Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Mi raccontava un mio giovane conoscente, figlio di genitori divorziati, che al momento della scelta degli studi universitari il padre gli aveva detto di avere completamente sbagliato scelta, ma che comunque, essendo un fallito, non sarebbe mai riuscito a fare nulla nella vita. Questo mio conoscente è un grande fan di "Neon Genesis Evangelion", e la cosa non mi sorprende.

Personalmente non posso che considerare "Evangelion" come l'espressione di un malessere esistenziale inquietante e pervasivo della gioventù giapponese e non. Di questo me ne resi conto fin dai tempi della mia prima visione, avvenuta alla fine degli anni novanta, prima della messa in onda da parte di MTV, quando "Evangelion" era sconosciuto ai più. La serie mi era stata raccomandata da un giovane anime-fan, secondo il quale "Evangelion" era un capolavoro assoluto, una serie che avrebbe fatto la storia. Io ero molto scettico.

Vista tutta la serie e le famigerate due puntate finali, dissi qualcosa del tipo: "Mah, questa serie potrà piacere a due persone su cento, ma con quel finale non credo che sarà mai un successo di pubblico; resterà una serie cult per pochi appassionati depressi". Le ultime parole famose. Sembra che i giovani depressi fossero molti di più di quanto immaginassi, e da allora "Evangelion" ha riempito i cinema e ricoperto d'oro il suo creatore, finendo riproposto in tutte le salse con innumerevoli rebuild, ancora in corso dopo più di vent'anni.

Mi ha sempre inquietato che "Evangelion" sia diventato un fenomeno di massa: possibile che così tante persone ci si riconoscano? La società in cui viviamo è davvero messa così male? I sedicenti "veri" fan di "Evangelion" mi dicono che la spiegazione del successo di massa è semplice: la massa non ha capito la componente psicologica di "Evangelion" e si è fatta affascinare semplicemente dalla sua esteriorità, ovvero la trama ricca di misteri, la qualità tecnica eccelsa, le musiche e le animazioni. I suoi fan non sono tutti depressi, si sono semplicemente fatti sedurre.

Io onestamente questa spiegazione non l'ho mai bevuta: non ci credo che si possa amare "Evangelion" per la trama - che viene troncata al ventitreesimo episodio - né per i robot - la prova: l'enorme numero di persone che dice non gli è mai piaciuto il genere robotico, ma "Evangelion"... Io credo che per amare "Evangelion" uno debba necessariamente essere in grado di provare qualche feeling per i personaggi, e per farlo bisogna avere idea di cosa possa essere avere un certo tipo di genitori.

Ippei Kuri, uno dei padri fondatori della Tatsunoko, in un'intervista del 1998 scrisse:

C'è qualcosa che mi sfugge in cosa sono diventati i Giapponesi. Noi disegnavamo i nostri sogni, mentre con "Evangelion" mi sembra piuttosto che si entri in un incubo. Se è vero che chi ha visto la serie ha simpatizzato con i problemi che vi sono raccontati, mi chiedo a cosa ci ha portato questo eccesso di ricchezza, e se tale possiamo chiamarla.

Non c'è dubbio che "Evangelion" costituisca uno spartiacque generazionale: è chiaramente il frutto di una società ben diversa rispetto quella che ha prodotto gli anime che lo precedono. La vecchia generazione di anime-fan era figlia di un Giappone povero e sconfitto, che ha dovuto ripensare completamente i suoi fondamenti. La generazione Evangelion è invece figlia del boom economico degli anni ottanta, di persone che non hanno mai conosciuto le privazioni tipiche degli anni precedenti, ma hanno conosciuto la disgregazione della famiglia tradizionale giapponese.

Forse la più significativa differenza tra le due generazioni è nella figura del Padre: per la vecchia generazione il padre è sì duro, severo e non portato a mostrare i suoi sentimenti, ma è comunque sempre presente e figura di riferimento fondamentale per il figlio. Come Padre exemplum di tutta la generazione prenderei Kenzo Kabuto de "Il Grande Mazinga", padre adottivo di Tetsuya e Jun, e padre biologico di Koji Kabuto. Come sappiamo, alla fine della serie Kenzo muore sacrificandosi per salvare i figli. Questi erano i padri della vecchia generazione: durissimi, ma senza alcun dubbio in grado di amare i figli.

