno prima aveva affiancato, in qualità di assistente, il più esperto Ryosuke Takahashi alla direzione di "Gasaraki".

"Infinite Ryvius", nonostante sia stato sviluppato attorno a un soggetto originale, può vantare una "discendenza" indiretta di notevole spessore: sono infatti notevoli e indubbie le somiglianze fra quest'opera e il celebre esordio letterario di William Golding, ovvero "Il signore delle mosche".
Le affinità sono notevoli: un gruppo di ragazzi lasciati a se stessi a causa di eventi negativi, il tentativo di instaurare una società e le problematiche inerenti ad esso, fino ad arrivare a un discorso più ampio sui timori irrazionali dell'animo umano e sulle conseguenze di tali timori, con riferimenti ai totalitarismi e sugli effetti della propaganda e della repressione. Ovviamente questo setting era in parte incompatibile con un'opera animata del periodo, ed è stato rimaneggiato al fine di adattarlo al mezzo e ai gusti dell'epoca.

Il risultato è un'opera ambientata in un vago futuro, dove ormai i viaggi spaziali sono comuni e l'umanità ha colonizzato tutto il sistema solare. Punto fondamentale del setting è la presenza del Geduld, una sorta di "mare di massa densa", nato da un fenomeno solare di origini sconosciute, che si espande radialmente lungo tutto il sistema solare.
Nonostante il cast dell'opera sia piuttosto ampio e vario, il punto di vista principale è quello di Aiba Kouji, un giovane studente che si dirige, come moltissimi altri studenti, nella stazione-scuola "Liebe Delta". Assieme a lui vi sono lo scontroso fratello minore Yuuki, l'amica d'infanzia Aoi e moltissimi altri ragazzi. Naturalmente, le cose non possono andare per il verso giusto, e una serie di concause portano la "Liebe Delta" in grave pericolo, mettendo così a rischio la vita degli studenti (che nel frattempo sono rimasti senza adulti in grado di supervisionarli).
Ed è qui, ad un passo dallo sfracello, che i giovani scoprono che nel cuore della loro stazione era nascosta una potente nave da guerra, il Ryvius, in grado di resistere alle terribili condizioni in cui si trovano. E qui che parte il viaggio dei ragazzi alla ricerca dei soccorsi e di una via per tornare alle proprie vite. Cosa che non sarà affatto facile, visto che sono braccati da un nemico di cui non si conoscono gli scopi.

Se avete letto "Il signore delle mosche", potete farvi un'idea di massima su come evolva la trama. Sennò, sappiate che la convivenza degli studenti, liberi da qualsiasi tipo di sorveglianza e immersi in un ambiente ostile, non sarà affatto facile, e l'atmosfera progredirà in una spirale di tensione e angoscia che farà affiorare il lato più istintivo e animalesco dell'essere umano. Ciò rappresenta il vero punto di forza dell'opera, in quanto la crescita dell'atmosfera opprimente colpisce in pieno lo spettatore, immergendolo nella disagiata situazione dell'equipaggio della nave. Plauso all'efficace regia di Taniguchi che, coadiuvato da una buona fotografia e da un design della nave particolarmente azzeccato, riesce trasmettere in maniera molto efficace l'atmosfera dell'opera.

Come già anticipato, l'opera possiede diversi aspetti per renderla decisamente più aderente ai topoi dell'epoca, e fra questi non poteva mancare un gigantesco mecha da combattimento (connesso al 'Vital Guarder', una sezione staccabile dalla nave madre), a cui verranno demandate le maggiori componenti di combattimento dell'anime. Da notare che, nonostante tale presenza, resta comunque faticoso inserire "Infinite Ryvius" nel genere mecha: di fatto il 'Vital Guarder' potrebbe avere qualsiasi forma, e la decisione di farlo così deriva probabilmente dal rinnovato interesse sul settore in seguito all'uscite di "Neon Genesis Evangelion", di quattro anni antecedente all'opera qui esaminata. L'anime è e resta una peculiare space opera, dove il viaggio per la salvezza nello spazio è affiancato al viaggio interiore che ognuno dei componenti del giovane equipaggio compie di pari passo con la nave.

