Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

-

Nel mio annuale clinic di aggiornamento dedicato alla sconfinata 'fumettografia' e filmografia della Takahashi, nel quale cerco di leggere e vedere tutto quello che ho comprato e accatastato nella libreria e nello scaffale dei DVD, ho scovato una serie TV datata 2003 che m'era sfuggita.
Devo dire che non se ne è mai parlato molto, poiché tutta l'attenzione era incentrata su "Inuyasha", il tormentone del momento.

Cominciamo subito dalle cose che mi hanno fatto storcere il naso e che, secondo me, hanno fatto perdere al titolo un bel po' di eco mediatico tra gli adepti della setta "Rumikology". La scelta dei capitoli da trasporre sulla tivù, sempre secondo il sottoscritto, non si è rivelata troppo felice, ma in linea con la vena surreale delle opere in sé. È la prima volta che lo studio di Nakano si occupa di soggetti scaturiti dalle mani della nota mangaka classe 1957 (chi non la conosce in Giappone?). Occasione sciupata direi, visto che dai dati in mio possesso risulta che non abbia macinato buoni ascolti al momento della messa in onda su TV-Tokyo.

Alcune storie hanno passaggi nebulosi e significati inafferrabili per noi Occidentali, ma questo non ne pregiudica la visione. Anche per "Lamù" è così, ma in Italia ha spopolato prima in tivù e dopo nelle edicole, nonostante di gran parte di quelle leggende non ne conoscessimo manco una.

Per iniziare, scordatevi una volta per tutte le fantasmagoriche sequenze degli OAV anni '80 dello Studio Pierrot, e soprattutto niente giunoniche guerriere in pose conturbanti o mostri spaziali 'tentacolosi'. Qui a farla da padrone sono i gesti e i riti di tutti giorni, con l'aggiunta di un pizzico di sovrannaturale (ma proprio giusto un pizzico).

La palette dei colori dei personaggi è davvero troppo simile a quella dei fondali, facendoli risultare poco in evidenza su vicoli e paesaggi. Probabile che ai tempi i coloristi avessero ancora poca dimestichezza nell'armeggiare con i nuovi sistemi informatici per le rifiniture e il compositing. Ancora, la (poca, per fortuna) CGI è fuori luogo: inutili sofisticherie e orripilanti artifizi che appaiono inconciliabili con le sfumature al pennino dell'autrice nipponica. Il character design fa già parte dello nuovo formato perfettamente spigoloso e pentagonale inaugurato con "Ranma 1/2". Alcune volte sembrano apparire volti e connotati tipici dei lavori di Mitsuru Adachi affetti da idropisia. Forse nella testa dei genga-man regnava un po' di confusione. Infine sia la opening che la ending non le trovo appaganti da nessun punto di vista, indecorose per un progetto di tale portata. Buone le BGM di sottofondo invece, dal momento che contribuiscono a creare suspense in crescendo nelle puntate più palpitanti con finale a sorpresa.

Detto ciò, sono più le cose che non ho digerito rispetto alle note positive, ma dopotutto non è un completo disastro e non me la sento di bocciare questo tentativo di celebrare le opere brevi della timida, sessantenne signora occhialuta che ha raggiunto record di vendita a sei zeri in ogni latitudine. Certo, se al timone ci fossero stati Mamoru Oshii o Kazuo Yamazaki - ben più avvezzi alle atmosfere oniriche della Principessa dei manga -, sono abbastanza sicuro che adesso non sarei qui a rifilare il solito 6.5 politico. Al di là della discutibile evoluzione stilistica (o piace o non piace, non ci sono vie di mezzo), i singoli episodi su carta sono una spanna sopra, e su questo non ci piove. Stavolta Shunzo Kato e soci hanno toppato, non completamente, ma qualche recriminazione resta. È l'ideale solo per chi scalpita di vedere a colori e in movimento le sue fatiche più recenti.

-

«Rinshi!! Ekodachan» è una serie di corti di dodici episodi, distribuita nell’inverno 2019; la più evidente particolarità di questo anime è che ogni episodio è affidato a un regista differente, e anche la doppiatrice della protagonista cambia di volta in volta.

Il manga da cui sono tratte le storie è un 4-koma che racconta la storia di una ventiquattrenne single (più o meno single) che lavora a Tokyo e passa da un lavoro all’altro. E ha l’abitudine di stare nuda in casa: “per risparmiare sui lavaggi”, veniamo edotti nel primo episodio.

Si tratta di un prodotto particolare: infatti, ci troviamo davanti sì a una serie di corti, ma si articola su episodi della durata canonica di ventiquattro minuti; perché ogni episodio aggiunge al corto iniziale anche una serie di interviste al regista e alla doppiatrice che interpreta la protagonista, che occupano la maggior parte del minutaggio, e una breve sezione finale in cui sono mostrati alcuni momenti della realizzazione di un key-frame dell’episodio.

La trama, dato il tipo di manga da cui la serie è tratta, è episodica e frammentaria, ed è la cosa che meno mi ha convinto di questo prodotto. Ekodachan è sicuramente un personaggio interessante, ma non così particolare, almeno guardandolo a partire da un punto di vista di una spettatrice occidentale: una giovane donna indipendente, simpatica e non troppo avveduta. Pochi gli altri personaggi: comparse occasionali, uno o più (difficile dirlo) dei “non fidanzati” di Ekoda, la sorella e un’amica di Ekoda. Belli gli accenni alla questione “animali domestici” (ma non voglio fare spoiler).

