Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Una cicatrice a forma di croce.
Chiunque la veda, riconosce all'istante lo spettro del passato sigillato nell'uomo che la porta.
«Una volta il dottor Oguni mi disse: "Sembrerebbe una superstizione, ma la ferita di spada dietro cui si nasconde un pensiero intenso non scomparirà mai, finché non si dissolve quel pensiero"» Megumi Takani - Kenshin, Volume 18
Il segno di una cicatrice che non scompare dà il via a una storia drammatica, per certi versi anche crudele, eppure intensa e commovente nella sua rappresentazione: la raccolta di OVA "Kenshin samurai vagabondo: Memorie del passato" ("るろうに剣心―明治剣客浪漫譚―追憶編", "Rurōni Kenshin - Meiji Kenkaku Romantan - Tsuioku-hen") festeggia vent'anni proprio nel 2019, essendo stata inizialmente pubblicata in Giappone in quattro atti nel 1999.
Si tratta della prima delle due serie di OVA dedicati al celebre manga di Nobuhiro Watsuki, giunta anche in Italia per il circuito home video con Dynit dopo la trasmissione sulla rete MTV nello slot Anime Night tra il 18 ottobre e l'8 novembre 2005, e disponibile anche per VVVVID.

Una curiosità legata ai quattro OAV è che nel 2003 vi è stata una successiva riformulazione degli stessi, ripubblicati come film della durata di due ore, e comprensivi di alcune sequenze animate realizzate appositamente per il mercato statunitense, dove è stata rinominata "Samurai X: Trust & Betrayal", dal titolo "Samurai X" con cui è divenuto famoso "Rurouni Kenshin - Kenshin samurai vagabondo" oltreoceano. In Italia la trasmissione è stata inoltre inizialmente oggetto di censure, data la crudezza del taglio dell'opera.
La storia è estremamente fedele al manga, riproducendone ogni scena nel dettaglio, seppur avvalendosi di lievissime variazioni qua e là, che nulla tolgono al flusso degli eventi.

Se la storia del samurai vagabondo che vaga per l'intero Giappone dopo il giuramento di non uccidere mai più prende infatti vita nell'epoca Meiji, i quattro atti delle memorie del passato narrano di vicende prequel, che hanno dato origine alla leggenda di Battōsai Himura alla fine dello Shogunato Tokugawa e all'avvento del periodo "illuminato" Meiji, e che nel manga vengono affrontate tra i volumi 19 e 21: si tratta di un lungo flashback che funge da miccia d'innesco all'arco finale e conclusivo dell'opera.
Per questi quattro OVA, invece, le memorie del passato vengono estrapolate dal contesto di origine e diventano una storia autonoma e indipendente, del tutto in grado di reggersi in piedi da sé.
L'abilissimo sicario Battōsai Himura, leggendaria figura parzialmente basata sul personaggio storico dell'hitokiri Kawakami Gensai, dove la parola 'hitokiri' sta letteralmente per 'tagliatore di uomini', intraprenderà nei decenni a venire un percorso di redenzione viaggiando con una 'sakabatou', ovvero con una spada a lama invertita, sotto il nuovo nome di Kenshin: ciò non avverrà senza una ragione, che si scopre proprio attraverso i sanguinosi fatti raccontati negli OVA "Memorie del passato".
Shinta Himura è solo un bambino, ma del mondo ha già visto le facce più crudeli; l'incontro con il maestro di spada Hiko Seijuro consente al ragazzino di apprendere l'arte della scuola Mitsurugi Hiten. Il fermento nell'animo del giovane lo spinge però a lasciare il maestro e unirsi agli Ishin Shishi, gruppo di attivisti politici che agiscono per tramite di sicari, per l'avvento della nuova era. E poi, l'incontro con la bella e taciturna Tomoe segnerà per sempre il cuore e la spada di Himura.

I quattro OVA portano la firma distintiva di Kazuhiro Furuhashi per lo Studio Deen; si tratta di un regista che stiamo vedendo al lavoro nel "Dororo" tratto dal manga di Tezuka e che ha di recente curato anche la trasposizione in due lungometraggi di "Haikarasan ga Tooru - Una Ragazza alla moda". Tutte opere, queste, che hanno in comune uno sfondo storico, per quanto non identico, ben tratteggiato e di grande fascino.
E se la storia di base di Kenshin samurai vagabondo molto prende a prestito dalla commedia, alternando egregiamente serrati momenti d'azione a episodi di stampo slice-of-life, non così è per gli OVA del passato che rievocano invece un racconto decisamente più oscuro e truce.

