Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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“Rakugo (落語, lett. "parole cadute") è un genere teatrale giapponese. Consiste in un monologo comico in cui un narratore racconta una storia. Il Rakugo-ka (Hanashi-Ka) indossa il kimono e siede sui talloni (nella posizione detta seiza) sopra un cuscino, con l'unico ausilio di un ventaglio di carta e di un lembo di tessuto.”

Poesia anacronistica, ritmo compassato, l’episodio d’apertura lungo quasi un’ora, per poi riprendere la durata standard negli altri dodici episodi rimanenti. Sin dalle note jazz di un’opening sexy e accattivante, “Showa Genroku Rakugo Shinju” si presenta in punta di piedi, una storia che parte contemporanea, e ci mostra lo zelo di un giovane ragazzo di nome Yotaro, appena uscito di galera e grande appassionato del Rakugo, tanto da cercare il gran maestro sulla piazza pur di imparare a recitare nel miglior modo possibile. Ma il maestro in questione è un uomo dal passato travagliato e misterioso, un personaggio criptico e al tempo stesso delicato, che farà da cardine e collegamento alla base di tutta la vicenda: saremo presto trascinati - gentilmente, è il caso di dirlo - indietro nel tempo, esattamente a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, prima, durante e dopo, seguendo in flashback le vicende di un giovanissimo ragazzo di nome Bon, conosciuto meglio come Kikuhiko, e dell’amico di una vita, Shin, conosciuto sicuramente meglio come Sukeroku.
Prima di divenire quel maestro ammirato e inarrivabile, chi era “Bon”? Solo un ragazzino dalla salute claudicante, per niente innamorato del Rakugo? Cosa lo ha reso la persona che è oggi?
Parte da qui una storia delicata, dolce, aspra, gentile e spigolosa, emozionante e ruvida, un ossimoro di cui sarà impossibile non innamorarsi, nonostante si tratti di un prodotto decisamente selettivo.

Non si parla solo di Rakugo, anzi: quest’arte recitatoria-comica è un veicolo per raccontare le vite di questi straordinari personaggi e delle loro drammatiche, sorprendenti ed emozionantissime vicende.
Tutto, comunque, gira intorno al teatro del Rakugo.
Si parte molto lentamente, con l’episodio da circa sessanta minuti che introduce i personaggi principali. Forse l’unica pecca iniziale dell’anime è l’eccessiva lentezza con cui gli eventi prendono forma, ma è anche vero che un ritmo simile è adeguato, se non indispensabile a un racconto del genere e a ciò che vuole proporre e rappresentare.
Nessun particolare è lasciato al caso: la regia è molto attenta, la sceneggiatura estremamente suggestiva e curata, e tutto viene raccontato minuziosamente. Questi accorgimenti rendono la narrazione piacevole, completa e intrigante.
Dopo un inizio decisamente blando, dal quarto episodio l’anime comincia a prendere il volo, quando fa la sua comparsa Yurie Miyoshiki. A riprova che le belle donne sono la causa di gioie e dolori della maggior parte degli uomini, l’elemento femminile sopracitato inciderà in modo decisivo e assolutamente determinante in questa storia.

Ad ogni modo, a prescindere dalle vicende personali dei protagonisti, lo spaccato storico che “Showa Genroku Rakugo Shinju” ci mostra è tremendamente realistico; riesce a comunicare la mesta povertà in cui il Giappone si era ritrovato dopo la Seconda Guerra Mondiale, e permette di far percepire allo spettatore, in modo chiaro, le sfumature dei sentimenti di tutti i personaggi principali, talvolta in modo chiaro e netto, talvolta in modo poco comprensibile - volutamente -, così da creare le giuste atmosfere per il susseguirsi di avvenimenti che avrà il suo culmine nel penultimo episodio.
Se all’inizio le intere esibizioni del Rakugo possono apparire un po' ridondanti e difficili da seguire, col passare degli episodi si riesce a familiarizzare con questo genere di umorismo molto distante dalla nostra cultura, tanto da divenire un contorno indispensabile e “saporito”. A fronte di una costruzione simile, il prodotto si mostra non adatto ad ogni genere di pubblico, ma diviene evidente che solo una nicchia di spettatori possono realmente apprezzare le sfumature del Rakugo stesso e, magari, riderci di gusto. È un’arte antica, un modo di narrare in solitaria, un monologo che oggi potremmo affiancare, anche se molto alla lontana, a ciò che per noi è il cabaret, ma molto più introspettivo e teatrale, capace di essere profondamente autoironico, delicato, assolutamente poetico in alcuni frangenti, e senza dubbio fonte di sfaccettata emotività.
La recitazione diviene quindi un elemento focale, croce e delizia di Bon, Shin e Yurie. Ecco quindi che il karma mostra il suo essere ineluttabile, e, man mano che ci si avvicina all’epilogo, ci viene ricordato di come il destino e le azioni dei genitori - o delle persone che ci crescono - divengano conseguenze inevitabili che si tramandano ai figli, di generazione in generazione, chiari segnali sparsi nella trama di quest’opera del tutto anacronistica.