Da quanto però ne dicono registi e doppiatrici, nelle interviste, a loro il personaggio pare molto particolare. Le interviste sono molto interessanti: sia dal punto di vista dell’approfondimento tecnico del lavoro e del regista e del doppiatore sia per la curiosità che possiamo avere noi “gaijin” verso la società giapponese. Se le parti tecniche sul lavoro le ho sempre trovate stimolanti, le parti, invece, dedicate all'analisi del personaggio mi sono risultate, più di una volta, estremamente lente. L’analisi del personaggio non è approfondita e si perdono così spunti che avrebbero potuto portare a riflessioni interessanti: molte sono le disamine sulla particolarità della “natura” femminile, e poi spesso si perdono spunti molto più generali, sulla natura umana, come nel secondo episodio dove la nostra Ekoda è chiaramente alle prese con il bias dei “costi irrecuperabili” e nessuno sembra accorgersene, o all'opposto, quando la stessa Ekoda conferma lo stereotipo secondo cui le donne direbbero “no” quando pensano “sì” - più che una caratteristica universale femminile mi sembra, se non uno stereotipo di questo tipo di letteratura, quanto meno una particolarità della cultura nipponica.

La scelta di affidare ogni episodio a un regista diverso rende questo prodotto una piccola perla per chi, come la sottoscritta, non conosca bene il mondo dell’animazione e voglia capirne di più.
Gli stili di ogni episodio sono diversissimi fra loro: vedere le trasformazioni dello stesso personaggio da un episodio all’altro è oltremodo interessante. Ogni chara è molto diverso, alcuni decisamente particolari, altri molto classici e accattivanti, si passa anche attraverso il “furry”. E lo spettatore non può che chiedersi quanto abbia senso pretendere, come avviene ad ogni annuncio di una nuova trasposizione da manga, una “fedeltà” all’originale. L'animazione è un mezzo diverso e da interpretazioni molto personali possono venire fuori prodotti validissimi.

Gli episodi che ho amato di più: il quinto (regia: Yoshitomo Yonetani - già alla regia di «Food Wars! Shokugeki no Soma») grezzo ed espressionista, il sesto (regia: Ryousuke Takahashi - «Cyborg 009») seducente e elegantissimo, l’ottavo (regia: Masayuki Kojima - «Made in Abyss») dai colori caldi e freddissimi al contempo, e graficamente dolcissimo, l’undicesimo (regia Osamu Kobayashi, «Beck - Mongolian Chop Squad») in cui dominano carboncini e musica.

Un consiglio per la visione: una prima volta vedendo tutti gli episodi completi e una seconda volta con i soli corti.

8.5/10
-

"Garden" (aprile 2000) è la prima vera raccolta di storie fumettistiche di Furuya, che prima di questo momento aveva pubblicato in volume solamente sketch ironici e sperimentali a quattro o a nove cornici. Le storie qui presentate sono state proposte al pubblico in un periodo che va dal dicembre 1996 al gennaio 2000 tramite riviste underground giapponesi quali Comic Cue, Manga Erotics e Garo.
Per quanto il titolo tragga origine dalla prima novella, in cui l'autore ha potuto dimostrare i suoi numerosi anni di studio dell'arte occidentale, mostrandoci un nuovo Bosch interpretato secondo i suoi canoni psicologici, non tutto il volume è incentrato sul tema boschiano. L'arte non scompare, di certo, tanto che la tecnica dei trittici di Francis Bacon ricompare nel sesto capitolo, uno dei primi disegnati da Furuya, ma di basso impatto.
Ci sono delle ricorrenze, già viste in Short Cuts e Palepoli, quali il sanguinolento, il blasfemo (particolarmente ironico nei confronti del Cristo, sempre forse per il fatto di aver studiato per una larga fetta della sua vita opere sacre cristiane che lo rappresentano in chiave martirologica; in tal mondo Furuya opera una trasvalutazione ironica), la sessualità adolescenziale. Non a caso la storia che ha avuto più risonanza è "Emi-chan", l'ultima, la più lunga, che rappresenta un po' una summa di tutto ciò.
Emi-chan è molto sperimentale, anche nell'impostazione delle cornici. L'Artista ha giudicato ciò frutto della sua inesperienza e quindi non voluto, ma io ci ho trovato qualcosa di peculiare nella sua frenesia. Una storia violentissima e maniacale, in cui un assassino, archetipo del male nel mondo, cade in una spirale di orrore sadistico nei confronti di una decina di bambine. Nel mentre la spirale omicida si espande le cornici si moltiplicano, si frammentano, iniziano ad espandersi esse stesse dando un senso di vertigine, grazie anche al fatto di essere completamente disegnate a mano. La storia assurge presto ad intento soteriologico e anti-umano, fungendo da rinascita della nostra stirpe e ricollegandosi alla prima, a "Garden", tramite l'idea del fiore come latore del bello e del buono, ma tendenzialmente dileggiato e poi distrutto dal resto del creato.
Non tutte le storie sono belle e affascinanti, ma una buona maggioranza lo è. Persino la quinta, una specie di miscuglio fra il tema alchemico e le richieste in vite umane di Minosse, per quanto più lenta e meno sperimentale, ha un non so che di poetico e di fanciullesco.
Garden è, perciò, un'opera straordinaria e impareggiabile del primo Furuya.