Che Kunihiko Ikuhara sia un regista rivoluzionario e fuori dagli schemi convenzionali penso sia chiaro agli occhi di tutti. Artisti come l’autore de La rivoluzione di Utena sono personaggi rari all’interno dell’industria dell’animazione, grazie a una conoscenza del media profonda e frutto di anni di studio, una sensibilità artistica di non poco conto e tanta voglia di raccontare verità ed emozioni. Ikuhara è estremamente legato a tematiche come spiritualità, filosofia ed esseri umani, ed è proprio rifacendosi ad essi che nel 2011 il regista porta sugli schermi del Giappone la sua opera che, insieme alla già citata Utena, lo ha consacrato al grande pubblico: Mawaru Penguindrum.
 
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Key visual della serie

L'anime segna il ritorno alla regia dell’autore dopo ben 12 anni di pausa post Utena, ed è stato trasmesso in Giappone a partire dal 7 luglio 2011, e un’edizione italiana a cura di Dynit è arrivata su Rai 4 a partire dal 20 settembre 2012, per poi essere pubblicato anche in Home Video in DvD e Blu-ray.

Per parlare di Penguindrum e di ciò che racconta va però fatta una doverosa introduzione: ciò che Ikuhara voleva fare, probabilmente, non era solo parlare di essere umani e della potenza dell’amore, ma sbattere violentemente in faccia al mondo giapponese tutte le sue ipocrisie, tutte le menzogne di cui si è coperto e che ha nascosto sotto il tappeto, perché la dolce ferocia con cui è raccontata questa storia non passa inosservata… ed è arrivato il momento, dopo dieci anni, di celebrarla come si deve ancora una volta.

DESTINY! START! STRATEGIA DI SOPRAVVIVENZA!!

 
I tre fratelli Takakura, i due maschi Kanba e Shōma e la loro amata e fragile sorellina Himari, vivono da soli in una bizzarra baracca di legno e lamiera. Un bel giorno vanno a visitare l'acquario e Shōma compra come souvenir a Himari un cappello a forma di pinguino, ma poco dopo lei collassa e muore. All'obitorio però Himari si rianima; il miracolo è compiuto dal cappello, posseduto da un'entità aliena che stringe un patto con i due fratelli: l'entità potrà far continuare la vita di Himari se in cambio i due ragazzi riusciranno a trovare il Penguin Drum, un misterioso e non meglio specificato oggetto. Per aiutarli nella ricerca, Nadine affianca loro un trio di bizzarri pinguini tuttofare, invisibili a chiunque meno che ai tre fratelli.

Come detto in apertura, Penguindrum si basa su un ossimoro, un racconto narrato con dolce ferocia, e molta della sua scrittura poggia sul fare critica e presentare, anche con una certa crudezza, le situazioni dell’opera allo spettatore.
Ergo, se da un lato in Penguindrum abbiamo dolore, dall’altra abbiamo l’amore, due tematiche che se unite svelano il vero perno del racconto di Ikuhara: il destino, questo mostro “ineluttabile” contro cui i protagonisti, i fratelli Takakura, sembrano intraprendere una lotta senza alcuna possibilità di vittoria, nel tentativo di cambiarne il corso e salvare così la vita della loro amata sorella Himari, malata di un male misterioso al quale, durante il primo episodio, sembra soccombere. Tuttavia, proprio durante il momento più disperato, la ragazza si risveglia nei panni di una misteriosa entità che si dichiara “La Principessa dei Cristalli”, spiegando a questi ragazzi “che non otterranno mai nulla dalla vita” che se vogliono salvare Himari dovranno trovare un misterioso oggetto noto come “Penguindrum”. Per Shōma e Kanba, ovviamente, nulla è troppo arduo pur di provare a salvare la loro amata sorella da un destino che sembra volersi accanire su di lei senza alcun valido motivo… o forse no.

