Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

8.5/10
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Il primo aggettivo che mi è venuto in mente, vedendo solo le prime scene di questa serie, è stato "colorato". Un aggettivo che mi è rimasto in testa per la maggior parte delle puntate, anzi, amplificato in alcuni casi, portandomi a pensare che la serie che stavo vedendo era davvero multicolore, e per svariati motivi.

"Spacy Dandy" è una serie anime di ventisei episodi, tratta dall'omonimo manga, ed è una serie oltremodo scoppiettante!

Il protagonista è Dandy, un tipo belloccio e all'apparenza leggiadro, che nell'aspetto fa un po' il verso ad Elvis Presley. Con la sua navicella spaziale, accompagnato dai suoi fedeli amici, QT e Meow, va a caccia di alieni rari con lo scopo di registrarli all'apposito ufficio di competenza, e di guadagnarci sopra qualcosa. Iniziano così le divertenti avventure, nello spazio sconfinato, di "Space Dandy".

La trama, sostanzialmente, è tutta qui. Non c'è molto altro da dire riguardo l'evoluzione di questa storia, perché in realtà non c'è. O meglio, è chiaro fin da subito che ogni episodio è una storia a sé stante (anzi, un universo a sé!) e solo alla fine ci sarà una sorta di spiegazione che legherà tutto.

I personaggi, quelli costanti, sono pochi e sono sempre quelli, ma per ogni singolo episodio affronteremo trame, temi, musiche e grafiche (nonché qualche nuovo incontro) sempre diversi. Ed è questa la vera bellezza della suddetta serie, che mai annoia. Vi basti pensare che il pensiero sovente che mi è passato per la testa è stato: "... Ah... Con questo episodio si son superati!". Ma è un pensiero che ho fatto per parecchi episodi, quindi non è difficile intuire che il susseguirsi di ogni puntata è una vera e propria escalation di novità, originalità, divertimento e riflessione.
Sì, avete capito bene, questa serie, oltre che divertire, fa anche pensare. Per mezzo di citazioni, o certe parodie e prese in giro a personaggi reali o alcuni comportamenti sociali, attira l'attenzione su certi temi e offre momenti di riflessione e di critica. Faccio solo alcuni esempi di cosa potete trovare in questo mega calderone "spaziale": citazioni al film "Grease", al libro "Flatlandia", alla Teoria delle Stringhe ecc.

A che genere appartenga questa serie, infatti, personalmente mi è proprio difficile dirlo. È una serie sperimentale, innanzitutto, ma è anche avventurosa, romantica, drammatica, misteriosa, di fantascienza e basata su parodie. Non le manca proprio niente!
Come dicevo, i temi trattati sono innumerevoli, come la natura, la guerra, la morte, l'amore, Dio. Alcuni, quindi, sono temi anche molto delicati, e tutti quanti vengono affrontati tra il serio e il faceto, dandoti una sensazione un po' surreale, come se ad un certo punto lo spettatore realizzasse questo pensiero: "Mi sto divertendo, rido pure a crepapelle, però... In fondo, non ci sarebbe molto da ridere...". Un elogio quindi alla mente acuta degli autori che hanno saputo confezionare un'opera intensa, offrendocela come se fosse una caramella incartata nel modo più bello e colorato.

Per lo stesso motivo mi è pure difficile parlare del comparto tecnico, poiché non rimane mai fedele a sé stesso. Grafica e musica cambiano, e questi cambiamenti vanno di pari passo alla trama dell'episodio in questione. Perciò vedremo una grafica dai colori scintillanti e coloratissimi, per passare a colori cupi e privi di calore, o a tonalità più pastello. Ma anche lo stile non è mai lo stesso. Incontreremo puntate con una grafica dal tratto minimale e spigoloso, altre in cui sarà più tondeggiante e pieno. Lo stesso dicasi per il comparto sonoro. Facile e suadente in alcuni casi, maestoso e coinvolgente in altri. L'opening è l'unico punto fermo e rimane la stessa per ventisei episodi, talmente orecchiabile e spumeggiante che non puoi fare a meno di ascoltarla ad ogni nuova puntata. L'ending invece a volte cambia, e, quando cambia, lo fa sempre in base all'episodio appena concluso. Direi che certe sigle finali sono state davvero delle 'genialate'!

Dandy è un personaggio poliedrico, multicolor, pluridimensionale, così come lo è tutta serie e, ad essere sinceri, credo che mi mancano pure le parole per riuscire a descrivere il tutto a dovere.
Perciò non vi resta che guardare ogni singolo episodio per capire da voi stessi la natura di quest'opera, che, ovviamente, consiglio caldamente a tutti!