Al contrario, il Padre exemplum della generazione Evangelion è Gendo Ikari, l'esempio di padre più negativo che si sia mai visto. Non solo Gendo abbandona il figlio per quasi tutta l'infanzia, ma anche quando lo richiama a sé non dimostra minimo affetto per lui e non esista a sacrificarlo per il suo scopo, che è il ricongiungimento con la moglie scomparsa Yui. La differenza con Kenzo Kabuto si vede anche se si considera solo la componente sessuale, che è completamente esclusa dalla figura di Kabuto - non solo non ha moglie, ma ha addirittura un corpo meccanico ed è quindi fuori dai giochi -, mentre è estremamente presente in quella di Gendo, che ha interazioni sessuali non solo con la moglie Yui, ma anche con la dottoressa Akagi madre e la dottoressa Akagi figlia, per non parlare del suo ambiguo rapporto con Rei.

Alla differenza tra i padri Kenzo e Gendo (si noti la quasi omonimia) corrisponde una differenza altrettanto marcata tra i figli Tetsuya e Shinji, che tuttavia sorprendentemente hanno anche un fondamentale punto di contatto. Da un lato Tetsuya, figlio adottivo, prova invidia verso Koji, figlio vero di Kenzo che ritiene gli debba essere necessariamente preferito; dall'altro lato Shinji, figlio biologico, prova invidia verso Rei, figlia adottiva, che vede più vicina a sua padre di quanto non sia lui stesso. Ci sono quindi delle somiglianze di base tra i due figli, ma, discendendo da padri opposti, si comportano in maniera opposta: Tetsuya rinsavisce, si riconcilia con Koji e con sé stesso e vince la guerra con i Mikenes, mentre Shinji invece ha un vero e proprio collasso psicologico e si lascia completamente trascinare dagli eventi, rivelandosi in conclusione inutile.

Nel finale televisivo Shinji si rinchiude nel suo mondo, incapace addirittura di capire la differenza tra realtà interiore ed esteriore, in preda a una crisi senza uscita: l'applauso finale dopo la sua frase "Ma allora io forse posso vivere!" sa molto di presa in giro. Nel finale cinematografico "The End of Evangelion" lo stesso messaggio viene illustrato in maniera diversa (si pensi alla confusione tra la realtà reale - gli spettatori al cinema rappresentati in live action - e realtà dell'anime), ma anche qui l'ultima scena, con Asuka che dice a Shinji sulla riva del mare "Che schifo!" sa di presa in giro.

Personalmente, mio padre era molto più simile a un Kenzo Kabuto che a un Gendo Ikari, e come conseguenza io sono venuto su più simile a un Tetsuya Tsurigi che a uno Shinji Ikari. In particolare tutte le paranoie di Shinji mi scivolano sopra come gocce di pioggia su di un impermeabile. Prendiamo per esempio tutto il discorso dell'incomunicabilità tra le persone, che è una parte importante in "Evangelion" (si pensi anche solo all'AT field come metafora delle barriere interpersonali). Io credo nella sostanziale incomunicabilità tra le persone fin da quando avevo l'età di Shinji, ma l'ho sempre preso come un dato di fatto, non come una cosa su cui struggersi.

Il motivo (immagino) è che a me non è mai neppure passata per l'anticamera del cervello l'idea di non essere amato (si potrebbe dire che sono fortunato). Al contrario, Shinji è convinto di non essere amato dal padre e quindi è perennemente in cerca di rassicurazioni da parte degli altri. Soffre la solitudine perché ha bisogno degli altri, e non riuscire a farsi capire è per lui un grosso problema. Non capisce che amore e comprensione sono due cose diverse: si può benissimo essere amati senza essere capiti, ma, siccome lui non è amato, pensa che il motivo sia perché non è capito. Da qui la sua tragedia. Al contrario, se si pensa di essere amati, l'isolamento dovuto all'inerente incomunicabilità interpersonale è un problema minore.

Un discorso analogo si può fare per Asuka, che è la controparte femminile di Shinji, con una madre pazza che si è suicidata cercando di portarla con sé nella tomba. Per questo Asuka odia tutti e prima di tutti sé stessa. Ma mia madre è all'opposto della madre di Asuka, e quindi anche il suo personaggio non mi dice nulla a livello profondo. Rei d'altra parte con tutti i suoi cloni è un non-personaggio ben difficile da interpretare. Mi trovo quindi indifferente rispetto ai personaggi e al valore della componente psicologica di "Evangelion", non la capisco proprio: è un altro esempio dell'incomunicabilità di fondo tra persone, se vogliamo. Non potendo giudicare la componente fondamentale, posso giudicare solo la componente accessoria, ovvero la trama, e questa mi risulta molto una presa in giro, visti i due episodi finali.