 
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Immagini che puoi letteralmente sentire

Ikuhara è molto legato a temi di filosofia e poggia molto della costruzione delle sue opere in essa. Ergo, per poter comprendere Penguindrum e analizzarlo, è innanzitutto necessario seguire le regole base di una qualsiasi filosofia: definire i concetti. Dobbiamo chiederci, quindi, cos’è il destino in quest’opera, cos’è il destino per Kunihiko Ikuhara.
La risposta più banale, e quella anche più "verghiana", sarebbe definire il destino come l’insieme delle condizioni sociali ed economiche in cui una persona viene a nascere. Un po’ come insegnano “I Malavoglia” (che a scanso di equivoci dubito siano stati di ispirazione per Ikuhara) un essere umano, quando nasce, deve restare quanto più possibile al sicuro nel suo nido, ancorato al suo scoglio come un’ostrica, pena l’essere sballottato nell’oceano ed essere travolto dalle intemperie della vita.
Una metafora simile il regista la metta in bocca a Kanba per la prima volta nel primo episodio, nel suo discorso contemplativo sulla vita degli animali, notando come il loro “istinto” sia molto simile al nostro “destino” e lamentando che una vita del genere sia ingiusta e oltremodo punitiva.

Tuttavia, a differenza degli animali, gli esseri umani sembrano effettivamente avere una chance contro il destino: possono ribellarsi, possono provare a cavalcare il mare della vita, a loro rischio e pericolo ovviamente, e se la vita decide di premiarli con una possibilità, il destino può essere effettivamente cambiato e la persona può evitare di finire schiava della sua vita e, in particolare, della società, che secondo le metafore della serie non ha alcun interesse nel curarsi di tanti numeri che servono soltanto a mandare avanti la “grande macchina”.
Ikuhara, dal canto suo, è anche in grado di rappresentare coloro che non hanno ottenuto nulla dalla vita anche graficamente all’interno della serie, nella formula di manichini bianchi che si muovono in branco senza nessuno scopo se non rimanere asserviti a un disegno più grande di loro. Una metafora spaventosamente precisa del meccanismo della società giapponese, che non fa altro che introdurre ingranaggi (esseri umani) sostituibili in quanto identici l’uno all’altro, essendo stati formati sin da bambini a piegare la testa e obbedire al destino. O per dirla alla Ikuhara, "macellati".

La chance di ribaltare il destino e opporsi alla grande macchina è rappresentata nella serie da nient’altro che il tanto anelato frutto del destino: la mela, o per meglio dire il Penguindrum, il quale è banalmente la fortuna di nascere in condizioni agiate.
L’ottenimento della mela è però un’impresa al limite dell’impossibile, e nonostante tutto l’amore che i due ragazzi provano per la loro sorellina la meta sembra sfuggire loro di mano. Questa cosa, in apertura di serie apparentemente casuale, è in realtà ottimamente spiegata da Ikuhara nel corso della storia: in realtà i fratelli Takakura già vivono in tre con una singola mela, quella che originariamente era capitata a Kanba (ricordo che nessuno dei tre condivide con gli altri legami di sangue) e che era stata da lui condivisa con Shōma per salvarlo dalla “macellazione”. Stessa cosa era stata fatta da quest’ultimo per salvare Himari. È questo il modo di vivere che hanno scelto, è questa la loro strategia di sopravvivenza. In questo modo, la vita dei tre è cambiata, e se Kanba per primo ha compiuto una grande rinuncia dividendo la mela, tutti e tre hanno guadagnato qualcosa che, stando a quel che vuole comunicare Ikuhara, è molto più importante di “ottenere qualcosa dalla vita”: l’amore.

 
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Foto di famiglia dei Takakura

È banalmente per puro amore che Kanba prima e Shōma poi dividono la mela, ma non un amore carnale, un amore dettato dal desiderio, quanto semplicemente la più pura e primordiale forma di amore: desiderare il bene del prossimo, per quanto questa persona possa inizialmente esserci del tutto sconosciuta, perché l’amore si costruisce giorno per giorno, passo per passo, ma secondo Ikuhara è quasi naturale che un essere umano intervenga e si sacrifichi, nel caso possa, per aiutarne un altro. Checché ne dicesse infatti un certo filosofo col martello il quale asseriva che l’essere umano fosse una bestia solitaria, siamo fatti per restare insieme, per trovare persone con cui essere felici, e il sacrificio, nella fattispecie quando si sceglie di compiere questo sacrificio, è indubbiamente una delle più alte forme di amore. È per questo motivo che Kanba sceglie di salvare Shōma, rinunciando a una vita agiata, è per lo stesso motivo che quest’ultimo decide di condividere un pezzo della sua metà di mela con Himari, rinunciando a una vita quantomeno modesta, ed è a seguito delle loro scelte che i tre diventano una famiglia. Se ci pensate, questa è anche una bellissima lezione di amore vero e proprio di Ikuhara al mondo intero: l’autore sta letteralmente dicendo che non importa dove nasci, la famiglia è formata dalle persone che ti vogliono bene e tu sei libero di sceglierla a tuo piacimento.