“Showa Genroku Rakugo Shinju” ha il sapore di vecchio, ma di un vecchio buono, genuino, lontano e nostalgico. Sebbene non abbia del tutto condiviso la scelta delle dinamiche su come si sia risolto l’evento cruciale del penultimo episodio, siamo di fronte a un lavoro ottimo, magari non adatto a tutti per il genere che tratta, ma senza dubbio consigliatissimo a un pubblico maturo che cerca un intrattenimento romantico, drammatico e soprattutto sceneggiato in modo eccezionale. Man mano che si avvicina la fine, le storie narrate tramite il Rakugo prendono ad amalgamarsi con gli eventi della trama in modo quasi magico, divengono complementari alle vicende, ed è impossibile non provare empatia verso determinati personaggi. In questa complicata cornice, spiccano valori come l’amicizia, quella vera, quella che va oltre ogni genere di difficoltà e imprevisto, ma non mancano elementi come l’ammirazione, l’invidia, l’amore, il dolore: se è vero che il colpo di scena finale può risultare troppo romanzato, si potrebbe dire che la vicenda stessa possa essere un vero e proprio racconto appartenente al Rakugo, una sorta di storia all’interno della storia, un Rakugo nel Rakugo.

Artisticamente parlando, i disegni sono discreti, le animazioni sufficienti, ma non si grida certo al capolavoro grafico. I fondali e gli ambienti, invece, sono riprodotti minuziosamente e contribuiscono a creare le antiche atmosfere del secolo scorso, suggestive, passate, così lontane che a tratti sembrano uscire da ricordi sbiaditi o racconti di qualche anziano reduce di un’epoca che non v’è più.

Ci si rende conto che “Showa Genroku Rakugo Shinju” non è un titolo adatto a tutti, sia per tematiche che per metodologia di narrazione, ma risulta innegabile il suo notevole spessore artistico, che si esalta soprattutto nella splendida narrazione degli eventi.
Una poesia disegnata che sarà difficile dimenticare.

8.5/10
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Dopo aver curato l’anime di “Air”, la Kyoto Animation torna ad occuparsi della trasposizione animata di un'altra visual novel della Key: nel 2006 nasce così “Kanon”, serie di ventiquattro episodi diretta da Tatsuya Ishihara (regista dello stesso “Air” e in seguito de “La Malinconia di Haruhi Suzumiya” e di “Clannad”) e remake dell’opera realizzata nel 2002 dalla Toei Animation.

La trama vede come protagonista Yuuichi Aizawa, liceale che dopo sette anni fa ritorno nella città in cui era solito trascorrere le vacanze da bambino. Qui il ragazzo viene accolto da sua zia Akiko e dalla cugina Nayuki, sua vecchia compagna di giochi. Per qualche strana ragione, Yuuichi non ha ricordi di ciò che gli successe in passato: l’incontro con Ayu Tsukimiya, però, gli riporterà alla memoria quello che ha col tempo dimenticato.

Se l’anime del 2002 in tredici episodi trattava i vari eventi in maniera troppo sbrigativa, il “Kanon” del 2006 con circa il doppio delle puntate si prende tutto il tempo per farci ambientare nel mondo di Yuuichi e raccontarci la sua storia con la giusta delicatezza. Uno dei punti di forza che ho sempre apprezzato nelle opere dello studio, infatti, è la capacità di trasformare scene di vita quotidiana all’apparenza inutili in un’esperienza dolce e piacevole che difficilmente riesce ad annoiare lo spettatore. Sebbene nei primi sette episodi non accada niente di clamoroso, l’intrattenimento del pubblico è comunque un successo grazie alla particolare atmosfera che si viene a creare, alla dovuta introduzione che si riserva ai personaggi e alla sana comicità di cui il nostro protagonista è il re indiscusso.