Come è noto, i due episodi non sono stati il risultato di una geniale scelta registica, ma piuttosto dell'incapacità di Anno di chiudere la serie in tempo utile e con il budget disponibile. O per incapacità nel gestire le risorse, o per scelta avventata - sperava che gli venissero assegnate più risorse dalla produzione, ma la serie stava andando male, quindi non c'era verso -, Anno si è trovato a dover girare gli ultimi episodi in pochi giorni e senza soldi, quindi decise di "trollare" la produzione e gli spettatori con un finale provocatorio. Non è certo un segno di professionalità.

Anni dopo, forte del successo di pubblico, Anno ha avuto la possibilità di rifare il finale della serie, riproponendo gli episodi 25 e 26 in un film cinematografico ad alto budget e con durata doppia rispetto a degli episodi TV. Nonostante questo la trama rimane incompiuta e incomprensibile: di nuovo la sfera psicologica (a me non fruibile) ha il sopravvento, e tutta la seconda metà del film è piena di scene oniriche che sembrano il frutto di un viaggio nell'acido. Questo è chiaramente intenzionale, anche se il motivo vero rimane opinabile.

Secondo le dichiarazioni di Anno il suo scopo era quello di dare un violento scossone alla coscienza degli otaku, rappresentati tramite Shinji come dei vigliacchi onanisti. Lungi da realizzare questa ambizione, Anno ha invece creato un'intera nuova generazione di otaku che lo riconoscono come loro profeta e ritengono "Evangelion" il loro vangelo. Rispetto allo scopo dichiarato Anno ha fallito miseramente, visto che gli spettatori sono stati incapaci di recepire il messaggio di affrontare il mondo reale. D'altra parte, se il suo scopo reale era quello di far parlare di sé e diventare ricco, c'è riuscito perfettamente. Trovo comunque un peccato che sia rimasto impantanato nel lungo ciclo dei remake e che nei ventiquattro anni che ci separano da "Evangelion" non abbia realizzato nient'altro degno di nota.

Personalmente, mi sento costretto a bocciare la serie, pur riconoscendole l'importanza storica che ha: è davvero l'inizio di una nuova era, ma io sono un residuo della vecchia.

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"Uchuu Patrol Luluco" è esaltazione. L'esaltazione del primo amore di una sciocca tredicenne, così come l'esaltazione di TRIGGER di tutti i propri prodotti. Ma, soprattutto, è un calderone gigantesco di citazioni, di gag esagerate, di invenzioni visive, di scene fuori di testa e, in generale, di intrattenimento allo stato dell'arte. Tanto divertente, tanto vario, che nella sua realizzazione si potrebbe dire isterico, e questa sua isteria è anche il suo miglior pregio.

Questa volontà di strafare e infilare di tutto e di più si riflette in ogni ambito della serie, a partire dalla trama: la giovane Luluco vive ad Ogikubo, crocevia di vite aliene tra le più varie, e vuole vivere una vita banalmente normale a differenza del resto delle strane creature che popolano la città e di suo padre, membro della Pattuglia Spaziale; a seguito di svariate disavventure che portano la piccola a congelare il padre e romperlo per errore, la nostra Luluco si ritrova incastrata da Over Justice, capo della Space Patrol, nella sua organizzazione, accoppiata con il misterioso e belloccio ΑΩ Nova di cui si innamora follemente a prima vista. Dopo questa introduzione la trama poi vira verso lidi sempre più assurdi e inaspettati, tra mamme piratesse spaziali, alieni stravaganti, viaggi inter-dimensionali e astronavi gigantesche, complotti, contro-complotti e chi più ne ha più ne metta, e come legante della vicenda l'amore irrazionale della nostra protagonista per ΑΩ Nova. La scala epica cresce e cresce a velocità sconcertante, e in sole tredici puntate da sette minuti ciascuna l'opera di TRIGGER raggiunge vette di tale portata, da essere considerabile un "Gurren Lagann" in miniatura. Non nomino "Gurenn Lagann" a caso, poiché la serie è infarcita di citazioni esplosive di precedenti lavori di TRIGGER, e più in generale di Himaishi, sbattute in faccia allo spettatore costantemente: interi pianeti con stili grafici o eventi ripresi dalle opere a cui fanno riferimento (ad esempio "Kill la Kill" o "Little Witch Academia"), gli occhialoni a V di Kamina appiccicati dovunque sembrino opportuni e, meraviglia delle meraviglie, i veri personaggi di quelle stesse serie che talvolta fanno capolino, agendo attivamente nella narrazione; il tutto è fatto con una tale leggerezza e autoironia che inevitabilmente strappa risate o sorrisi nello spettatore. Citazioni a parte, Himaishi fa un lavoro incredibile nel farci affezionare ai personaggi, caratterizzati tutti nella loro esagerazione in un lasso di tempo così breve in maniera monumentale, e rende l'amore di Luluco per ΑΩ Nova un'impresa titanica e davvero emozionante dall'inizio alla fine, da vivere tutta d'un fiato (e, vista la durata risibile della serie, è il modo migliore per fruirne).

