Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Può una dipendente del McDonald servire panini ai tavoli, preparare sacchetti di patatine fritte e nel contempo rivelarsi un personaggio del folklore giapponese a metà fra fiaba e spiritualità?

Il grande Makoto Shinkai ripropone ancora una volta il leitmotiv che lo ha reso celebre negli ultimi quindici anni, un “marchio di fabbrica” inconfondibile: la coppia di adolescenti prossimi all’infatuazione nel bel mezzo di una situazione paradossale, quasi critica, spolverata da una discreta dose di misticismo e un pizzico crescente di sovrannaturale ad arricchire il tutto. Se in “Your Name.” Shinkai ha probabilmente toccato il suo punto più alto (sia visivamente sia come concept generale), il tentare di ripetere l’impresa poteva rivelarsi prova ben più ardua, che, difatti, in parte sembrerebbe fallita.
“Weathering with You” è senza dubbio un prodotto eccellente, quantomeno dal versante artistico. Le animazioni dei personaggi, lo studio minuzioso del chara design e la cura nei fondali in perenne movimento sono di una bellezza senza pari: avvolgenti, movimentati, quasi in estasi, un ritmo d’azione alternato a pause studiate, un lavoro colorato in modo strabiliante e animato ancora meglio. Ogni scena viene proposta come un piccolo ricamo, uno spaccato urbano della caotica Tokyo intrisa di acqueo misticismo, tanto da sembrare estremamente realistico.

Tutto è connesso al cielo.
Nel più classico dei suoi metodi narrativi, l’autore intreccia i cieli di Tokyo e le profondità metereologiche di strati e strati nubiformi all’animo umano, in una proposizione meteopatica e magicamente emotiva, tanto da ricordarci di come il bel tempo spesso coincida con il buonumore, e un cielo grigio e plumbeo possa suggerire un animo turbato e una testa carica di grigiore; paragoni spesso semplici da intendere ma non uguali per tutti.
Ecco così che la metropoli giapponese, sotto l’insistente acqua piovana comincia a splendere come un madido specchio nel corso di un’estate atipica che si trasformerà in qualcosa di quasi apocalittico, surreale e sovrannaturale al tempo stesso. Le rare volte che il cielo si rischiara e i raggi solari inondano la meravigliosa e malinconica skyline urbana, ecco che un’aura dorata cala come una schiera di angeli a benedire la baia di Tokyo, i tetti allagati, le stradine piene di pozzanghere riflettenti, le scale grondanti, gli alberi gocciolanti. Ogni sequenza accompagnata da una colonna sonora, come si poteva prevedere, eccezionale, che accompagna per mano lo spettatore verso diversi picchi emotivi, spettacolari all’occhio, un connubio visivo-musicale che non lascia scontenti.

Possiamo tranquillamente definire “Weathering with You” un ottimo esercizio artistico che mischia leggende arcaiche, urbane e mitologiche in una amalgama dal sapore frizzante e silenzioso, quasi stregonesco, di rituali ormai smarriti fra le pieghe di antiche memorie e di implicite risoluzioni che portano ad un finale di trama purtroppo scontato e a tratti prevedibile, soprattutto per quanto riguarda il versante sentimentale: l’epilogo è di stampo romantico, ma quasi insipido, già visto, e, a visione compiuta, ripercorrendo i tratti salienti, s’evince come il film abbia ben pochi contenuti di profondità e sia anche meno coinvolgente dei precedenti lavori di Shinkai.
Le peripezie di Hodaka, studente in fuga dalla famiglia, e di Hina, giovane orfana di madre e avvezza alla vita della metropoli, porteranno entrambi a scoprire un destino connesso oltre le normali leggi della fisica conosciuta, un incantesimo come una metafora d’unione di anime attraverso un antico rituale fra cielo e terra: una storia d’amore a metà fra il contemporaneo e le leggende del passato, anche se purtroppo, tirando le somme, non basteranno una giovanissima e dolcissima Sunshine girl in veste moderna e l’ennesima love story adolescenziale a portare questo lungometraggio nel gotha dell’animazione mondiale. Un finale per metà discreto e per metà incredibilmente scontato, già visto, quasi fotocopiato, un anticlimax che lascia la pancia piena a metà.
Per Shinkai è probabilmente giunto il momento di rinnovarsi completamente, imboccando nuove strade, sperimentando qualcosa di mai affrontato, e di lasciarsi alle spalle il modus operandi della coppietta adolescente alle prese col sovrannaturale una volta per tutte.