Una volta che la trama ha ingranato, e che si è dato il via al primo dei vari archi in cui l’anime è suddiviso, ci vengono mostrati i tanti elementi che, nel bene o nel male, contraddistinguono un po’ tutte le opere nate dalla mente di Jun Maeda e compagni. Tra questi si annovera innanzitutto l’ottima introspezione di cui sono oggetto quasi tutti i membri del cast, dato che ogni eroina che Yuuichi incontrerà avrà la propria storia da raccontare. In ognuna di esse è possibile riscontrare un tema portante, ovvero lo scorrere inesorabile del tempo che cambia inevitabilmente le tante cose a cui eravamo abituati e che spesso ci preclude di continuare a vivere appropriatamente la nostra vita; “Kanon” ci mostra che anche chi rimane fortemente ancorato al passato, desiderando che tutto si trasformi gradualmente e che rimanga allo stesso tempo immutato, può ricominciare a guardare al futuro.
Altre costanti delle visual novel della Key sono sicuramente l’alta dose di drammaticità e gli happy ending che vanno a controbilanciarla: se da una parte il susseguirsi di eventi tragici può risultare parecchio forzato, dall’altra il sopraggiungere di miracoli gratuiti non può che suscitare, forse in misura anche più elevata, la medesima impressione. La svendita di felicità e bei sentimenti si può rintracciare anche nell’eccessivo buonismo di alcuni personaggi, tra tutti la madre di Nayuki, che accoglie in casa umani e animali senza alcun ritorno personale.

Passando al lato tecnico, il character design curato stavolta da Kazumi Ikeda potrebbe far storcere il naso a molti per via dei consueti occhioni che occupano buona parte del viso; tuttavia, se confrontato a quello della serie del 2002, non può che considerarsi una manna dal cielo (guardare Yuuichi in faccia adesso non è più una tortura). Come la Kyoto Animation ci abituerà negli anni seguenti, disegni e animazioni si attestano su standard qualitativi elevati per tutta la durata dell’anime; gli sfondi sono realizzati superbamente, mentre la fotografia ci permette di imprimerci nella memoria la luce arancione del tramonto in cui si incontrano Yuuichi e Ayu o quella blu della notte di cui è protagonista la tenebrosa Mai. La colonna sonora è la stessa della visual novel e si compone di tracce iconiche quali “Shoujo no Ori”, “Yakusoku” o “2 Steps Toward”. Da ricordare anche la serafica opening “Last Regrets” e la più vivace ending “Kaze no Tadoritsu Basho”. Encomiabile inoltre il lavoro dei doppiatori, in particolare quello di Tomokazu Sugita, che nelle scene comiche rende Yuuichi più esilarante che mai.

Tirando le somme, la delicata atmosfera di “Kanon”, i suoi personaggi e la superba realizzazione tecnica della KyoAni non possono che rimanere nel cuore dello spettatore; peccato però per i soliti difetti tipici delle opere della Key che ne intaccano leggermente il valore complessivo.

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"Mio padre che dorme nella bara mi sembra rimpicciolito. Mi pento di non averlo potuto assistere nei suoi ultimi momenti. Mio padre... se ne è andato lasciando in me il rancore che covavo da piccolo..."

"Al tempo di papà" è un manga ideato, scritto e disegnato dal famoso Jiro Taniguchi, uno dei più grandi mangaka giapponesi di sempre.
L’opera, formata da un unico volume, fu realizzata e pubblicata per la prima volta in Giappone nel 1994. Oggi, in Italia, è possibile leggere "Al tempo di papà" in quattro differenti edizioni grazie a Planet Manga, la quale portò nel nostro paese questa bellissima opera nel 2001.

TRAMA
Tokyo, anni ’90. Durante una giornata lavorativa qualsiasi, una chiamata sconvolge Yoichi: all’età di 76 anni suo padre Takeshi è morto. Si presenta così l’occasione per il protagonista di far ritorno a Tottori, il suo paese natio dalla quale manca da ben quindici anni. Yoichi, triste e malinconico, fa i bagagli e parte dall'aeroporto di Haneda con il volo del pomeriggio alla volta di Tottori, a un’ora di strada. Una volta uscito dall'aeroporto Yoichi fatica a riconoscere il suo paese natale ma, appena l’autobus si addentra tra le vie del centro, numerosi ricordi tornano alla mente dell’uomo. Una volta giunto alla casa del padre, un noto e stimato barbiere, i familiari, inaspettatamente, non lo accolgono con indifferenza o rancore per via della sua lunga assenza ma con amore, un amore forse troppo poco presente nella vita di Yoichi. Pentito ed amareggiato per le sue mancanze come figlio, Yoichi prega davanti al padre, prima che alcuni suoi famigliari, in particolar modo lo zio Daisuke, comincino a raccontare la lunga vita del defunto Takeshi.
Attraverso il racconto dei suoi famigliari tornano alla mente di Yoichi gli eventi che hanno cambiato la vita del padre, il primo matrimonio finito non bene, il tragico incendio di Tottori dell’anno 27 dell’epoca Showa, la nuova moglie e tanti altri ricordi che sconvolgeranno per sempre il ricordo che Yoichi aveva di suo padre, alla scoperta di un uomo onesto e valoroso che, purtroppo, non era riuscito a comprendere nel migliore dei modi quando era ancora in vita.