Torniamo però in argomento: se il sacrificio consequenziale di Kanba e Shōma ha permesso a Himari di salvarsi dalla macellazione, allora come si spiega la premessa stessa della serie? Certo, una mela è pensata per un singolo essere umano, figurarsi se è facile viverci in tre, ma la forza dell’amore dovrebbe essere in grado di sopperire a tutto questo stando alla logica di Ikuhara.
Tuttavia, le cose non stanno così, e la risposta è da ricercare nel personaggio stesso di Himari: la ragazza è una persona solare, energica, supportiva e piena di amore per i suoi fratelli che vivono in balia della sua precaria salute, e che farebbero qualsiasi cosa per vederla felice. In modo analogo a quanto si farebbe per una persona che sta realmente male nella vita vera, Ikuhara porta lo spettatore a chiedersi “Cosa mai avrà fatto di male questa ragazza per meritarsi una malattia terminale?”
La risposta è di quanto più banale, scontata e crudele possa esserci: assolutamente nulla. Il motivo per cui Himari sta male è straziante, ed è solo e soltanto perché, come diceva un certo principe di Danimarca, la vita a volte è ingiusta.

Nel dodicesimo episodio assistiamo al racconto, da parte di Shōma, della “favola della pecorella Mary”, nella quale la suddetta pecora, in seguito al deperimento del melo da cui tutti attingevano e si nutrivano, decide di rubare le ceneri dal falò della Dea per poterlo riportare in vita, ben conscia che questo avrebbe scatenato l’ira degli dei che l’avrebbero punita. A Mary tuttavia questo non importa, lei vuole una mela.
La metafora, da qui, è estremamente semplice: Mary non è altri che il padre di Shōma, Kenzan Takakura, che nella serie è il responsabile dell’attentato alla Metropolitana di Tokyo del 1995 (evento realmente accaduto e rielaborato da Ikuhara per funzionare all’interno della trama), e il suo rubare le ceneri per riportare in vita l’albero è il suo tentativo, con l’attentato, di cambiare il suo destino. Tuttavia, nulla va come preventivato, e il destino (la Dea) punisce Mary-Kenzan, ma qui arriva l’ingiustizia, perché il bersaglio della punizione non è Kenzan stesso, ma sua figlia: Himari.
Il fatto che poi, in seguito all’attentato, la vita di Kenzan prenda una piega sempre peggiore fino a darsi alla macchia, così come il dialogo tra Sanetoshi, Shōma e Kanba servono a sottolineare ulteriormente quanto questa punizione sia fuori da una logica: il capofamiglia dei Takakura ha già pagato per le sue scelleratezze, e lo farà anche con la sua stessa vita, ma poiché il destino dipende dalle condizioni in cui veniamo al mondo (insomma, dalla nostra famiglia) l’ingiusta punizione si ripercuote sull’incolpevole Himari, l'unica vittima della furia folle e incontrollabile del destino, la quale pur di non soccombere alla ruota è costretta, assieme ai suoi fratelli, a mettere in atto una sempre più elaborata strategia di sopravvivenza.

 
La favola della pecorella Mary

Ma perché Kenzan fa tutto questo? Voglio dire, portare così tanto dolore a terzi che nulla hanno a che vedere con la sua vita può davvero portare soddisfazione?
Ovviamente no, e mai Ikuhara prova a far passare questo concetto durante la serie, ma riflettiamo un momento su chi sia Kenzan Takakura: il leader della Penguinforce altri non è che una persona arrabbiata con la vita, che educa suo figlio adottivo Kanba a ideali insani e che porteranno lo stesso nel corso della serie a cercare di emulare le azioni compiute dal padre nel 1995. Una persone che, quindi, vive ai margini della società, o come direbbe la Principessa dei Cristalli qualcuno che non ha ottenuto nulla dalla vita, e che desidera disperatamente ottenerlo.

