Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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La stagione invernale del 2023 non credo verrà ricordata a lungo per la qualità delle serie che ha offerto, anzi, probabilmente resterà nella memoria collettiva più per i problemi avuti da diverse produzioni costrette varie volte a interrompere la trasmissione di una serie (quasi sempre mascherati dietro un comodo ‘CoVid’) che per altro, soprattutto se la produzione di anime in Giappone continuerà con tutte le storture e le difficoltà che presenta tuttora. Eppure, anche dalle nebbie di un inverno buio e tutto sommato non molto freddo, si è presentato quello che io ho considerato, avendo letto il manga da cui è tratto anni prima e avendo accantonato da tempo la possibilità di vederne una trasposizione animata, un piccolo regalo inatteso e insperato, ma decisamente molto gradito.

Il regalo in questione è “Tomo-chan wa Onnanoko!” (lett. “Tomo è una ragazza!”), commedia romantica in tredici episodi che ha per protagonista Tomo Aizawa, ragazza energica e robusta che in epoca pre-politicamente corretto si sarebbe definito il classico maschiaccio, in quanto poco incline ad attuare atteggiamenti e seguire passatempi ‘femminili’ stereotipati; sarebbe una questione di lana caprina, dato che lei vive felicemente la sua realtà, se non fosse che questa natura energica, sportiva e competitiva rende difficoltosa la sua vita romantica, visto che il ragazzo di cui è innamorata, l’amico d’infanzia Junichiro Kubota, finisce per non ricambiarla, tanto che non sembra considerarla neanche una ragazza, essendo cresciuti insieme con l’idea, avuta fino alle scuole medie almeno, che Tomo fosse addirittura un maschio. Da questo incipit prenderanno vita gli sforzi di Tomo per ribadire ed esaltare la sua femminilità nella speranza che il buon Junichiro, detto Jun, cominci a vederla finalmente non solo come una semplice amica ma come una potenziale partner con cui instaurare una relazione.

Una premessa abbastanza semplice quindi: due ragazzi palesemente innamorati, lei già convinta e dichiarata, lui sulla buona strada per fare altrettanto ma bisognoso di una piccola spintarella per rendersi conto dei suoi veri sentimenti, una storia essenziale ma comunque interessante che fa da palcoscenico ai vari personaggi della serie, che, con i loro pregi e difetti, arricchiscono la rappresentazione di una vicenda romantica il giusto, ma anche molto divertente. Merito quindi ai coprotagonisti e comprimari di quest’anime, tra cui spiccano chiaramente le due migliori amiche di Tomo, quella di lunga data Misuzu Gundo e la conoscenza recente Carol Olston; cito loro due non solo perché hanno molto spazio, ma perché con le loro caratteristiche peculiari, dura e cinica la prima, tenera e svampita la seconda, finiscono spesso per rubare la scena alla coppia protagonista, diventando loro stesse una “coppia” alternativa senza nessun connotato romantico ma dal grandissimo potenziale comico. Un pregio della serie poi è che nessuno di questi personaggi è tagliato con l’accetta: per quanto tutti presentino personalità forti e peculiarità caratteriali evidenti, tutti hanno ugualmente lati nascosti, dubbi e timori tipici della loro età, che influenzano sia l’amicizia con Tomo e il rapporto che sta provando a costruire con Jun sia la loro stessa vita romantica, che pure trova spazio quando l’attenzione si sposta dalla vicenda che coinvolge la coppia di protagonisti ‘ufficiali’. Il quadro d’insieme che ci restituisce tutto questo è sicuramente una serie dalla componente romantica banale e ampiamente leggibile (ma, cosa importante, anche completa, elemento rarissimo in serie simili di una sola stagione), per quanto allo stesso tempo intrigante da seguire, ma dalla componente comica vivace e ben riuscita, che è probabilmente il punto di forza dell’anime insieme alle personalità dei suoi personaggi. E, attenzione, ci tengo a ribadire, senza fare eventuali spoiler per chi volesse seguire la serie dopo aver letto questa recensione, senza scadere in una narrazione stereotipata, per cui una ragazza è considerabile tale, o peggio ancora ‘degna di essere tale’, solo quando si veste, si presenta e si comporta in un certo modo: il messaggio di fondo, non proprio rivoluzionario, diciamo, ma essenzialmente giusto, è esattamente l’opposto, ma questo preferisco lasciarlo ovviamente scoprire a chi deciderà di guardare l’anime nella sua interezza.