Ed è proprio il viaggio una delle componenti forti dell'opera. Tematica di successo sin dagli albori dell'animazione giapponese (specialmente nelle space opera, come "Yamato", che sono andate alla grande fin dagli anni '70), essa procede di pari passo con la situazione psicologica dell'equipaggio del Ryvius, accompagnando la "perdita dell'innocenza" dei ragazzi e introducendoli nel mondo adulto (altro topos fortissimo dell'epoca, quasi onnipresente nelle opere di spessore di quel periodo). Eppure "Infinite Ruyvius" centra un inaspettato obiettivo, creando un'ottima combinazione di elementi. Probabilmente è stato casuale, ma l'opera mi ha ricordato un altro caposaldo letterario: "Cuore di Tenebra", di Joseph Conrad. L'accostamento non dovrebbe sorprendere, visto che l'opera di Golding precedentemente citata ha moltissimi punti in comune con l'opera di Conrad. Ma vi sono aspetti in cui la seconda mostra molte affinità con Ryvius: proprio come nel viaggio del capitano Marlow lungo un fiume dell'Africa nera, così il Ryvius affronterà una peregrinazione che sarà una metafora della progressiva disinibizione e animalizzazione dell'animo umano (dove nel libro avviene, metaforicamente parlando, nel mutamento della natura circostante e degli incontri fatti; mentre nell'anime è rappresentata con la degenerazione, anche visiva, delle condizioni della nave e di coloro che la abitano).

E ora veniamo al punto "personaggi". Nonostante ci sia qualche ombra, essi sono sicuramente la colonna portante dell'opera. In chiave allegorica, i membri del Ryvius possono essere divisi nei razionali, ovvero coloro che tendenzialmente mantengono la loro umanità, e negli istintivi, ovvero coloro che degenerano e spingono per una struttura sociale più primitiva e assoluta. In generale questa divisione funziona bene, anche se ovviamente (e giustamente) non è così netta, ma le emozioni dei compagni di viaggio si mischiano e mutano continuamente, oscillando fra speranze e rassegnazione.
Ma sfortunatamente non tutto è andato per il verso giusto: alcuni personaggi funzionano bene e sono appropriati dall'inizio alla fine, mentre in altri si possono notare diverse sbavature, che vanno da un comportamento non del tutto riuscito a un background un tantino fuori luogo e poco efficace.
Insomma: come collettività funzionano alla grande, ma se presi in singolo non tutti sono proprio allo stesso livello.
Discorso diverso per coloro che sono esterni alla nave: di fatto essi esistono solo in funzioni ruolistiche ben determinate (compresi antagonisti esterni), e in generale si può dire poco di loro, a parte il fatto che sono un po' troppo stereotipati. Questo aspetto si ripercuoterà su un altro difetto dell'opera, che tratterò in seguito.

Ma ora vorrei passare a un altro aspetto determinante nella struttura di "Infinite Ryvius", e lo farò citando l'ultimo personaggio che ho lasciato fuori, ovvero Neya, una misteriosa ragazza che indossa abiti stravaganti. Essa agisce evidentemente come una sorta di specchio, riflettendo le evoluzioni psicologiche ed emozionali dei personaggi, ed è un'entità chiaramente legata al Ryvius (elementi chiarissimi fin dal principio). Fondamentalmente è il mezzo per esprimere il rapporto fra uomo e macchina, altro tema caro all'animazione giapponese dell'epoca. Nelle opere dell'epoca, la tecnologia è sostanzialmente una via per superare i limiti umani (tematica forse in parte mutata dalla sinergia uomo-macchina di matrice cyberpunk), che potenzialmente può spingere l'uomo verso un nuovo step evolutivo. Basti pensare a opere come "Ghost in the Shell", il già citato "Neon Genesis Evangelion" (che ha un'accezione più mistica), oppure "Serial Experiments Lain" (che verte di più sui nuovi metodi di comunicazione come mezzo per il superamento dell'individualità e sul rapporto dell'uomo con essi).
Sebbene in misura ridotta, anche Ryvius possiede elementi dello stesso filone: infatti uno degli elementi cardine dell'opera è il rapporto che si instaura fra i ragazzi e la nave stessa (che, ricordo, è di natura misteriosa), al fine di formare una sorta di collettività (la cui natura verrà appurata solo nelle ultime battute dell'opera).

