Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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8.0/10
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«Vinland Saga» è la trasposizione animata dei primi volumi dell’opera di Makoto Yukimura, manga tuttora in corso. La serie è andata in onda fra l’estate e l’autunno del 2019. Non ho letto l’opera originale, quindi le mie riflessioni sono limitate a quanto visto nel prodotto animato.

Il teatro della vicenda è l’Europa del Nord, fra l’Islanda e le isole britanniche, gli anni sono quelli di poco successivi al Mille, gli attori principali sono i mercenari vichinghi al soldo di Re Sweyn I di Danimarca. I ventiquattro episodi della serie costituiscono solo il prologo della storia narrata nell’opera di Yukimura, ma - a mio parere - meritano una visione perché, per quanto la vicenda narrata sia “classica”, alcuni accorgimenti adottati nella narrazione riescono a renderla un prodotto inusuale e interessante.

«Vinland Saga» è una storia di avventura, di guerra, di scontri sanguinosi; una di quelle storie in cui anche il paesaggio ha la sua importanza, e questo è uno degli aspetti riusciti del prodotto. Gli sfondi (Bamboo, MAPPA) sono bellissimi e incorniciano sontuosamente la storia: le lande nordiche, aspre e brulle, i boschi inglesi, con il sole al tramonto o la bruma mattutina, sono veramente pregevoli. Purtroppo le parti affidate alla CGI non sono invece dello stesso livello e le scene di navigazione perdono parecchio a causa delle onde che risultano innaturali e disturbano la visione.

Altro elemento riuscito è quello della caratterizzazione dei personaggi: la serie si prende tutto il tempo necessario a farceli conoscere poco a poco.
Due figure mi hanno colpito in modo particolare: quella del protagonista, Thorfinn, che conosciamo come bambino felice in una famiglia piena di calore (lui è rumoroso, pieno di sicumera e, a dirla tutta, alquanto irritante), ma nel giro di pochi episodi la sua condizione si fa drammatica e si trova a dover resistere a condizioni fisiche e psicologiche molto difficili. Il modo in cui Thorfinn (ma lo stesso accade ad altri bambini che compaiono) viene trattato dagli adulti è uno degli spunti interessanti della serie, in questo (come nelle ambientazioni) storicamente accurata. Quella che abbiamo davanti è una storia ambientata in un tempo in cui “l’infanzia”, come concetto, non è ancora stata inventata (bisognerà aspettare l’Ottocento, per questo) e, quindi, ben poca considerazione ricevono dagli adulti, sono oggetto di scherno, è richiesto loro che crescano in fretta e quasi nessuno pensa debbano essere oggetto di una specifica tutela; al limite, con loro si è condiscendenti. Altro aspetto interessante del protagonista è che nel momento in cui si trova in difficoltà, colmo di rabbia, non ha la reazione classica che ci si aspetterebbe in una narrazione di questo tipo, non è il tipico protagonista “sveglio e simpatico, che si impegna moltissimo” (ma dire di più sarebbe spoiler). La seconda figura che spicca è quella di colui che Thorfinn considera suo “nemico”: Askeladd, capo di una di queste bande di mercenari, personaggio che ci viene presentato con il solo soprannome (e quale ne sia l’origine è bello scoprirlo vedendo la serie). Anche Askeladd è trattato in modo particolare: lui non muta nel corso delle vicende narrate, lui è un uomo adulto, che per la vita media del periodo e per il suo mestiere sa di avere più vita dietro che davanti, lui è qualcuno che ha raggiunto lo splendore dell’età; ma la sua figura stupisce lo spettatore per come i suoi diversi aspetti sono raccontati e svelati piano piano. Una figura caleidoscopica, dai forti contrasti, dalla grande intelligenza, di un’adattabilità mirabile.

La visione richiede una certa attenzione, perché molte cose sono suggerite dalle immagini e mai dette, quasi non ci sono i dialoghi interiori e i dialoghi fra personaggi sono particolari. Il contesto è quello di una guerra in cui le alleanze sono mutevoli: gli adulti ne sono consci e, quando parlano, lo fanno sempre avendo presente di “essere in pubblico”, sostanzialmente “recitano una parte”, quasi declamano.

Ottime le musiche: una OST dai toni decisamente epici (Yutaka Yamada), che rende perfettamente i toni della serie di avventura e guerra, nello stile di Hans Zimmer, che ormai è lo standard per storie epiche e di azione, caratterizzata da una profusione nell’uso degli archi. Anche le due adrenaliniche opening, affidate ai Survive said the Prophet e ai Man with a Mission, e le due ending (Aimer, Milet) dai toni malinconici e dolenti, sono molto belle, da ascoltare e riascoltare.