Pertanto, se il mondo non desidera dare nulla a Kenzan, allora il mondo deve cambiare, e il capofamiglia dei Takakura decide di farlo con l’attentato alla Metropolitana in cui Momoka perde la vita.
L’errore di Kenzan è proprio questo: cercare di forzare un cambiamento del destino senza curarsi di ciò che accadrà alle altre persone, senza preoccuparsi del dolore che loro proveranno. È per questo che la sua vita in seguito degenera e che sua figlia subisce le conseguenze della sue azioni, perché sacrificare il benessere di terzi per il proprio è quanto di più egoistico si possa fare, e questa è un’azione che il destino deve punire.

Va detto che l’uomo è stato sobillato da Sanetoshi a compiere l’attentato, e questo comporta una breve rilettura del destino: è possibile, da esterni, interferire col destino di terzi, e questo pare in alcuni casi non impattare eccessivamente la propria vita (nel caso di Sanetoshi tranne nell’epilogo della serie). Dico in alcuni casi perché specularmente a quest’ultimo abbiamo Momoka, la sorella di Ringo, la cui estrema irratio da essere umano che ama la vita e gli altri arriva al suo non plus ultra nel sacrificarsi per salvare degli sconosciuti dall’attentato in cui perderà la vita.

 
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Kenzan Takakura con altri membri della Penguinforce

Momoka è, probabilmente, la sublimazione di Ikuhara del concetto di amore: un essere umano così disinteressato delle conseguenze che le sue azioni avranno su sé stessa, l’importante è che porteranno alla felicità di qualcun altro. È proprio per questo che Ringo desidera farla rivivere tra le sue azioni anche a costo di abnegare sé stessa: Momoka non voleva sopravvivere, Momoka voleva vivere, e la vita per lei era dare agli altri quanto più amore possibile. È per questo motivo che possiamo considerare la più grande delle sorelle Oginome l’esatto opposto di Sanetoshi, il quale prova davvero poco interesse per ciò che la grande macchina riserva a coloro che fanno soltanto parte del disegno.
Paradossalmente, è proprio comprendendo davvero chi fosse e cosa pensasse della vita sua sorella che Ringo smetterà di imitarla pedissequamente in tutto e per tutto e inizierà a vivere appieno, liberandosi poco alla volta del fantasma del suo destino e arrivando nel finale a tentare un sacrificio, sventato poi da Shouma, non per emulazione di Momoka, ma perché è davvero convinta che sia la cosa giusta da fare, perché l’essere umano noto come Ringo Oginome "vuole davvero condividere il frutto del destino".

Anche lei arriva quindi a comprende che il sacrificio di sé stessi per terzi può davvero cambiare il destino, e secondo Ikuhara può anche salvare le persone. È anzi l’unico modo corretto di poterlo fare, e a dimostrazione di questo arriva proprio il finale della serie, in cui Shōma e Kanba si sacrificano per salvare la loro amata sorella dal suo ferale destino e, in minor parte, anche Ringo dal suo intento di sacrificio. Tuttavia, questo è un sacrificio diverso, in quanto non si tratta più di dividere la mela ma rinunciare completamente ad essa: in pratica, per salvare la loro amata sorella dalla morte, saranno loro a dover morire. Shouma e Kanba, nel loro atto di amore supremo, capiscono che se davvero vogliono salvare Himari l’unica soluzione è dirsi addio, dando a lei la totalità della mela ma, paradossalmente, ottenendone una totalmente loro in cambio.

Il male e il dolore che il loro ormai defunto padre ha causato a delle persone innocenti dovevano essere controbilanciati da un’azione altrettanto potente compiuta proprio da loro, e solo così la feroce potenza del destino ha smesso di tormentare l’innocente Himari.
Shōma e Kanba sono sì scomparsi, sono diventati invisibili agli occhi di Himari, ma il loro estremo sacrificio è stato ricompensato dal destino facendoli rinascere come nuovi esseri umani detentori di una mela completa, e per quanto nessuno dei fratelli Takakura sia più la persona che era a inizio serie, ora possono finalmente iniziare a vivere sereni la loro nuova vita, non più vittime di condizioni pre-esistenti e di peccati di cui sono incolpevoli.
Questa, ancora una volta, è una grande metafora di Ikuhara dell’amore, e che dimostra quanto lo spirito umanista dell’autore che permea l’opera cerchi di spingere verso il compiere del bene per gli altri in nome di un altro grande Dio in cui Ikuhara vuole credere: la speranza.
 