9.0/10
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È il lontano 1975, quando la fumettista giapponese Moto Hagio, all’epoca appena ventiseienne, pubblica un manga shoujo a volume unico, intitolato “11-nin Iru!”. Opera che, l’anno successivo, le permette di vincere il Shogakukan Manga Award, ancora oggi uno dei premi più importanti del Giappone. Undici anni dopo (guarda un po’ la casualità) la pubblicazione del volume, Jun'ichi Higashi lavora alla sua trasposizione animata, che evolve in un film della durata di novanta minuti.

Nella mia mente, sono due i fattori che hanno influenzato Moto Hagio nell’ideazione di quest’opera: il contesto sociale e culturale di quegli anni e i primi voli spaziali compiuti a partire dal 1961. Innanzitutto, sono anni, questi, ancora di grande chiusura e grettezza mentale, in cui si crede fermamente nel binarismo di genere e che ognuno, uomo e donna, abbia il proprio posto nel mondo: i primi al comando e le seconde al servizio. La società è, insomma, fortemente gerarchizzata, e pensare di poter abbattere questa gerarchia è mera utopia. In secondo luogo, i viaggi nello spazio accrescono enormemente la curiosità nell’uomo di sapere cosa c’è nella volta spaziale e se esistono altre forme di vita senzienti. Curiosità che, unita a una fervida immaginazione, spinge numerosi autori a creare la propria utopia spaziale. Questi due elementi, così combinati, permisero a Moto Hagio di creare la sua opera di finzione, in cui ogni binarismo, compreso quello di genere, è abolito, e gli uomini, già da tanti anni, non sono più le uniche forme di vita senzienti dell’universo.

A undici anni di distanza, Jun'ichi Higashi deve aver trovato questi temi ancora molto attuali per il tempo, motivo per il quale decise di crearne una trasposizione animata, oggetto, in questa sede, del nostro interesse. La storia è ambientata nello spazio, in un futuro indecifrabilmente lontano. Nuovi pianeti sono stati scoperti e, con essi, altri esseri viventi. Tra questi pianeti c’è un’interconnessione senza precedenti. Per ogni cittadino dell’universo, la più grande ambizione è quella di entrare nell’Accademia Spaziale, superare le tre prove a cui si viene sottoposti e ottenere così un posto di rilievo nell’universo del domani. Dalle prime battute del film, apprendiamo che i partecipanti all’ultima spietata prova del test d’ingresso sono in settecento, divisi tutti in gruppi da dieci. Ogni gruppo deve trascorrere cinquantatré giorni su un’astronave, con l’unico obiettivo di sopravvivere. Quando, però, il nostro gruppo arriva sull’astronave, si scopre la presenza di un undicesimo, incomodo membro. A un primo momento di panico generale, segue l’ordine e la scelta da parte degli undici di tener conto di ogni movimento sospetto sull’astronave, cercando di scovare il colpevole e, nel frattempo, di sopravvivere e trascorrere indenni i prossimi cinquantatré giorni.

La storia parte come “Undici piccoli indiani” di Agatha Christie, il che offre all’autrice la possibilità di creare uno schema dominato, almeno inizialmente, dalla suspense. Il dubbio è instillato in ognuno degli undici membri che, assolutamente, non si fidano l’uno dell’altro, per questo passano i giorni successivi nel tentativo di scoprire chi è l’intruso. L’ambientazione nello spazio e le prove estreme a cui vengono sottoposti i membri dell’equipaggio spaziale, invece, anticipano di qualche anno grandi capolavori del cinema moderno come “Armageddon” e “Interstellar”, il tutto, ovviamente, con le dovute proporzioni.

In questo clima di sospetto reciproco, sono due i membri dell’eterogeneo equipaggio a distinguersi, Tada e Frol.
Tada è un terrestre proveniente da un piccolo villaggio, dotato di un intuito straordinario, a cui gli altri membri dell’astronave, inizialmente, si affidano per smascherare il colpevole e che, poi, desta in loro un certo sospetto. Trovo stupendo il modo in cui l’autrice, nel corso della storia, fa riaffiorare il passato, a tratti oscuro, del ragazzo. Un passato che sembra indissolubilmente legato all’astronave su cui si trovano gli undici membri.
Frol, invece, è un essere umano, non inquadrabile nel binarismo di genere uomo-donna. Nel pianeta da cui proviene si nasce ermafroditi, esseri conosciuti anche come Menir. I primogeniti sono destinati a trasformarsi in uomini, in una società in cui vige la poligamia e il sesso maschile è ancora quello predominante. I secondogeniti, invece, dopo qualche anno, sono costretti a trasformarsi in una donna, a meno che non si arruolino tra i membri dell’Accademia Spaziale. Quest’ultimo sembra essere il destino capitato in sorte a Frol, un destino contro cui, però, ha deciso di ribellarsi. Se riuscirà o meno nel suo intento, starà a voi scoprirlo, ma la questione interessante qui è un’altra. Nei retrogradi anni ’70, un’autrice parla della questione di genere, in modo del tutto atipico e visionario. Un Menir può scegliere che cosa diventare da grande e tutto ciò senza nessun tipo di complicazione. La scelta è, almeno in parte, libera e nessuno può contestarla. Da quel lontano 1975 ad oggi, è intercorso quasi mezzo secolo e solamente negli ultimi anni la questione di genere sembra aver raggiunto quel traguardo che una visionaria come Moto Hagio aveva concepito cinquant’anni prima.

