Ogni anno i premi Oscar catturano l'attenzione di milioni di appassionati di cinema in tutto il mondo, lasciando una coda di riflessioni o polemiche sulle varie scelte della Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Mai come quest'anno, in ogni caso, si percepiva la consapevolezza di arrivare ad assistere ad un'edizione storica, soprattutto nella categoria che avrebbe assegnato l'Oscar al miglior film, dove si sarebbero scontrati titoli che in caso di vittoria avrebbero inevitabilmente avuto un impatto rilevante nel mondo della cinematografia e non solo. Avremmo forse assistito alla vittoria del primo film distribuito in streaming anziché al cinema con The Irishman di Martin Scorsese o Storia di un matrimonio di Noah Baumbach? Sarebbe stata la prima volta per Quentin Tarantino con C'era una volta a... Hollywood? Oppure ancora si sarebbe fatta la storia con la vittoria di un cinecomic come Joker di Todd Phillips? Ebbene, la risposta è stata: nessuna di queste. A trionfare è stato Parasite (Gisaengchung) di Bong Joon-ho, film sudcoreano già vincitore della Palma d'oro a Cannes, primo film in lingua straniera a imporsi in questa categoria, che ha raccolto ben quattro statuette in categorie importanti come appunto Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Film Straniero. 
 
Bong Joon-ho vince Oscar come miglior regia

Come detto, quella sera sarebbe stata comunque storia, ma la scelta dell'Academy ha sicuramente incuriosito. Già numerosi film avevano sfiorato l'impresa di riuscire a imporsi in terra straniera; solo lo scorso anno vi era tra i favoriti Roma di Alfonso Cuarón, e se pensiamo all'Italia non possiamo non citare il 1999 con La Vita è Bella di Roberto Benigni, vincitore del Premio Oscar come Miglior Film Straniero e tuttavia superato da Shakespeare in Love di John Madden nella categoria assoluta. Vestendoci per un secondo di patriottismo, va segnalato che un pizzico di Italia in questa vittoria in realtà c'è, visto che chiunque ha ben udito la voce di Gianni Morandi e la sua "In ginocchio da te" in un momento chiave del film, al punto che lo stesso artista ha voluto fare i complimenti a tutta la produzione sul proprio profilo Facebook.
 
Tornando ora ad una veste più critica, Parasite è certamente un grandissimo film, e non potrebbe essere altrimenti considerando i riconoscimenti che ha ricevuto negli ultimi mesi; in molti tuttavia si domandano il perché l'opera di Bong Joon-ho sia riuscita a imporsi in maniera così netta nella più importante e storica rassegna di premi cinematografici al mondo. Rispondendo in maniera rapida e coincisa si potrebbe dire che Parasite sia un film che ad altri non era mai riuscito: è la pellicola che più di ogni altra riesce a mostrare il divario socio-culturale tra ricchi e poveri, e che vuole denunciare la totale sparizione della cosiddetta "middle class", la quale di fatto rendeva meno evidente la distanza sociale tra individui. Un tema forte, già trattato in svariate opere, ma la bravura di Bong Joon-ho, e con lui dello sceneggiatore Han Ji-won, è stata quella di rendere tutto questo appetibile per il grande pubblico: ciò è avvenuto dapprima "occidentalizzando" la pellicola, e poi riuscendo a mescolare tra loro numerosi generi tra cui il thriller, il quale porta allo spettatore quella componente ansiogena molto forte che serve a mantenere viva l'attenzione, che altrimenti sarebbe venuta meno durante lo svolgersi della storia rendendo Parasite un'opera asiatica canonica, molto drammatica e a tratti compassata. 
 
