Avrà anche superato i sessant’anni e conquistato riconoscimenti e fama mondiale, ma Rumiko Takahashi, proprio non riesce a star ferma. Terminata la sua ultima opera, Kyokai no Rinne, si dedica alla stesura di oneshot, fin quando, nel maggio di quest’anno, debutta su Shonen Sunday con il suo nuovo manga: MAO.


Il 18 settembre sarà disponibile il primo volume, così come una nuova raccolta di oneshot intitolata Majo to Dinner. Seppur le vendite di Rinne non siano state esaltanti, la Takahashi gode sempre di un grande apprezzamento in patria, tanto che il primo volume di MAO sarà lanciato in una libreria di Tokyo dal giovane attore Yudai Chiba (Host Club, Relife, Ajin), professatosi fervente fan della sensei.

Dopo aver letto i primi tredici capitoli di MAO, non mi è ancora chiarissima la strada che la Takahashi vuol prendere con questa nuova serie, però in una certa misura, è possibile buttar giù qualche considerazione.
Ovviamente ci sono spoiler sui primi capitoli (ma nulla di esagerato).
 
Due mondi che si intersecano, vita e morte, umani e yokai: ancora una volta l’amore di Rumiko Takahashi per l’ambivalenza

Chi conosce Rumiko Takahashi sa quanto la sensei ami il “mezzo”, l’incontrarsi di due mondi, l’interagire e il completarsi dell’uno opposto all’altro. Lo abbiamo visto in qualche modo con Lamù, che mette insieme umani e alieni in un bizzarro e goliardico incontro/scontro di vizi e virtù; lo abbiamo assaporato al 100% con Ranma, dove il protagonista è letteralmente mezzo; lo abbiamo ritrovato in Inuyasha, con un mezzo demone e una ragazza umana che viaggia tra presente e passato; ci siamo tornati con Rinne, dove un mezzo shinigami frequenta una normale scuola umana mentre esorcizza spiriti e fantasmi. In MAO ritorna puntuale il concetto di “mezzo” e di mondi che si incontrano, a dimostrazione che è questo il tema con cui la Takahashi si trova più a suo agio.

Nanoka Kiba è una liceale che otto anni prima ha sfiorato la morte… o forse è davvero morta e tornata in vita, è qualcosa di assurdo di cui nemmeno lei ha consapevolezza. Dopo aver perso i genitori in quell’incidente dall’aria soprannaturale, la ragazza vive con il nonno e una governate, la quale le propina ogni giorno una sorta di frullato, che a suo dire “ha il sapore di un succo paludoso infernale”. “Per la tua salute”, dice il nonno, così Nanoka beve e inizia le sue normali giornate da studentessa. Un giorno però, dando adito ad alcune voci, si reca assieme a delle compagne in quello che fu il luogo dell’incidente di otto anni prima.


All’improvviso la via commerciale si trasforma e la ragazza si ritrova in quello che sembra essere un antico quartiere del periodo Taisho. Senza che possa rendersi conto di cosa stia succedendo viene attaccata da un enorme mostro a forma di mantide, che nel tentativo di fuga le taglia una mano. A salvarla è un giovane di nome Mao, dichiaratosi esorcista, accompagnato da un bambino. In realtà la mantide, che si scoprirà essere uno yokai, è stata messa KO dal sangue della stessa Nanoka, la quale viene curata dal ragazzo misterioso.


“Tu sei un fantasma, vero?”