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Sarebbe troppo facile liquidare “La malinconia di Haruhi Suzumiya” come un mediocre prodotto commerciale. Questo perché, nel farlo, si incorrerebbe nel grave errore di sottovalutare un’opera che, nel bene e nel male, è un vero cult della moderna animazione giapponese, capace di influenzare innumerevoli lavori successivi.
Prodotta dalla Kyoto Animation e basata sulla fortunata serie di light novel di Nagaru Tanigawa, la serie esce nel 2006, accanto a nomi di punta ancora oggi citati; su tutti basti richiamare alla memoria “Welcome to the NHK”, lavoro di ben altra caratura e spessore contenutistico. Questo non perché le disavventure della Brigata SOS non diano spunti di riflessione, bensì per via di una vistosa caratteristica che è anche cifra stilistica della serie, di cui ci si accorge sempre di più, man mano che proseguono gli episodi: “La malinconia di Haruhi Suzumiya” racconta il nulla e lo fa in una maniera talmente sfacciata e autoconsapevole, da trasformarla nel punto di forza attorno a cui costruire il suo dirompente successo.

Facendosi interprete principale della nuova generazione di otaku, quella immediatamente successiva all’altra cresciuta a pane ed "Evangelion", la serie ha furbamente saputo cavalcare l’onda della deriva culturale post-moderna, in cui tutt'oggi ci troviamo: il risultato è un’accozzaglia di parodie sterili, di vuote citazioni ad altri prodotti di successo e un mix di generi come la fantascienza, lo slice of life e la commedia scolastica, con l’unico scopo di ampliare il bacino di pubblico della serie stessa. Tutto è affrontato con superficialità, dai sentimenti dei personaggi agli argomenti pseudo-filosofici di cui è infarcita ogni puntata, con il chiaro intento di concentrare l’attenzione dello spettatore laddove si vuole che guardi: la sessualizzazione delle protagoniste femminili, tutte accattivanti e rappresentative di uno specifico stereotipo caratteriale, tanto caro al mondo otaku; abbiamo così la ragazza tsundere, quella dandere, la ragazza moe.
A tal proposito, è facile rintracciare l’altro peccato originale di cui la serie può fregiarsi: in “La malinconia di Haruhi Suzumiya” assistiamo alla definitiva legittimazione del concetto di moe, ulteriore strumento - già sdoganato ai tempi di “Neon Genesis Evangelion” - atto a catalizzare l’attenzione del pubblico, distogliendolo dalla completa vacuità contenutistica di certi prodotti d’intrattenimento. Occhi grandi, aspetto grazioso, purezza e innocenza sono le caratteristiche principali delle ragazze moe, abbondantemente impiegate in anime posteriori sempre a fini commerciali, con esiti ancor più disastrosi.
Non è affatto un caso, dunque, che il successo della serie sia proseguito fino ad oggi nelle forme più disparate e che attorno alla sua protagonista sia nato un vero e proprio culto, l’haruhismo: l'opera ha saputo incarnare i cliché tipici della narrativa anime, ammantandoli di un’aura mistica e parascientifica con argomenti sofisticati, rivelatisi poi specchietti per le allodole. Un po’ come aveva fatto lo stesso Anno in “Neon Genesis Evangelion” attraverso tutti i riferimenti esoterici e religiosi, ma con l’abissale differenza che, al di sotto di essi, una sostanza c’era eccome.