Lo intuiamo d'altronde immediatamente attraverso il character design di Masahide Yanagisawa, che quasi nulla riprende del tratto di Watsuki e tanto meno della trasposizione animata di "Rurouni Kenshin" messa in onda dal 1996 al 1999: nello "Tsuioku-hen" è stato invece adottato uno stile grafico molto più serio e realistico, attraverso animazioni di incredibile bellezza che fanno risaltare ancor più i movimenti dei personaggi e delle spade.
Queste ultime, in particolare, vengono rappresentate con una fedeltà impressionante tanto nella resa ottica quanto in quella sonora, con tutto il peso dell'arma bianca che pare farsi quasi reale, e un clangore che rimane a fare eco a lungo nella testa.
Anche i colori sono bui e opachi, e i costanti toni scuri paiono rifuggire la luce, il tutto decisamente in tema con il dramma che si consuma atto dopo atto.
Eppure, a dispetto dell'apparente distacco rispetto allo stile dell'opera cartacea di Watsuki, ogni scelta stilistica ponderata in questi OVA è riflesso perfetto delle crude vicende narrate, ed è superba e massima esaltazione di una storia che già in partenza sapeva far rabbrividire e commuovere pagina dopo pagina.

Il ritmo della narrazione è ben calibrato: i momenti di silenzio che inframmezzano le drammatiche ma spettacolari scene d'azione colpiscono con efficacia, e ci consentono di soffermarci sulle espressioni grevi dei personaggi, sulla tristezza o sull'aridità che ne pervade i cuori.
Altrettanto fanno i dialoghi, concisi ma sempre pregnanti, e gioca un ruolo determinante anche la colonna sonora di Taku Iwasaki, che cattura la malinconica essenza dell'opera con incredibile finezza: il brano 'The War of the Last Wolves' è poi tra le melodie più stupefacenti mai create per una trasposizione animata di questo tipo, una musica capace di suscitare nello spettatore il brivido a correre sotto la pelle, l'aspettativa dell'imminente tumulto a crescere inarrestabile e inesorabile dentro di noi.

Un ottimo contributo alla resa di "Kenshin samurai vagabondo: Memorie del passato" è fornito infine dal cast di doppiaggio sia giapponese che italiano, conferendogli un timbro ancor più solenne.
Mayo Suzukaze conserva il ruolo su Battosai Himura che per l'edizione italiana è stato affidato a Patrizio Prata: una voce non soltanto molto diversa dall'originale giapponese ma anche da quella del doppiatore scelto per il film animato di "Rurouni Kenshin", unica altra opera del franchise edita in Italia. E ciononostante, la bravura di Prata si percepisce in ogni singolo respiro del personaggio, in ogni tono freddo, in ogni espressione lacerata, restituendo a Himura la personalità, profondità e fascino serbati dalla figura originale del manga.
E' invero pregevole il lavoro del cast tutto: la brava Debora Magnaghi dà voce a Tomoe Yukishiro, in originale doppiata da Junko Iwao, Gianluca Iacono è un iconico Kogoro Katsura (Tomokazu Seki), uno dei tre fautori della Restaurazione Meiji, Claudio Moneta fornisce ulteriore spessore a Iizuka, Massimo di Benedetto interpreta Enishi (Nozomu Sasaki) e Patrizia Scianca è Soji Okita, mentre Natale Ciravolo e Alberto Sette si fanno ricordare nei ruoli, rispettivamente, di Hiko (Shuuichi Ikeda) e Hajime Saito (Hirotaka Suzuoki).