Ora veniamo a due lati purtroppo negativi dell'opera. Il primo è la natura delle navi Vaia (classe alla quale il Ryvius appartiene). L'argomento viene trattato, ma c'è l'impressione che si sarebbe potuto andare un po' oltre. Insomma, la questione è formalmente risolta in modo chiaro, ma è un nodo di interesse che a mio avviso è stato poco sfruttato. Ma questo è il problema minore. L'altro punto è inerente la sottotrama politica. Seppur secondaria, dovrebbe rivestire un ruolo senz'altro importante, dato che contestualizza nel mondo esterno la "crisi del Ryvius" e le conseguenti vicissitudini dei ragazzi. Tuttavia, ad essa è riservato un tempo insufficiente, e il contesto nel quale si muove la trama risulta mal definito. Tale difetto è causato da due fattori: il primo è intrinseco all'opera, in quanto la necessità di mantenere costantemente il focus sui giovani protagonisti leva spazio per eventuali digressioni (ma ci sono sezioni semi-riassuntive in diverse puntate, e mi chiedo se quel tempo non avrebbe giovato meglio nel rimpolpare quest'aspetto). Il secondo è dovuto alla natura dei personaggi esterni al Ryvius: solo uno riceve un minimo di caratterizzazione ed è fondamentalmente slegato dalle cospirazioni politiche (affidate a delle mere comparse).
Questo è un peccato, specialmente alla luce del fatto che Taniguchi aveva appena lavorato su "Gasaraki", opera dove la sottotrama politica arriva a rivaleggiare con quella principale.

Due parole sul finale: l'opera di fatto è composta da venticinque episodi e un epilogo, che è alquanto antitetico se paragonato al resto della serie. Se da un lato corona due dei temi forti dell'opera (ovvero quello della maturazione, col formale passaggio di consegne generazionale, e quello della natura della nave e del rapporto con i protagonisti, che verrà totalmente espletato negli ultimi minuti), bisogna però ammettere che il cambio di registro è straniante. Io non l'ho trovato troppo negativo (anche perché, personalmente, apprezzo gli epiloghi esaustivi che si estendono oltre la vicenda), però ci sono decisamente alcuni elementi che stonano con tutto ciò che avete visto finora.
Non una cattiva idea, ma una realizzazione un po' improvvisata e non del tutto a buon fine.

E ora, prima di tirare le somme, vorrei spendere qualche parola sul comparto tecnico.
Non sempre l'animazione e disegno sono all'altezza, ma in genere la produzione è in linea con i livelli dell'epoca. Fortunatamente la buona prova dello staff, specialmente del regista, fa passare quasi inosservate queste sbavature. Buona la fotografia che, assieme a un buon uso degli sfondi (non particolarmente brillanti ma funzionali) contribuisce a creare la riuscitissima atmosfera dell'opera. La colonna sonora è piuttosto varia e funzionale, e mi sembra doveroso riportare la presenza di due buone sigle (specialmente la splendida sigla di chiusura).

In conclusione, "Infinite Ryvius" è una piccola perla del periodo finale degli anni '90, e non sfigura a fianco di altri anime come "Now and Then, Here and There", "Evangelion", "Lain" e altre magnifiche opere che ci sono pervenute da quel florido periodo. Ne consiglio senz'altro la visione.


5.0/10
-

Quella di "Kuzu no Honkai" è una parabola che si esplica in due momenti, sempre presenti sulla scena, con pesatura diversa e variabile: l’immagine e la vacuità. La prima è la maschera necessaria a far passare la seconda per quello che non è: matura; l’immagine, d’altro canto, è il classico strumento che in un’opera pretenziosa come quella in questione riveste il ruolo, estremamente delicato, di traghettatore di sensazioni e amplificatore di carica patetica. Dietro alla grafica estremamente semplice e delicata di "Kuzu no Honkai", dietro ai colori tenui e alla poetica dell’evanescenza c’è questo, la necessità di decorare, atta a cristallizzare un messaggio altrimenti troppo debole e irrealistico per essere apprezzato. Il desiderio è quello di spogliare la perversione dell’animo umano del senso di impurità che comunemente le si attribuisce e raccontare una storia che, similmente, riesca a dare la parvenza che anche un cartone animato possa trasmettere contenuti maturi, se non addirittura sofisticati.