Parasite vincitore di quattro Oscar

Parasite è dunque un film asiatico che di orientale ha solo la componente visiva. Conquista certamente per la sua capacità di aprirsi a decine di spunti di riflessione, alcuni ben marcati, altri da scoprire, dove non abbiamo alcun elemento o situazione che non richiami al messaggio chiave descritto sopra. Assistiamo al maniacale e utopistico desiderio della famiglia Kim di arrivare in cima, di voler "essere come quelli là", di voler scalare la propria condizione sociale. Il cammino tuttavia è irto di insidie: bisogna fingere, rinnegare le proprie origini, e la vita non smetterà mai di tentare di farli affogare, in questo caso tra i loro stessi liquami.
Parasite racconta quindi in maniera cruda, diretta e artistica ciò che di fatto avviene nella vita reale, dove vi è un precariato o un ceto più povero che vive sulle spalle degli altri, un parassita che vive nello scantinato dell'élite sociale, il quale si divide tra chi vorrebbe emergere e chi non ha le forze per poterlo fare, ma tuttavia si sente in obbligo di ringraziare quotidianamente chi gli permette di vivere la propria vita, seppur miserabile. In risposta, la classe più abbiente sente la necessità di attuare pesanti disinfestazioni per ripulire la propria vita da questi "scarafaggi", anch'essa col volto rivolto verso l'alto, inconsapevole di colui che vive più in basso. Tuttavia il parassita è abituato a respirare il veleno, ne è ormai immune, può continuare il proprio lavoro nonostante la nube tossica lo avvolga e il liquame lo sovrasti, anzi risponde fumandosi una sigaretta senza curarsi del tanfo o della sporcizia. L'odore è però ben rilevabile dal capitalismo, sin dalla tenera età, quell'odore in questo caso di pendolare o di ravanello, qualcosa di insopportabile e che non manca mai di essere sottolineato; questo, almeno finché la continua umiliazione non si va a scontrare con l'orgoglio di un padre, che di fatto è l'orgoglio di una classe. Infine, il film va a mostrare come anche il piano meglio costruito o geniale, se ordito da un "inferiore", alla fine deve per forza fare i conti con ciò che non è scritto ma che si avverte: a tal proposito siamo partecipi di uno dei dialoghi più interessanti del film, con Ki-taek, appena ritrasformatosi in scarafaggio sociale, che racconta a suo figlio Ki-woo che il piano che non può mai fallire è quello che non viene mai progettato.
 
Parasite è dunque nelle parole del suo stesso regista: "Una commedia senza clown, una tragedia senza cattivi", dove nessuno di fatto è sbagliato ma è sbagliata la vita, quella che viviamo nel quotidiano. Il film è quindi denuncia pura, magistralmente costruita, che non punta il dito in un'unica direzione bensì apre a numerosi imputati, anche politici: si intravedono infatti frecciate alla guerra tra le due Coree e la loro diversità culturale, quindi alle dittature, alla borghesia consolidata arricchitasi grazie ad una bolla speculativa che di fatto ha scavato un solco insormontabile tra classi, alle fredde e ipocrite maschere con cui si è costretti a convivere. Se in molte altre pellicole questi messaggi erano rivolti agli ultimi, per dar loro speranza e voglia di rivalsa, in questo caso il tutto è indirizzato ai primi, ai club, alle cerchie ristrette e per gli ultimi non resta che la dura realtà, ossia un finale amaro e un sogno che potrebbe realizzarsi ma che ad occhi aperti sappiamo che mai si realizzerà. 
 

Riassumendo il concetto, all'Academy Awards la denuncia è arrivata forte e chiara, e in tutta risposta si è voluto mostrare un'apertura verso coloro che "non hanno mai fatto parte del giro". Tuttavia, per quanto nella sua narrazione Parasite sia stato diretto e schietto, dobbiamo ora esserlo altrettanto anche noi. La Corea del Sud e la cinematografia asiatica in generale non sono mai state prese seriamente in considerazione, non solo in termini di riconoscimenti ma in generale anche da noi stessi in quanto spettatori. In questi giorni sono decine i messaggi che si leggono di appassionati che hanno visto otto dei nove film candidati agli Oscar snobbando Parasite in quanto sudcoreano. Anche ora, nonostante i premi Oscar, ci si domanda se valga la pena approcciarvisi. Insomma nonostante tutto, il divario da colmare resta ampio, e lo è anche in termini di critica dove sono piovuti plausi per l'apertura e la scelta di Parasite come miglior film dell'anno, eppure salta comunque all'occhio come non si sia voluto candidare uno straordinario Song Kang-ho tra i migliori attori protagonisti. Indubbiamente in questa edizione Joaquin Phoenix e il suo Joker, che di fatto rappresenta un disagiato sociale che vive come la famiglia Kim nel desiderio di rivalsa, è certamente una scelta più che condivisibile, ma è altresì vero che nessun attore asiatico è mai stato anche solo nominato, e quindi anche questa appare come un'occasione mancata.
 
Come detto in apertura, gli Oscar lasciano sempre strascichi riflessivi: il prossimo anno seguiremo la miniserie americana di HBO spin-off di Parasite, perché il ferro va battuto finché è caldo, il business è sempre il business, e il capitalismo resta sfrenato nonostante le buone intenzioni. Tuttavia la vittoria di Parasite va accolta con gioia, è riuscito ad arrivare dove nessuno era mai arrivato, insomma citando di nuovo Gianni Morandi, il film è quell’uno su mille che è riuscito a farcela, nonostante la salita.