Confusa e spaventata, dopo le agghiaccianti parole rivoltele da Mao, Nanoka fugge via e riesce a tornare nel suo spazio-tempo. Il mistero si infittisce quando, da totale impedita nelle attività fisiche, la ragazza acquisisce un’agilità fisica fuori dall’ordinario e anche il suo aspetto fisico sembra tramutarsi leggermente dopo l'uso di questi poteri. Desiderosa di capirne di più, fa ritorno nell’epoca Taisho alla ricerca di Mao, scoprendo che quest’ultimo è in cerca del Byouki (scritto con i caratteri di demone e gatto), un particolare yokai che è stato usato per maledirlo. Mao è una sorta di immortale che da tempo viaggia alla ricerca del responsabile della maledizione e risolve casi di possessione legati al suddetto demone. Dopo aver accumulato tante informazioni, Nanoka sembra ricordare qualcosa di più del momento del suo incidente mortale: fiamme e un mostro gigantesco pronto ad aggredirla.

Così, Mao, Nanoka e il piccolo Otoya, iniziano ad affrontare insieme nell’epoca Taisho singolari casi soprannaturali o di possessione, grazie anche al fatto che la ragazza sembra riuscire a tirar fuori un potere quasi demoniaco durante gli scontri. Ma Nanoka sarà davvero un fantasma? A cosa la porteranno i suoi nuovi poteri? E perché Mao è stato maledetto? Da chi?

I primi tredici capitoli di MAO introducono quindi i protagonisti della storia, le sue basi, i misteri e ci mostrano le prime avventure del singolare terzetto.


Qualcosa di nuovo sotto il sole?

Nì. Con estrema faciloneria si potrebbe rispondere che MAO è l’ennesimo riciclo delle solite idee della Takahashi, e non sarebbe del tutto sbagliato visti gli elementi citati prima (viaggio nel tempo, immortali, yokai, l’incontro di lui e lei ecc), che sono comunque ormai classici e amati topos dell’autrice. Ma nonostante ciò, MAO, così come fu per Rinne, Inuyasha e Ranma, si distingue per un cambio di atmosfera e caratterizzazione dei personaggi. Per quanto i protagonisti dei manga sopraccitati avessero delle caratteristiche comuni, i loro caratteri e le interazioni con le partner non potevano essere più diversi; Mao e Nanoka non fanno eccezione, essendo che i caratteri delineati da questi primi capitoli li allontanano da quelli dei protagonisti precedenti. Mao è freddo, composto, compassato; Nanoka è attiva, coraggiosa e ha una buona dose di sangue freddo. Persino Otoya, che potremmo definire “la mascotte”, così come furono Shippo e Rokumon, si differenzia da questi, poiché anche lui ha difatti un carattere posato e razionale (dovuto comunque anche alla sua natura).

Insomma, se è vero che a livello caratteriale i protagonisti di MAO sono ben diversi dai precedenti, e propongono un terzetto per nulla rumoroso o dedito alle risate (l’unica a far un po’ di confusione è Nanoka, che giustamente non ha ancora capito bene la situazione in cui si trova), il risvolto della medaglia è che la loro estrema freddezza e pacatezza li rende un po’ troppo… freddi! Non si tratta di caratteri apatici come la Sakura Mamiya di Rinne, ma di un elemento caratterizzante che nasce forse dal passato del protagonista, il quale, da immortale qual è, dedito solo alla ricerca di chi lo ha maledetto, ha probabilmente perso l'entusiasmo e la passione che caratterizza una persona dal tempo limitato.
Passatemi il paragone ma per tali motivi oso dire che Mao abbia più in comune con Yuta (protagonista della Saga delle sirene) che non con altri personaggi Takahashiani; anche Yuta infatti è un personaggio immortale dal temperamento non troppo passionale che si attiva maggiormente una volta presa con sé Mana. Anche a livello di atmosfera ci troviamo forse più vicini alla saga delle sirene o alle oneshot horror di Rumic World che non ad altri manga della sensei, allo stesso tempo però, il tono pare essere meno cupo.