Due le note che stonano un po’: il personaggio di Thorkell, la cui forza va al di là di ogni ragionevolezza, e i momenti più leggeri che non sono ben calibrati con il tono della serie.

7.0/10
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Non nego che avessi delle discrete aspettative quando si diffuse la notizia che “Arte”, manga di Kei Ōkubo, sarebbe stato adattato in un anime nel (poi) disgraziatissimo anno 2020; avevo sentito parlare a grandi linee di quest’opera ed essendo a conoscenza della sua ambientazione italiana, in un periodo affascinante come il Rinascimento poi, nutrivo una discreta curiosità sui contenuti di questo titolo per cui ho colto la palla al balzo quando l’anime è arrivato rapidamente anche nel nostro Paese, con la speranza di trovare una serie che calzasse i miei gusti. A visione conclusa posso dire che queste aspettative sono state soddisfatte a metà: “Arte” è una serie sì discreta e anche buona in alcuni frangenti ma non è riuscita a piacermi come pensavo potesse, per motivi che a questo punto andrò a spiegare con ordine.

Chiaramente è giusto anche contestualizzare un attimo la storia; siamo a Firenze nel XVI secolo, città culla del Rinascimento, il periodo storico post-medievale che si caratterizzò per un’eccezionale fioritura artistica e letteraria derivante anche da uno sviluppo del pensiero più libero e imperniato su una nuova consapevolezza dell’uomo e delle sue possibilità. Arte è una giovane quindicenne, unica figlia di una nobile ma decaduta famiglia fiorentina, e per certi versi è figlia del periodo che sta vivendo: grazie all’appoggio del padre infatti ha sempre potuto seguire la sua passione artistica per il disegno e la pittura nonostante le convenzioni sociali dell’epoca imponessero alle donne ben altri ruoli e ‘aspirazioni’. L’improvvisa morte del padre, però, priva Arte di quel sostegno necessario per vivere senza problemi la sua passione tant’è vero che la madre le impone immediatamente di abbandonare i suoi sogni e di trovare il prima possibile un gentiluomo da sposare. Arte però non ha nessuna voglia né interesse di metter su famiglia e fare la calza per cui abbandona la casa natia e lo stile di vita raffinato che conduceva per seguire la sua vocazione artistica e provare a farsi ingaggiare come apprendista da un maestro di bottega che possa aiutarla a migliorare come pittrice e a farle realizzare il suo sogno nonostante il suo essere donna rappresenti, in teoria, un ostacolo insormontabile.

Ecco, questa che sulla carta sembra una trama interessante e articolata si risolve, in pratica, tutta nel primo episodio evidenziando quello che, secondo me, è uno dei difetti principali che presenta questa serie: la troppa leggerezza con cui risolve le situazioni. Arte riuscirà a seguire il suo sogno chiaramente, non spoilero nulla perché basta davvero guardare il solo primo episodio per saperlo, ma lo fa in una maniera talmente semplice che, non posso negarlo, mi ha lasciato perplesso: è vero che inizialmente viene respinta dalle varie botteghe in quanto donna ma, alla fine, le basta mettere in mostra semplicemente la sua abilità e la sua forza di volontà affinché le venga concessa un’occasione, concetto comprensibilissimo oggi ma difficile da rendere così ‘banale’ nel 1500; per non parlare della totale sparizione di madre e famiglia, teoricamente contrari a questa decisione inusitata ma nei fatti completamente invisibili. Questa superficialità purtroppo non si riscontra solo nell’incipit che muove la storia ma anche in altri elementi come la presentazione e la caratterizzazione di alcuni personaggi o la faciloneria con cui sono trattati lavori che, sia dal punto di vista fisico che quello artistico, sono in realtà estremamente impegnativi. La sensazione che traspare quindi, anche perché probabilmente in fase di adattamento dal manga sono stati adottati tagli e semplificazioni, è che “Arte” debba considerarsi una serie essenziale e narrativamente ingenua nella sua struttura, il che non significa che non possa piacere e finanche appassionare lo spettatore in alcuni momenti, ma rappresenta a mio modo di vedere anche un’occasione persa perché lo spunto iniziale su cui lavorare era e resta molto interessante. Quel che di sicuro non voleva essere, però, è un trattato storico sul periodo in cui è ambientata per cui non mi sento di condividere le critiche che in alcuni casi gli sono state mosse riguardo ad esempio il comportamento dei personaggi che è sembrato molto più calzante all’ambito giapponese che italiano/occidentale, il manga nasce per andare incontro a una certa fetta di pubblico e, non pretendendo di essere appunto una riproduzione fedele dell’epoca, è comprensibile che si sia preso qualche libertà di scrittura.