Unendo insieme questi due elementi, di tradizione e innovazione, e aggiungendo un onesto, ma non indimenticabile comparto musicale, esce fuori “Siamo in 11!”. Un’opera che, in tutta onestà, risulta scontata in alcuni passaggi, compreso il finale, ma che, visivamente parlando, è invecchiata benissimo. Insomma, se vi piacciono i thriller fantascientifici e non disprezzate le storie d’amore atipiche, questo è il film che fa per voi.

6.0/10
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Trama

Siamo nell’anno 2075 e l’azione prende le mosse dall’arrivo di Ai Tanabe presso la Technora Corporation. È stata assegnata alla Sezione Detriti, che nella società ha la nomea dell’Ufficio Sinistri di fantozziana memoria. La sezione è stata battezzata dispregiativamente “mezza sezione”, per il suo personale esiguo, la sua preparazione ritenuta scarsa, la sua importanza sentita marginale rispetto al gigante che galleggia nello spazio e che ospita uffici più prestigiosi. La mansione dell’Ufficio Detriti è quella di raccogliere i detriti che s’affollano nello spazio, per prevenire collisioni potenzialmente mortali tra le navicelle che viaggiano nello spazio tra la Terra e la Luna colonizzata e i rimasugli di satelliti o navicelle o di quant’altro che vaga senza meta, pericolosamente.
Se all’inizio non c’è sintonia tra Ai e quella sezione scalcagnata, soprattutto col suo senpai, Hachirota Hoshino, che dimostrerà d’aver l’immaturità di un ragazzino (ma questa è un’altra storia), la ragazza poi capirà l’importanza di quell’originale umanità che ha scelto di lavorare in un ufficio la cui nomea è decisamente bassa.
La trama procede, deviando, appesantendosi, incapace di capire che elemento (politico, amoroso, tecnologico) valorizzare in un guazzabuglio di situazioni che, se orchestrate meglio, ne avrebbero fatto almeno un mezzo capolavoro.

Il 17 porta sfortuna

I primi episodi sono autoconclusivi e non aggiungono nulla, se non un approfondimento dei personaggi con buone vicende che fanno entrare nell’atmosfera spaziale dell’anime. Abbiamo begli scorci della città sulla Luna, un episodio su una bara nello spazio, riflessioni sulla guerra mentre si vede la Terra intera dallo spazio. Dall’episodio 17 in poi comincia una trama che procede fino all’ultimo episodio, però la sua stessa natura è assai controversa. Innanzitutto il suo personaggio principale rivela un carattere così diverso, da un episodio all’altro, da risultare impossibile l’empatia con il suo nuovo percorso. Non ci sono approfondimenti psicologici degni di nota, se non i dialogucci tra il nostro protagonista e il suo alter ego che ama le superfici riflettenti o gli stati d’incoscienza del protagonista stesso.

Dall’episodio 17 assistiamo alla nascita di Mr. Hyde; l’ambizione ha la meglio sul nostro eroe che diventa duro, cinico, spietato, freddo, capace di frasi mostruose per le quali non ci sarebbe perdono, ma chissà come mai i suoi amici incassano bene. Decide di isolarsi, darsi anima e corpo al suo sogno che è un’ambizione bruciante, e intanto parla col suo alter ego in discussioni abbastanza insipide. Questo cambio improvviso di personalità, i cui fattori scatenanti lo sono proprio poco (e alcuni improvvisi), lo rende odiabile e insopportabile. Gli episodi che lo vedono lottare per raggiungere il suo obbiettivo sono intollerabili e i dialoghi con l’ombra non scatenano pathos.

Se prima dell’episodio di demarcazione l’anime pareva equilibrato, capace cioè di spiegare cose complesse in modo ordinato, poi è tutto un guazzabuglio di trame che si strangolano a vicenda, come troppi viticci su un palo. Abbiamo la parte relativa alla navicella spaziale, quella sul nostro protagonista tipo Mr. Hyde, quella su Tanabe che ancora lavora alla Sezione Detriti e che malgrado tutto aspetta il nostro solitario velenoso, quella su Dolph, che si trova a dover salvare, con la sua correttezza, capra e cavoli, quella dei terroristi (con un massacrato Akim, che poteva diventare un personaggione, e invece...) e poi sì, c’è la parentesi di Gigalt, il cui personaggio passa troppo inosservato, vista la sua importanza nella trama. La fase discendente della sua vita passa troppo discretamente e in sordina.