Insomma, è chiaro come tutto appaia pensato e costruito in modo da coinvolgere lo spettatore il più possibile, e la KyoAni ci mette indubbiamente del suo in questo: sfondi curatissimi, puliti e realistici fanno il paio con le animazioni dei personaggi che si attestano su alti livelli, rendendo “La malinconia di Haruhi Suzumiya” una delle produzioni tecniche più solide per gli standard dell’epoca.
All’autore dell’opera originale va invece il merito di aver creato l’elemento capace di farla distinguere dal marasma di epigoni: il punto di vista sulle vicende narrate è infatti quello dell’unico personaggio normale della storia, ossia il disilluso Kyon. Accanto a figure tanto stereotipate quanto stravaganti - la viaggiatrice nel tempo, il cyborg del futuro, l’esper misterioso - Kyon rappresenta il contatto con la realtà e incarna la condizione tipica del giovane moderno apatico e imbelle, incapace di prendere una decisione per dare una svolta alla sua vita, spesa nell’inattività e - non a caso - nella malinconia.
Malinconia che affonda le radici nella noia, di cui è vittima anche la stessa Haruhi, sentimento emblematico di una contemporaneità che è incapace di risvegliare le nostre coscienze, nonostante le migliaia di stimoli a cui ci sottopone. Tutto il discorso, sicuramente affascinante e ricco di spunti, viene però sacrificato nel prosieguo della serie sull’altare della trovata commerciale a tutti i costi, soffocato da situazioni scialbe e gag a ripetizione che non hanno il coraggio di valorizzare gli stimoli, ben presto accantonati. Non a caso, il prodotto migliore relativo al franchise resta il film conclusivo, in cui a farla da padrone sono gli argomenti poc’anzi citati.

Le osservazioni qui fatte si concentrano per forza sulla prima stagione dell’anime ed evito di dilungarmi troppo sulla seconda: semplicemente oscena, sia per l’inutilità delle puntate in sé, sia per la celeberrima trovata dell’“Endless Eight”, talmente assurda da risultare ancora oggi un escamotage commerciale incomprensibile.
Per concludere, dunque, è evidente come attraverso “La malinconia di Haruhi Suzumiya” sia possibile inquadrare un certo clima storico e culturale, motivo per cui la serie è da considerarsi un tassello importante per la storia dell’animazione, ma dall’altro lato è altrettanto evidente come essa sia stata il punto di partenza di un tracollo i cui strascichi si protraggono ancora oggi.

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Nell’immaginario comune gli angeli sono personaggi aggraziati e leggiadri, assennati e sapienti, mentre i diavoli sono brutti, ombrosi, malvagi e disonesti. Le lotte tra bene e male si pensano sempre furiose e cruente; battaglie portate avanti dagli angeli per ripristinare l’ordine delle cose voluto da Dio, sconvolto dai malevoli piani del Diavolo.
Ma se vi dicessi che le protagoniste di Eniale & Dewiela, rispettivamente angelo e demone, sono due amiche/nemiche amanti della moda, dello shopping e del make up? Quali saranno le epiche motivazioni che daranno vita alle loro cruente e/o maldestre battaglie?

“Questa è la tua fine. Oggi sarà il tuo ultimo giorno di vita, Dewiela”

L’altisonante dichiarazione di guerra pronunciata dalla graziosa e angelica Eniale è la prima frase che leggiamo aprendo il primo volume e ci trascina immediatamente nel vivo di una battaglia tra le forze del bene e quelle del male, schierate l’una di fronte all'altra per rivendicare la proprietà di un’angelica matita per gli occhi. Nel caos totale che la lotta genera, si percepisce il gemito di un neonato abbandonato su una panchina di un parco pubblico distrutto nel corso dell’epico conflitto. Mettendo momentaneamente da parte i loro dissapori le due entità soprannaturali si alleano per ritrovare la madre del bambino. I metodi adottati per la ricerca di questo sventurato genitore sono tutto fuorché ortodossi: volantini con un ritratto del neonato che sembra più che altro un manifesto per un sabba, annunci radiofonici capaci di insinuarsi persino nelle linee militari e infine un cane gigante. Tutto questo genera un paradossale coinvolgimento di esperti esorcisti e forze militari che al limite dell’assurdo cercheranno di ripristinare l’ordine delle cose. Chissà se alla fine la madre si farà viva o fuggirà terrorizzata.

La lettura si alterna tra capitoli completamente disarmanti, senza continuità e totalmente paradossali, come "Parigi, lo shopping e l’esorcista", che si sviluppa tra le vie della moda di Parigi, o quello dedicato alla terme, o ancora il capitolo che le vede coinvolte nella ricerca di un orecchino perduto nelle profondità oceaniche e tra capitoli ricchi di significato e riflessioni.
Molti protagonisti delle storie sono gli esseri umani, che spinti da desideri egoistici invocano un intervento superiore, poco importa se esso sia diabolico o divino l’importante è che sia utile per realizzare i proprio fini.