Quando Rumiko Takahashi iniziò a lavorare su Inuyasha, disse di voler creare un manga “serio”, abbandonando la pura commedia vista in Ranma o Lamù. In realtà, per quanto Inuyasha avesse un tono decisamente più serioso di Ranma, non si è mai privato di gag e momenti divertenti, specie quando il gruppetto protagonista si è ampliato. In Rinne si era tornati alla commedia 100%, i primi capitoli di MAO, invece, non lasciano spazio a battute o gag, se non qualche effimero momento datoci da Nanoka. Le cose potrebbero comunque cambiare con il tempo a seconda degli elementi che verranno inseriti nella trama (nuovi personaggi, diverse interazioni tra di essi ecc).

A livello grafico questo nuovo lavoro non porta grandi novità, lo stile di disegno è esattamente quello che abbiamo visto in Rinne, e come succede solitamente, potrebbe subire delle variazioni andando avanti con il tempo. Quanto a caratterizzazione grafica dei protagonisti, nonostante uno stile sempre uguale, la Takahashi riesce anche stavolta a imprimere delle peculiarità all’estetica dei suoi protagonisti, almeno per ciò che riguarda i capelli, e dopo il codino di Ranma, la folta chioma argentea di Inuyasha e il pelo rossissimo di Rinne, troviamo un Mao dai capelli bicolore e con una vistosa cicatrice in faccia. Dopo Kagome e Sakura, la protagonista femminile torna invece a un netto taglio corto, in un’estetica globale particolarmente graziosa.

MAO sì, MAO no?

La risposta è… bho?! Personalmente ho apprezzato questi tredici capitoli, l’idea di base, l’ambientazione del periodo Taisho, i sempre graditi yokai, ma è davvero difficile giudicare già da ora se questo manga potrà evolversi in qualcosa di particolarmente riuscito o se resterà un’opera buona ma non imperdibile (a meno che non siate fan sfegatati della sensei e un suo manga non ve lo perdereste comunque). Per quanto poi mi abbiano fatto una buona impressione i protagonisti, spero che il gruppo si allarghi e che aumentino le interazioni, in modo che i personaggi possano crescere e cambiare, altrimenti è davvero difficile empatizzare con loro e affezionarvici (con lo squattrinato e sfigatissimo Rinne era decisamente semplice). Conoscendo la Takahashi però, credo che amplierà il party e ci riserverà qualche gradita sorpresa.
Ma soprattutto, stavolta riuscirà a metterci un po’ più di romanticismo? O continuerà a farci soffrire come in Rinne?

A chi si rivolge dunque MAO? Sinceramente non so se questo manga subirà la stessa sorte di Inuyasha e farà conoscere la sensei a nuove ondate di lettori alle prime armi, non succederà certo senza un anime, ma indipendentemente da quello, la Takahashi ha uno stile narrativo che resta sempre fedele a se stesso con il passare degli anni, e che non è certo quello che può attrarre un giovane lettore come può invece fare uno shonen di Jump. Forse, anche in maniera consapevole, la Takahashi si rivolge principalmente ad un pubblico più adulto del target di riferimento di Shonen Sunday, quindi ai suoi lettori più fedeli e datati.
 

 
Da grande fan della mangaka, probabilmente influenzata dall’amore per ogni sua creazione, vedo in MAO una storia dal buon potenziale, certamente adatta a chi non è mai stanco di viaggi nel tempo, yokai e “mezzi” qualcosa. Ma soprattutto vedo un'autrice che, nonostante gli anni, continua a lavorare con amore e cura e il cui uso continuo di stereotipi e cliché non è pigrizia ma utilizzo consapevole dei suoi punti forti.

Possiamo dire che con il tempo la Takahashi abbia perso un po' di vena creativa e usi idee un po' sbiadite? Forse sì, forse no, per qualcuno sarà assolutamente vero, per altri assolutamente falso. A me non importa giudicare il cervello di una mangaka che ha fatto storia, i suoi manga sono qui, alla portata di tutti e al contempo di nessuno che non li gradisca. Anche se l'idea è che la Takahashi non sia più quella di un tempo, personalmente non le negherei mai una possibilità, anche perché finora, seppur con alti e (pochi) bassi, non mi ha mai delusa.