Libertà che, presumibilmente, si è preso in fase di adattamento anche lo studio Seven Arcs che ha curato la realizzazione di questa serie animata; non posso dirlo con certezza perché, come accennavo all’inizio, non ho letto l’opera originale, ma la velocità con cui vengono risolte alcune situazioni, compreso un finale che è sembrato creato ad hoc per la serie essendo il manga ancora in corso, e il modo abbastanza sciatto in cui vengono introdotti alcuni personaggi, vedi Darcia, mi portano a sviluppare questo sospetto con pochi dubbi ad ostacolarlo. Dal punto di vista squisitamente artistico, ambito che in fondo riveste un’importanza ancora maggiore in questo caso data la storia dell’anime, “Arte” è una serie che fornisce nuovamente sensazioni contrastanti; ho apprezzato ad esempio il character design di Chieko Miyagawa, sicuramente meno originale rispetto al manga ma tutto sommato piacevole da vedere, come anche l’accuratezza usata per realizzare i quadri dipinti dai personaggi, le riproduzioni di opere d’arte realmente esistenti e dettagli come i costumi che, specialmente quelli femminili, parevano estremamente curati e risaltavano molto sullo schermo. Non mi hanno entusiasmato allo stesso modo invece i fondali che, considerando l’ambientazione suggestiva, mi sono sembrati abbastanza piatti e monotematici, incapaci di rendere la bellezza di Firenze (se non in sporadiche vedute del Duomo o di Ponte Vecchio) e ancora meno per certi versi di Venezia, altra grande città dove è in parte ambientata la storia, che era riconoscibile giusto dall’acqua e dalle gondole che, ovviamente, non potevano mancare. Colori sempre molto chiari, a volte pure troppo, e animazioni semplici ma funzionali alla storia arricchiscono questo ‘quadro’, mai termine fu più appropriato immagino, che anche in questo caso ti lascia soddisfatto quel giusto da non bocciare la visione ma mai con quel quid in più che ti porterebbe a esaltarla. Un discorso analogo è riproponibile con la colonna sonora di Gorō Itō che fa il suo lavoro senza infamia e senza lode, mentre un apprezzamento più lusinghiero lo si può riservare al doppiaggio giapponese dove, senza fare exploit che la serie non permette chiaro, ogni voce impiegata, dalla solare e volenterosa Arte (Mikako Komatsu) al burbero ma sincero Leo (Katsuyuki Konshi), passando per l’affascinante Veronica (Sayaka Ōhara) o la timida e risoluta Caterina (M.A.O.), calza senza problemi al personaggio a cui è abbinata. Discrete ma un po’ ‘pigre’ nella loro realizzazione (caratteristica avvicinabile a diversi elementi di quest’anime a ben vedere…) le due sigle, l’opening “Clover” che gode della calda voce di Maaya Sakamoto in una canzone vivace e gradevole ma un po’ banalotta a livello musicale con un video che è una semplice carrellata dei personaggi principali oltre la protagonista, e l’ending, “Hare Moyō” di Kiyono Yasuno, che si mantiene su toni più delicati con una riuscita variante metaforica a livello visuale che vede Arte percorrere una lunga scalinata apparentemente senza fine a rappresentare i suoi sforzi nel provare costantemente a migliorare sé stessa e le sue abilità.

Arrivati in chiusura devo dire che mi risulta difficile consigliare “Arte” a cuor leggero, soprattutto a un pubblico abituato alla visione di serie e film storici, siano essi animati o meno, che potrebbe riscontrare in questo pochi motivi di interesse tutto sommato, mentre al contrario rappresenta una comoda e sicura via d’ingresso a chi vuole esplorare nuovi orizzonti data la sua semplicità ma anche la lunghezza relativamente breve, dodici canonici episodi accessibili tra l’altro a chiunque visto che sono disponibili gratuitamente sul canale youtube della Yamato Animation che l’ha proposto in simulcast col Giappone durante la stagione primaverile 2020; certamente è motivo di interesse per noi italiani, che abbiamo metaforicamente sempre a cuore il caro campanile nonostante quello reale rompa le scatole ogni mattina, vedere come hanno ricreato l’ambientazione italiana dell’epoca considerando anche che questo anime ha ricevuto il supporto ufficiale dell’ambasciata italiana in Giappone. Piccola nota di colore da questo punto di vista, ho apprezzato il tentativo di Yamato di riproporre qualche termine del vernacolo fiorentino nei sottotitoli della versione da loro trasmessa, una scelta che non calzava perfettamente forse con una traduzione letterale ma che si adattava benissimo al contesto in questione, cosa che in alcune e, grazie a Dio, sporadiche produzioni a volte viene purtroppo dimenticata.

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"Kochoki: Wakaki Nobunaga" è un anime di dodici episodi andato in onda da luglio a settembre 2019.