Se quindi a livello di narrazione si viaggia su livelli di follia tanto elevati quanto magnifici, picchi più alti vengono raggiunti dall'estetica generale: TRIGGER si riconferma come uno degli studi di animazione più talentuosi e soprattutto fantasiosi di sempre, grazie a una varietà di stili grafici in parte già sperimentati e in parte di nuova fattura che generano così un'esperienza visiva geniale in ogni frangente. Il tratto è sempre morbido e pulito, i colori splendenti, vivaci, con una deliziosa predilezione per il celeste e il rosa, o desaturati per sottolineare i momenti drammatici, le animazioni fluidissime e malleabili per modellare ogni personaggio nel modo più esagerato possibile (e la trasformazione di Luluco in pistola è un esempio perfetto, tanto inaspettato quanto buffo).

Insomma, ci troviamo davanti a un lavoro di grande perizia e che soprattutto non si prende sul serio, è divertito, divertente e condito da sperimentazioni a destra e a manca in un concentrato di genio ormai solito allo studio e al regista. Non siamo di fronte a un capolavoro imprescindibile, certo, ma a un'opera ottimamente riuscita, altro cult che va ad aggiungersi al già imponente curriculum dello staff, che riesce a far credere per un momento che le emozioni di ciascuno siano la cosa più importante dell'universo con immensa forza vivificatrice. Finirete il viaggio della piccola Luluco con un sorriso stampato in volto e una lacrima che vi riga il viso, e ogni tanto serve anche questo.

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All'inizio degli anni '70 Go Nagai era l'astro nascente del mondo dei manga. Con opere come "Harenchi Gakuen" e "Abashiri Ikka" era riuscito a creare un blend di comicita', violenza ed erotismo che aveva riscosso un notevole successo e sconvolto il conformismo della societa' giapponese dell'epoca. Inoltre fondando la sua casa di produzione Dynamic Planning aveva rafforzato il suo potere contrattuale con gli editori. All'inizio del 1972 Nagai fu contattato dalla Toei Doga per creare una versione animata del suo manga Mao Dante, che divento' poi Devilman. Durante le riunioni per definire i dettagli del progetto Devilman, Nagai propose un altro soggetto alla Toei, Mazinga Z, scaturito da un intuizione che aveva avuto mentre era in auto in coda nelle strade di Tokyo. La Toei fu entusiasta della nuova proposta e mise in cantiere anche il progetto di Mazinga Z chiedendo a Nagai di occuparsi personalmente della serializzazione manga sulle pagine di Weekly Shonen Jump, su cui aveva gia' registrato un enorme successo con "Harenchi Gakuen". Gli editori della Shueisha accettarono controvoglia il fatto di pubblicare una riduzione di un anime a patto che la serializzazione sul settimanale iniziasse prima della serie tv, determinando cosi' un evoluzione della storia completamente diversa da quella della controparte televisiva. Una introduzione cosi' lunga e' necessaria a spiegare le vicissitudini che hanno accompagnato la versione manga di Go Nagai di Mazinga Z e a motivare il mio pessimo giudizio su quest'opera. Detto francamente, il Mazinga di Nagai e' un manga "illeggibile", fatto di episodi autoconclusivi dalla trama appena abbozzata e completamente slegati l'uno dall'altro, in cui il fattore avventura a sfondo tecnologico, passa in secondo piano lasciando spazio al fattore ecchi e ad un proto fanservice che Nagai avrebbe presto saputo rendere remunerativo con Cutie Honey. Il tratto di Nagai, gia' ruvido di suo, e' qui impreciso e quasi disattento, e affoga in una narrazione che strizza l'occhio piu' ad una comicita' da commedia scollacciata piuttosto che enfatizzare la tensione nelle scene d'azione. Inoltre sembra che Nagai fosse stato costretto a creare una specie di clone di "Harenchi Gakuen" dagli stessi editori della Shueisha. La serializzazione deluse le aspettative e fu spostata su un periodico per bambini edito da Kodansha, allineandolo al target televisivo. Da questo punto Nagai perde completamente interesse nel disegnare un manga che non avrebbe mai voluto realizzare personalmente e le storie si limitano a brevi combattimenti di poche pagine peraltro pessimamente sceneggiati.
In conclusione molto meglio la versione di Ota che pur seguendo pedissequamente l'evolversi della serie tv, aggiunge degli episodi sorprendenti e superbamente disegnati, cosa che il Mazinga di Nagai non riesce mai a proporre.