Anime che dal punto di vista tecnico non si può dire sia un lavoro di particolare bellezza, questo è affermabile senza ipocrisia; prodotto dallo studio Lay-duce e adattato dall’omonimo manga di Fumita Yanagida, “Tomo-chan wa Onnanoko!” è un anime dalla struttura semplice e, per certi versi, fin troppo ricalcata alla natura episodica e frammentata che presenta il manga, uno yonkoma (fumetto a quattro vignette) a pagina unica che per sua natura ben si presta, di solito, a strisce umoristiche estemporanee che non vogliono comporre una storia univoca. Soprattutto all’inizio, quando bisogna anche conoscere meglio i personaggi, ovviamente, si ha la sensazione di seguire una serie di scene comiche improvvisate mancanti di un raccordo che le unisca e faccia godere meglio il racconto, e per quanto sia una sensazione che col tempo e l’abitudine tende naturalmente a sparire, non posso negare che resti l’impressione di un adattamento che si sia limitato al “compitino”, piuttosto che sfruttare magari le potenzialità dell’animazione per offrire una versione di quest’opera che si discosti nettamente dal manga e dai suoi limiti naturali, un po’ come è capitato recentemente a un altro manga yonkoma come “Bocchi the Rock!”, meravigliosamente trasposto in una serie animata molto diversa dal fumetto originale.
Dal punto di vista grafico siamo in una buona media da produzione stagionale, le animazioni semplici ma efficaci tengono sempre botta, pur senza meravigliare mai, i colori saturi restituiscono un’immagine chiara e pulita per quanto abbastanza dozzinale, mentre il character design dei personaggi non incontra particolarmente il mio gusto, non in quanto brutto, sia chiaro, ma perché, per quanto sia riciclato dal manga originale, chiaramente, l’ho trovato troppo omologato al panorama odierno dell’animazione giapponese moderna, preferendo di gran lunga i tratti morbidi e un po’ grezzi che presentava il manga. A riprova di una produzione che, ripeto, è buona ma nella media, c’è anche la colonna sonora, che fa il suo lavoro di accompagnamento senza restare mai particolarmente impressa, mentre un’attenzione maggiore è stata dedicata, come capita spesso, al doppiaggio giapponese, che rappresenta chiaramente la marcia in più di un prodotto altrimenti legato a una pacifica normalità. La voce di Tomo ad esempio è di Sua Esplosività Rie Takahashi, che, dopo aver dato voce a tanti personaggi moe e minuti come Megumin di “Konosuba” o Takagi-san di “Karakai Jozu no Takagi-san”, dimostra qui ancora una volta in più il suo talento con un personaggio opposto dalla voce forte e imponente, ma allo stesso tempo fragile quando la situazione lo richiede; le amiche Misuzu e Carol sono interpretate, rispettivamente, dalla glaciale Rina Hidaka e dalla polivalente Sally Amaki, che, piccola curiosità, essendo nata in America da genitori giapponesi e fluente nell’inglese, doppia lo stesso personaggio anche nella versione americana della serie; il buon Jun infine ha la voce di Kaito Ishikawa, che gli dà la giusta aria minacciosa per il suo aspetto, ma pure bonaria e un po’ fessacchiotta quando si toccano argomenti legati alla sfera intima e romantica che escono dalla sua comfort zone.

Cosa resta in definitiva della visione di “Tomo-chan wa Onnanoko!” è difficile da far capire, se non si entra in empatia e nelle dinamiche che coinvolgono questo gruppo di pochi ma simpatici personaggi; personalmente, ho avuto la fortuna di seguire il manga nella sua breve (ma neanche tanto) vita editoriale e posso dire di essermi affezionato molto e aver seguito con piacere le evoluzioni vissute da questi ragazzi nella loro esperienza, per quanto semplici e banali possano essere. Ho sempre pensato che la natura dei personaggi e la velocità con cui si dipana la storia, insolita per una commedia romantica che spesso gioca con i tira e molla tra i due protagonisti per molto tempo, si prestassero benissimo a una trasposizione animata, per cui ho colto quest’anime, arrivato dopo oltre quattro anni dalla conclusione dell’opera originale, sottolineiamolo, come un regalo inatteso che mi sono goduto appieno, nonostante i suoi difetti e i tagli inevitabili che apportava al manga da cui è tratto. Sono consapevole che chi non ha alle spalle la mia stessa esperienza col fumetto potrebbe trovare esagerati questi apprezzamenti per una vicenda sicuramente carina, romantica e divertente, ma tutto sommato simile a tante altre, però allo stesso tempo sono convinto che i pregi di questa serie possano incontrare i gusti di una larga parte di pubblico appassionata di storie simili e che aggiungerà con piacere “Tomo-chan wa Onnanoko!” alla propria lista di anime visionati, che quindi consiglio di vedere con convinzione, senza remore e timori di sorta.