“Ho provato a pregare in vari modi. Così siete apparse entrambe.
Se la sua malattia guarirà non m’importa se siete angeli o demoni”

È il caso della ragazzina che le invoca per poter salvare la mamma gravemente malata, oppure del prete disposto alla dannazione della sua anima per poter raggiungere all’inferno la donna che ha amato o ancora alla regina del teatro, che vende le anime dei suoi figuranti alla diavoletta per tornare alla ribalta sul palcoscenico. Le soluzioni adottate da Eni e Dewi per rispondere alle esigenze umane sono stravaganti e sopra le righe e l’angelo, favorito da una sorta di politically correct, riesce sempre a salvare più anime di quelle che la diavoletta, nonostante i maggiori sforzi, riesce a dannare per l’eternità. Gli scontri per garantire salvezza o dannazione all’anima contesa creeranno, poi, interazioni con il mondo degli uomini causando catastrofi quasi apocalittiche che richiameranno l’attenzione di media, preti ed esorcisti. Ma che ruolo ha la religione in tutto questo?

“Il tuo è un altro dio” “Non era il dio che conosco io!”

La religione cristiana è chiaramente il cardine attorno al quale ruotano le storie e i personaggi, ma nel secondo volume ci viene proposto un interessante “crossover” tra le religioni. Una miko (sacerdotesse che, fino alla fine del XVII secolo, fungevano da tramite con gli dei e con i morti) avrà molto lavoro da fare per scacciare, non i demoni o gli spiriti, ma proprio le nostre ragazze intente a rubare le anime protette dai molteplici dei giapponesi che gironzolano per la città in attesa di trovare eterno riposo.
Benché tutto si basi sul cristianesimo, Eni e Dewi, non faranno altro che peccare di ira, lussuria, gola e accidia, divertendo oltremodo il lettore. In tal senso quindi, si può di certo dire che è un manga completamente dissacrante e il focus si sposta sul lato oscuro che gli umani nascondono nel cuore, non importa se essi siano atei o credenti, adulti o bambini.

In realtà il confine tra bene e male e tra giusto e sbagliato è talmente flebile che si farà fatica a stare dalla parte di Eniale. Infatti l’angioletto è capriccioso, si dedica poco al suo lavoro e combina guai, getta scompiglio nella tranquilla vita di Dewiela dedita più che mai a realizzare, con i suoi metodi demoniaci, i desideri degli essere umani.
Nonostante si presenti come storia leggera e divertente, risulta anche un'opportunità mancata: il manga si sviluppa su una trama orizzontale, poche sono le storie che si collegano tra loro e benché il filo conduttore è senza dubbio lo stravagante modo di vedere il mondo delle due ragazze, manca del tutto un background o una lettura più introspettiva.
Questo lascia un senso di superficialità in chi legge perché, certamente, sarebbe stato gradito conoscere un po’ del passato delle protagoniste e magari sapere come una è diventata diavolo e l’altra angelo. Spinta dal vento del successo di "Atelier of The Witch Hat", Planet manga ci porta anche la prima fatica della sensei, un'opera in tre volumetti.

L’edizione in formato 13,3x18 cm, brossurata, all’ormai consueto prezzo di 7,00 euro, o cofanetto al prezzo di 21,00 euro in unica soluzione, con nessuna immagine a colori, non rende gloria ai disegni meravigliosi che caratterizzano l’opera. Le tavole sono talmente tanto piene di dettagli che in questo formato standard l’occhio tende a non percepire. Forse sarebbe stata più indicata una un’edizione con tavole di maggiori dimensioni che dessero maggior risalto ai disegni, a discapito del prezzo finale.
La sovraccoperta è estremamente colorata mentre la copertina assolutamente anonima.
Dalla fantastica matita della mangaka Kamone Shirama, già nota in Italia per il premiato manga "Atelier of The Witch Hat", fuoriesce un racconto geniale e sorprendentemente divertente, dove le battaglie per benedire o condannare alla dannazione eterna le anime sono combattute a suon di rossetti, fard e abiti all’ultima moda.
Il manga è una piccola chicca nella quale la geniale ironia della mangaka trova una forte espressione e spiazza il lettore con delle battute esilaranti. Lo strambo duetto consolidato e indissolubile, funziona a meraviglia (anche se Dewiela potrebbe rubare la scena a Eniale senza tante cerimonie), e le due ragazze se non fosse che sono agli antipodi, sarebbero due comuni amiche del cuore. Ma poi Eniale è davvero un angelo? A voi trovare la risposta.