Accostarsi a quest'opera può risultare difficile dunque non per i dubbi sulla la felicità della trasposizione, eccellente sotto ogni punto di vista, bensì soltanto perché la storia di una cicatrice a forma di croce nasconde drammi decisamente distanti dalla leggerezza, poco piacevoli alla visione soprattutto attraverso un'animazione che nulla cerca di nascondere o sviare.
Rimane impressa indelebile nella retina la pioggia rossa di sangue, che cade copiosa dal cielo dell'antica capitale Kyoto in un viottolo buio, nella notte più oscura della vita di Kenshin.
La morte è davanti agli occhi, gli omicidi perpetrati con fredda lucidità non si contano. E' il Bakumatsu, la fine dell'isolazionismo nipponico, ovvero anche un periodo in cui l'assassinio alla luce del giorno, i tradimenti e i complotti scandivano il trascorrere dei giorni e dei mesi.
Accanto a tanta violenza, però, v'è anche una ragione di vita, il significato che dona un sentimento nato proprio là dove non avrebbe dovuto attecchire.
Qualcosa di fragile, anch'esso del colore del sangue, intriso del profumo di pruno bianco; e proprio il calore e la sottile emozione che ci pervadono comunque, anche di fronte all'inesorabile compiersi della tragedia, ci conferma che non importa se è questione di un solo, cruciale attimo. Ad agire mossi da ciò che ci fa battere il cuore e sopire l'animo, ne vale comunque la pena e, in qualche modo, è proprio così che si costruirà un nuovo domani.
"Kenshin samurai vagabondo: Memorie del passato" è un viaggio nel tempo doloroso ma evocativo, poetico e altamente introspettivo, che fa breccia negli occhi, nel cuore e nell'animo. Tutto in una volta.

9.0/10
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Mamma mia cosa non è questa serie.
"Golden Kamuy" ci catapulta nel Giappone di inizio novecento, precisamente in Hokkaido e dopo la guerra russo-giapponese, e ci fa conoscere Saichi Sugimoto, un reduce di tale guerra che si guadagna da vivere facendo il cercatore di oro. Per caso, il giovane viene a sapere di una grossissima partita d'oro nascosta dagli Ainu per uno scopo ultimo sconosciuto, e incontra una ragazzina appartenente a tale minoranza: Asirpa. I due, una volta conosciutisi, decideranno di intraprendere insieme la ricerca per tale tesoro: Sugimoto per mantenere una promessa fatta ad un suo commilitone morto in guerra mentre Asirpa per scoprire di più sulla morte di suo padre.

Ho conosciuto questa serie per puro caso fra dei commenti di Youtube, e ho deciso di gettarmici dentro dopo averne sentito parlare bene e... diamine, questo è un vero e proprio gioiello che mi ha colpito moltissimo.
Da subito ci viene mostrata una storia nuda e cruda, dai contenuti molto forti, dai personaggi affascinanti e da colpi di scena che mi hanno preso completamente alla sprovvista. Nel corso della storia, tantissime fazioni arriveranno a contendersi la ricerca di questo tesoro, e ognuna di queste ha molteplici motivi per appropriarsi di tale oro, chi per motivi nobili e chi per pura e semplice avidità. Fra gli ottimi personaggi posso annoverare Tanigaki o Hijikata, ma senza dubbio però i migliori rimangono Sugimoto e Asirpa, i due protagonisti. Sugimoto è un ex soldato tormentato dal suo passato in guerra, ma con ancora un grandissimo cuore; mentre Asirpa, adorabile oltre ogni limite, è usata per fornirci una finestra sul popolo degli Ainu, le loro usanze, la loro cultura e la loro cucina. Si vede benissimo che l'autore ha fatto parecchi compiti a casa prima di mettersi al lavoro per scrivere quest'opera e valorizzare una cultura che, ai giorni nostri, è quasi completamente scomparsa.
La storia, sebbene sia ricchissima di colpi di scena, di momenti da pelle d'oca e di parecchio divertenti, ha un piccolo difetto per quanto riguarda il ritmo un po' altalenante: a volte è molto godibile, altre volte si ''ammoscia'' in maniera eccessiva, diventando di una lentezza disarmante, evidente soprattutto all'inizio della terza serie. Inoltre, c'è da ricordare che alcune sottotrame che occupano alcuni episodi vengono completamente dimenticate.
Nonostante questi piccoli difetti, è un lato che promuovo con ottimi voti. Mamma mia se è stato appassionante.

Il lato tecnico poi è qualcosa di superbo: i disegni dei personaggi sono fantastici mentre le ambientazioni sono qualcosa che, personalmente, hanno finito per stregarmi completamente. Da amante dei paesaggi innevati ho trovato il tutto così affascinante che spesso bloccavo la visione solo per guardare i paesaggi.
L'unica nota un po' stonata è la CGI inconsistente: se per alcune scene è credibile e si amalgama bene con il resto, per altre, soprattutto quelle con gli orsi, è così ovvia da essere ''imbarazzatemente esilarante''.
Le musiche poi sono ugualmente fantastiche, azzeccatissime e perfette per accompagnare quello che è un viaggio all'interno di una cultura tribale dei ghiacci. Opening e ending carine.