Un pasticcio indigesto

Il finale ha voluto amalgamare tante trame sciolte, risultando insipido, con la sua incapacità di creare pathos, intrecciare situazioni credibili (e non di comodo, come Ai e Clair sulla Luna, occasione per parlare del sempiterno Amore etc.). L’attacco stesso dei terroristi, le cui motivazioni paiono nobili, ma vengono trattati in modo superficiale nel loro agire e nel continuare a ripetere idee come slogan, non lascia il segno e non ha senso rispetto alla conclusione della vicenda.

Alla fine abbiamo una troppo facile risoluzione su ogni fronte, che, unita a flashback fastidiosi e banali, pesanti e pedanti, e uno scorrere delle vicende incongruo (tra un episodio e l’altro passano giorni come mesi, in modo male accompagnato), porta a quel grido di esasperazione finale di chi l’ha guardato per finirlo, sperando in qualcosa di buono, alla fine, e non avendolo.

E allora si può criticare Hachi, che in quello stato prende la moto, sopravvive a un incidente che sarebbe risultato da ambulanza, per incontrare una persona che si è fatta miglia e miglia, vista la strada spersa, in sedia a rotelle. E poi se la fanno camminando, come se nulla fosse. Assurdo.
Abbiamo poi un’accoglienza calorosa e non meritata e un ennesimo balzo temporale che potevano tenersi ma che hanno ben pensato d’inserire in una botta di romanticismo post-romanticismo, risultato di una dichiarazione fatta in maniera assurda e surreale. Ma se c’è l’amore... scappate, prima.

La carrellata dei personaggi (poco motivati)

I personaggi sono, potenzialmente, molto buoni. Se non si cerca una profondità spirituale, anche quelli trattati con più superficialità (come il capo della Sezione Detriti o il suo vice), non sono male, danno colore all’opera. La grafica, poi, non li fa belli per forza, come nei caso dei bishonen o degli harem reverse, e conferisce ad ognuno di loro caratteristiche di “bruttezza” che li rendono unici, ad esempio i baffetti di Hakim, il naso di Hachi, il capo e le sue parrucche. O la spumeggiante Fee e la sua dipendenza dalla nicotina (e suo è un episodio memorabile di astinenza!).

I dolori si sentono quando i personaggi principali vengono o fossilizzati alla loro natura amorosa tout court, come Ai, o quando, rigidi come paiono, cambiano all’improvviso senza che nulla di eclatante faccia presagire il cambiamento avvenuto. Scavare nei fatti aiuta, ma la transizione psicologica è pessima. Exploit fuori luogo avvengono quando un’anima non propensa allo scontro imbraccia pure una pistola per sparare ai terroristi, uscendone incolume. Il troppo stroppia.

Sentimenti come l’amore non riescono a passare in vicende esse stesse potenzialmente romantiche, i fidanzamenti sono citati ma non vissuti, né è chiaro quando cominciano. E se l’amore non passa, non passa nemmeno l’amore per la giustizia, che trasforma in macchiette da slogan i nostri “cattivi”, facendoli svaporare di valore ad ogni apparizione.

Le beghe aziendali e di egemonia personale ci sono, è un merito dell’anime, ma vengono assorbite pure loro in malo modo da questa trama che sì, aveva tutte le carte in regola per farne un’opera memorabile e che ha fallito nel mescolare gli ingredienti.

L’unico fatto positivo è che i personaggi non mancano e vanno da quelli terrestri, i famigliari di Hachi, ai lunari, fino ai capi che reggono la Technora.

Un personaggio sofferto è Gigalt, la cui parabola è vitale per l’anime, ma la cui apparizione e la cui sparizione non sono in grado di dargli quello spessore umano che meritava. Ci hanno provato a gonfiare il suo valore in modo lacrimevole, alla fine, ma già allora non sapevo se ridere o piangere io, a vedere quel meccanismo narrativo trito e ritrito in azione, distruggere la credibilità finale di Gigalt con una classica conversazione.

Opening, ending

L’opening è molto orecchiabile, con una sequenza di fatti dell’epoca spaziale che dimostrano che questo anime aveva un’ottima premessa.
L’ending orecchiabile, ma non ha senso mostrare un piccolo Hachi che corre a piedi prima con una navicella in mano, poi in bici e infine in moto: seppur come protagonista principale, l’ending dedicatagli non è coerente con la trama.