La storia racconta le vicende di Oda Nobunaga, dagli anni dell’adolescenza, passando per eventi significativi come la morte del padre, l’ascesa al potere nel clan e lo scontro con il fratello Nobukatsu, fino ad arrivare ai suoi ventisette anni e all'inizio dell'espansione del suo territorio. Non sono così informata sulla storia giapponese da poter dare un giudizio definitivo, ma dalle ricerche online la storia sembra molto fedele alla realtà, almeno per quanto riguarda le vicende politiche e le battaglie.

Inizierò parlando dei lati positivi.
Prima di tutto Nobunaga e il rapporto con i suoi uomini, in particolare Tsuneoki. Nobunaga è un personaggio davvero affascinante che, come dice lui stesso, è diviso fra la via del guerriero, quella del capo del clan Oda che non può mostrare nessuna debolezza o pietà, e il suo lato più curioso e compassionevole, che vuole proteggere le persone a lui più care e scoprire tutto quello che il mondo ha da offrire, in particolare tutte le novità tecnologiche provenienti dall'Occidente. Il suo essere un leader giusto e carismatico si manifesta nella fedeltà dei suoi uomini, che vedono in Nobunaga colui che, con il suo modo di vedere il mondo fuori dall'ordinario, porterà una nuova realtà.
Molto interessante è anche il rapporto con il fratello Nobukatsu. Quest’ultimo, più legato alle tradizioni e in generale dall'animo meno stravagante rispetto al fratello, non riuscirà mai a raggiungere Nobunaga, che segue deciso la sua strada e serenamente ignora chiunque lo critichi. Nobukatsu appare fino all'ultimo come un pupazzo trascinato dalla marea, lacerato fra il suo continuo piegarsi alle aspettative altrui e l'ammirazione e l'amore per il fratello maggiore.

Passiamo ora ai lati negativi.
Prima di tutto, i nomi dei personaggi sono lunghi, complicati e molto simili fra di loro. Questo sembrerà un dettaglio insignificante, e non nego che questi siano i loro nomi reali, ma ho più volte dovuto vedere le puntate con la pagina Wikipedia aperta per accertarmi di chi fosse il personaggio in questione, se il figlio o il padre, se un nemico o un alleato. Sebbene l’anime metta spesso in sovrimpressione i nomi dei diversi personaggi, personalmente non mi ha aiutato molto, e il dover spesso interrompere la visione per capire di chi stessimo parlando, ha reso la visione meno scorrevole e appassionante.
Passiamo ora alla narrazione. La prima decina di episodi sono concentrati soprattutto su intrighi politici, i rapporti familiari della famiglia Oda e la vita quotidiana di Nobunaga; negli ultimi episodi, invece, le vicende sono raccontate in molto frettoloso, accelerando d’improvviso la narrazione, come se all'ultimo secondo gli sceneggiatori si fossero accorti che mancavano solo due episodi alla fine della serie e avessero dovuto condensare moltissimo in pochi minuti.
Ma probabilmente l’aspetto che meno mi è piaciuto è il modo in cui è stato gestito il personaggio di Kitchu, la moglie di Nobunaga, che aveva potenzialità enormi, ma che volontariamente si limita ad ombra di Nobunaga e resta convinta di non meritarlo, nonostante le continue dichiarazioni d’affetto del marito. In particolare, poi, ciò che succede negli ultimi episodi mi ha fatto veramente cadere le braccia, non sono proprio riuscita a capire le sue motivazioni. Viene descritta come una donna forte ma allo stesso tempo piena di cicatrici e insicurezze, e, invece di approfondire questo suo lato, di mostrare un’evoluzione del personaggio, Kitchu si dimostra incapace di accettare i due lati della sua natura, passando da personaggio complesso a piatto nel giro di una puntata, quando decide di diventare meno invece di aspirare ad essere di più. Personalmente la mia impressione è che gli scrittori non siano stati in grado di gestire il personaggio femminile, che deve essere ridotto, semplificato e messo in una scatola, o quella della moglie o quella del guerriero, senza dare allo spettatore nessuna spiegazione logica.

Dal punto di vista tecnico, le battaglie non vengono mai mostrate nella loro interezza, facendo molto più affidamento sul reparto sonoro che su quello grafico. Il chara mi è piaciuto, così come ho trovato orecchiabile sia l’opening sia l’ending.

In conclusione, è un anime che non mi sento di sconsigliare, ma allo stesso tempo è innegabile che mi abbia decisamente delusa sotto certi aspetti.

Riassumendolo in una frase o meno: "Il personaggio di Nobunaga è curato talmente bene da proiettare un’ombra enorme su tutti gli altri aspetti della serie che, in definitiva, deludono".