Che dire della trama? Semplicità. Una caratteristica che forse nei moderni seinen si sta un po’ perdendo. Jiro Taniguchi cerca di far vivere al lettore delle sensazioni molto forti catapultandolo in un mondo comune con situazioni che potrebbero essere vissute da chiunque.Tutta la trama non fa altro che giocare su un confronto psicologico tra il figlio, con la sua considerazione riguardo al padre, e il ricordo ancora molto vivo del padre, alimentato e sostenuto da coloro che gli sono sempre rimasti accanto. Una trama semplice attraverso cui Taniguchi vuole esprimere emozioni, riuscendoci ovviamente.
Dal punto di vista della trama Taniguchi è un maestro, la narrazione lenta e calma invoglia il lettore a riflettere ancor meglio, invitandolo ad immergersi nel racconto e facendosi trasportare dalle stupende immagini.

DISEGNO
Punto forte dell’opera sono appunto le immagini, le quali, come appunto scritto qui sopra, riescono a far pensare il lettore, facendolo vivere all'interno dell’opera. A parer mio, dal punto di vista stilistico e tecnico, Jiro Taniguchi, per quanto riguarda la matita, o si ama o si odia. Il tratto dei suoi disegni è molto realistico, molto originale e non modellato sugli schemi del disegno classico per manga sottomesso all'industria economia del fumetto. Inoltre, come l’autore stesso ha più volte sottolineato, il suo stile di disegno è stato molto influenzato nel corso della sua carriera dal fumetto occidentale, principalmente quello francese. Tutto ciò ha portato ad uno stile tutto suo, riconoscibile ad un primo sguardo. I suoi disegni a parer mio sono di una complessità talmente perfetta che diventano semplici ad un primo sguardo. Sono disegni molto curati che, a parer mio, non diventano mai pesanti e non stancano mai l’occhio del lettore che, anzi, trae da essi godimento.

EDIZIONE
In Italia, oggi, è possibile acquistare L’uomo che cammina in quattro diverse edizioni: quella classica del 2001 citata sopra della Planet Manga, un’altra della Planet Manga facente parte della collana “Taniguchi Collection” e un’ulteriore, sempre della Planet Manga, inserita nella collana “Taniguchi Deluxe Collection”. Un’ultima edizione, per la quale vorrei spendere qualche parola in più, è quella de La Gazzetta dello Sport, ovviamente realizzata in collaborazione con Planet Manga, che ha deciso in questo periodo di lanciare nelle edicole, a cadenza settimanale, trenta tra le più famose opere di Jiro Taniguchi al prezzo di soli 9,90€.
Quest’ultima è un’edizione con copertina flessibile, senza sovraccoperta, con alette ai lati e con alcune pagine a colori. Personalmente ho avuto modo di leggere quest’opera proprio grazie a questa economica edizione che, sicuramente, non sarà pregiata tanto quanto le precedenti ma che in rapporto qualità/prezzo non ha nulla da invidiare alle altre.


"Al tempo di papà" è un romanzo a fumetti, non un semplice manga: è un’opera d’arte di uno dei più grandi artisti del panorama giapponese, e forse anche mondiale, degli ultimi anni.
Un’opera sicuramente non facile, da prendere in considerazione con estrema calma e da leggere dopo un minimo di riflessione, con la mente libera. Il motivo per cui consiglio di affrontare "Al tempo di papà" con una determinata modalità di lettura sta nella comprensione dell’opera stessa: non bisogna fermarsi al primo livello di lettura, bisogna invece scavare in profondità.
Consiglio quest’opera a tutti gli appassionati di Taniguchi, a chi si ritrova per la prima volta fra le mani una sua opera e a chi ama perdersi tra le emozioni, le sensazione, i ricordi e i pensieri nati dalla matita del genio giapponese di Tottori.