Sto aspettando come un pazzo l'arrivo della quarta serie per continuare questa fantastica opera piena di colpi di scena, personaggi simpatici, misteri e momenti da far accapponare la pelle. La consiglio a chiunque voglia un'opera che offra un'esplorazione di una cultura perlopiù sconosciuta a noi occidentali condita da una storia avvincente, agrodolce e anche profonda.

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“Qui finisce il nostro romanzo, speriamo che vi sia piaciuto. Promettetemi che non dimenticherete mai la vostra piccola Anne”. Così si concludeva l’anime e, da quando lo vidi per la prima volta a sei anni, non sono mai riuscito a dimenticarlo. Averlo rivisto recentemente ha confermato la validità dei miei ricordi.

Ma andiamo con ordine. Questa è la storia di Anne, o dovrei dire Benjo Aikarasanne, figlia di un ufficiale dell’esercito nipponico nel Giappone del primo Dopoguerra. Per un matrimonio combinato, dovrà sposarsi con l’aitante e di bella famiglia, nonché giovane tenente, Shinobu Iuin. Ma, dato che lei non vuole saperne e che lui piace a Tamaki, la sua migliore amica, Anne avrà ottime ragioni per far mandare a monte il fidanzamento. Del resto i due colombi non sono certo normali: Anne non ha né petto né bellezza, ama gli alcolici, fare a botte e detesta i lavori femminili. Shinobu, invece, sembra guardare ogni problema con leggerezza e disinteresse, e non è apprezzato da molti, specialmente, nell’esercito, per la sua natura di sangue misto. La madre, infatti, è tedesca, e gli ha lasciato in eredità la bionda capigliatura. In più abbiamo i severi nonni di Shinobu, molto all’antica, e la severa governante, ancora peggiore. Per non parlare dell’unico uomo che Anne sembra apprezzare, ovvero Ranmaru, ”virilissimo”, si fa per dire, attore del teatro Kabuki che, adorando Anne e i lavori domestici, userà i suoi poteri per diventare una cameriera di casa Iuin e stare vicino ad Anne. In più abbiamo la succitata Tamaki, migliore amica di Anne, e il simpaticissimo Uscigoro, feroce bandito che, sconfitto della protagonista, le giurerà eterna fedeltà e si guadagnerà il pane guidando un risciò. Un bel guazzabuglio, che si complicherà ulteriormente quando Shinobu partirà per la guerra in Manciuria contro i Russi e... non dico altro.

Pietra miliare dello shojo, colpisce per la sua originalità: abbiamo una storia che non ha nulla a che vedere con l’orfanella sola al mondo. Al contrario abbiamo una ragazza adulta e fortemente indipendente, per nulla attraente ma fortissimamente ancorata al Giappone della sua epoca, tanto che la serie finisce con essere un prezioso e raffinato affresco del primo Dopoguerra, con tanto di note storiche. Inoltre abbiamo una commistione di generi, con forti dosi di umorismo, ma addirittura con la guerra stessa, descritta bene nei suoi pericoli e difficoltà, nel dolore per la perdita di compagni, amici e fidanzati, senza particolari truci, ma senza nemmeno alcuna retorica. Un cartone animato quindi telenovela, documentario, umoristico, di guerra e non solo al tempo stesso, che affronta molti generi tutti insieme e con efficienza.

Regia e grafica anni ‘70 scontano, oltre ai limiti di budget, anche il desiderio d’essere fedeli al manga, con risultati non sempre molto validi, ma si tratta di un peccato veniale. Ma il dazio più grande è stato pagato agli indici di ascolto, con la trasposizione dell’anime bloccata ex abrupto e un finale rapido causa eccessivo calo degli ascolti. Personalmente, comunque, non vedo il finale, pur nella sua rapidità, come una brutta cosa, e ne resto soddisfatto, anche se so che nel manga tutto continuava ancora per anni. Molto bello l’adattamento italiano, che ha mantenuto i nomi originali, salvo quello di Anne, ma, del resto, con Banjo non si sarebbe fatta confusione con il “Daitarn 3”? E poi quell’Aikarasanne era davvero convincente. Ottimo poi, il lavoro dei doppiatori: mai avrei pensato che Shinobu e Hinnen avessero la stessa voce.

Non posso non ringraziare quest’anime per avermi insegnato, a sei anni, molte cose, per esempio come siano devastanti le sbronze e le loro conseguenze, o cosa siano le geishe o il fatto che anche il Giappone abbia partecipato alla Grande Guerra, cosa che in Occidente tendiamo a rimuovere...

Un vero gioiello che non dimenticherò mai. Voto: 9