Il protagonista indiscusso della serie, a dispetto di quanto uno possa credere, non è un personaggio in carne e ossa, ma la frustrazione: la frustrazione di Hanabi Yasuraoka e Mugi Awaya, le maschere della solitudine; la frustrazione di Akane Minagawa, la maschera dell’insoddisfazione; la frustrazione di Sanae Ebato, la maschera dell’inadeguatezza. I primi sono i personaggi principali, una coppia apparentemente perfetta che si regge sulla necessità di colmare il vuoto lasciato dalla persona amata con un rimpiazzo di carne.
Hanabi e Mugi, due figure apatiche, sospese nella malinconia di una vita che non riesce a concedere loro l’accettazione del proprio amore da parte delle persone che stanno loro più a cuore. Essi consumano una passione che dovrebbe essere rivolta ad altri, immaginando di essere altrove, tra le braccia del proprio tutto, sperimentando, ancora inesperti, i piaceri della carne. Due reietti dall’amore. Vi si contrappone Akane, insegnante di musica e femme fatale incapace di rinunciare al desiderio di essere desiderata; non concede il proprio cuore a nessuno, ma arde e fa terra bruciata di chiunque, incrociata la sua strada, cada ai suoi piedi. Accortasi del debole di Hanabi per il suo professore, nonché amico di infanzia, decide di farlo suo al solo scopo di essere odiata dalla ragazzina e gettarla nella disperazione. Le premesse di "Kuzu no Honkai" sono ora servite: un racconto che vuole trasmettere frustrazione, fisica e psicologica, al fine di far riflettere sulla dicotomia intrinseca che contraddistingue l’amore: miraggio di salvezza e crudele fonte di sofferenza.
La mentalità contorta di cui tutti personaggi fanno sfoggio è la materializzazione di quel vuoto che aleggia, etereo, in tutti gli episodi e che la sceneggiatura, tramite dialoghi approssimativi, fintamente profondi e spesso inconsistenti, tenta di mascherare. La frustrazione e la perversione sono necessarie per enfatizzare, fino alla mitizzazione, sensazioni normali che ogni persona passata sotto il torchio dell’amore ha provato almeno una volta. In questo modo il coinvolgimento diventa più facile, come una sorta di Sturm und Drang distorto che prova disperatamente a travolgere lo spettatore, proprio come fa con i suoi personaggi, attraverso l’iperbole e l’estremizzazione dei sentimenti.

La manchevolezza più imperdonabile è dunque quella delle pretese prive di contenuto, troppo pesante per mantenere intatta la maschera dell’immagine, che ben presto si spezza e rivela a tutti - o quasi - la carenza di idee del soggetto originale e dell’adattamento. Le vicende della seconda metà della serie costringono a un cambiamento di punto di vista radicale, focalizzandosi sull’antagonista e sulla sua progressiva umanizzazione, e accantonando i veri personaggi principali. È lapalissiano che il soggetto attiri di più, che possa dare adito a tutta una serie di situazioni piccanti e ben più appetibili agli occhi del pubblico; tuttavia queste finiscono, a causa della già citata sceneggiatura lacunosa, per mettere ancora in ridicolo una psicologia dei personaggi già in partenza spiccia, ora ben oltre il limite del credibile. Rimangono l’involucro grafico e un sonoro gradevoli, magra consolazione a fronte di una mancata occasione di dire effettivamente qualcosa di diverso, come a suo tempo "Aku no Hana" aveva provato a fare, che invece sfocia in una banalità e un’inconsistenza di cui il panorama dell’animazione attuale, in tutta onestà, non sente ulteriore necessità.