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"Addio... ti amo"

Il destino, è vero, può essere ingiusto e crudele, può portare gioia e dolore a seconda di quello che ci riserva, ma se semplicemente si desiderasse una vita migliore e si accettasse quello che accade? Senza però cercare necessariamente di spezzare la ruota danneggiando gli altri, ma senza avere neanche la forza di sacrificarsi per gli altri. Se si fosse semplicemente gli spettatori di un destino che ci avesse fatti nascere non come Kanba, Shōma o Ringo… ma come Himari?

La più giovane dei Takakura è un personaggio fin troppo escluso dall’equazione degli eventi della serie: è la più grande vittima della furia del destino, si è vista negare ogni possibilità di essere felice e vive consapevole che una malattia di cui non sa nulla potrebbe ucciderla da un momento all’altro. Com’è possibile che un personaggio del genere non venga fagocitato dalla macellazione? È impossibile che si tratti solo della mela.

La risposta è, ovviamente, la speranza: Himari non ha mai smesso di credere nei suoi fratelli, ma al contempo non ha mai desiderato che loro due si sacrificassero per lei. Se il mondo desiderava la sua morte lo avrebbe accettato, ma potete giurarci che volesse assolutamente vivere. Era conscia di poter fare poco per aiutare Kanba e Shōma, ma era pronta a cedere il suo pezzo di mela pur di aiutarli a uscire dalla ruota. Himari è stata, per tutta la durata della serie, spettatrice della storia, ed è proprio per le persone come lei che Ikuhara ha creato Mawaru Penguindrum.

Quelle persone che hanno bisogno di un raggio di luce nel buio perché non hanno letteralmente nessuna possibilità di fare nulla per aiutarsi, che hanno attorno tante persone che vorrebbero farlo ma non ci riescono, che vorrebbero sì una vita migliore, ma che a meno di essere letteralmente costrette non accetterebbero mai un sacrificio altrui per il loro benessere. Delle persone che, semplicemente, sono buone, o come direbbe Ikuhara coloro in grado di amare.
 
Ed è proprio grazie alla sua positività che la storia può risolversi nel migliore e unico modo possibile, è anche e soprattutto grazie a lei che Shōma, Kanba e la stessa Ringo riescono a ottenere qualcosa dalla vita. Separati, sì, ma le loro anime saranno sempre legate dall’essere stati una famiglia e l’aver condiviso del tempo insieme in questo mondo, e poco importa se nessuno di loro ha più memoria di quei momenti. Il destino, in fondo, oltre ad essere crudele sa anche regalare infinite sorprese, e chissà che un domani i protagonisti della nostra storia, che tanto hanno sofferto per colpe che non hanno, possano finalmente ritrovarsi tutti e quattro a condividere dei momenti spensierati guardando a un futuro che gli sorride.

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Frame ritraente "Himari" con la "divisa" delle Triple H
 
Mawaru Penguindrum è pertanto una serie tematicamente memorabile che si appresta a vivere il secondo decennio della sua vita, e che ancora oggi è in grado di insegnare a molte persone. È il grido di denuncia di Kunihiko Ikuhara ad una società giapponese nella quale non si riconosce minimamente, che aberra e detesta, in quanto è divenuta un mondo pronto a fagocitare il prossimo in nome del progresso.

Questo non è il mondo in cui lui vuole vedere crescere le future generazioni, e se davvero il destino sono le condizioni in cui le persone nascono e crescono, Ikuhara ha creato Mawaru Penguindrum per darci un grande monito: abbiamo il compito di lasciare alle future generazioni un mondo migliore di quello in cui siamo nati, e dare loro la possibilità di essere chi scelgono e credono di poter diventare.

Mawaru Penguindrum è un’opera che non può far altro che toccare il cuore dello spettatore, e come mostrato nel suo commovente finale, la speranza che anche nelle più grandi difficoltà l'amore possa vincere sul dolore.

Sempre.