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Se fossi fissato con i videogiochi fin dalla più tenera età e giocassi ad ogni ora del giorno e della notte, adorassi mangiare la cioccolata mentre giochi (e non solo...) e avessi un gatto che adori e coccoli in ogni momento disponibile della tua giornata, e all'improvviso ti costringessero a rinunciare a tutto ciò, per forzarti a valutare cosa ti circonda e soprattutto ad avere una relazione amorosa, come reagiresti?

Ecco cosa accade nell'anime a Anzu Hoshino, studentessa delle superiori, un po' (tanto...) "tomboy" e otaku fin dalla più tenera età, che all'improvviso si ritrova a interagire con una strana "entità" magica (Riri) che lavora per una fantomatica e misteriosa organizzazione che avversa i comportamenti di coloro che non allacciano relazioni amorose e si isolano nel loro mondo fantasy fatto di videogiochi, dating sim e altre amenità, facendosi bastare loro stessi e la realtà virtuale in cui si "rinchiudono" per la loro felicità interiore.
E cosa fa la creatura misteriosa? Sottrae a Anzu proprio i suoi principali "divertimenti", con il ricatto che glieli avrebbe restituiti solo nel momento in cui avrebbe trovato l'anima gemella... Ovviamente Anzu è una ragazza dal temperamento molto forte, e tenta in tutti i modi di ribellarsi alla "maledizione" del maghetto, sottraendosi con tutte le sue forze ai trucchetti, dispetti e situazioni in cui Riri costringe Anzu ad avere a che fare con bellissimi ragazzi che sembrano in qualche modo interessati a lei grazie alla magia di Riri.

Nelle prime puntate ne viene fuori un prodotto comico, un po' sentimentale/sdolcinato e un po' demenziale e standard per il genere rom-com scolastico e slice of life... e francamente, pur divertendomi, mi lasciava perplesso e anche un po' deluso: sembrava non esserci sviluppo dei personaggi, alcune situazioni mi sono sembrate molto forzate al limite dello stupido, e con una componente "fantasy" (il maghetto dispettoso Riri che, onestamente, non mi fa impazzire, e che combina ogni tipo di dispetto per mettere alla prova e far capitolare Anzu dal punto di vista sentimentale).
Nella seconda parte dell'anime, complice la rivelazione del background dei personaggi principali, degli amici e della stessa Anzu, l'anime sembra prendere ben altro spessore, e al termine della visione mi ha dato l'impressione di essere una vera e propria "presa in giro", fatta con molto garbo e ironia, dei pregiudizi sul mondo otaku, rappresentato nella serie proprio dalla bella e vulcanica protagonista Anzu.
Ad onor del vero, Anzu è sì una videogamer che trascorre le giornate in casa a giocare trastullandosi con la cioccolata e l'adorato gatto (al limite della fissazione patologica la sua ossessione per i felini: dai vestiti agli accessori, alla suoneria del cellulare, ogni aspetto della sua vita è dedicata ai gatti, tanto che rinuncia inconsapevolmente alla sua femminilità sia nel modo di essere sia nel suo abbigliamento e abitudini...), e non perde occasione e tempo per rinchiudersi in casa appena possibile per giocare. Ma è anche una ragazza dall'incredibile temperamento, che crede fermamente nelle sue idee e che ha un innato senso di equilibrio, onestà intellettuale e di responsabilità verso le persone cui è interessata anche solo da amicizia, che la rendono un po' un "unicum" rispetto ai soliti stereotipi di genere degli anime.
Mi riferisco al classico otaku, impacciato nella vita sociale, timido al limite del fastidioso, incapace di esprimersi, di esternare ciò che pensa e crede e, soprattutto, di opporsi a personalità forti che lo costringono a fare ciò che vogliono...

Anzu è proprio l'opposto: vuole fare quello in cui crede, se ne frega delle convenzioni "sociali" e di "sistema", e prosegue sulla sua strada più o meno incurante di ciò che gli altri pensano... Insomma, una personalità a suo modo "forte" e "dolce" allo stesso tempo, irascibile (capace di picchiare anche nel senso letterale del termine) e premurosa e sensibile (capace di abbracciare un ragazzo per consolarlo come amica per il dolore che sta provando)... ma è proprio il suo essere "anticonvenzionale" ad essere spiazzante e originale... fa sempre il contrario di ciò che ci si aspetterebbe da una ragazza posta nelle sue stesse condizioni, e più o meno fa sempre la cosa giusta, facendosi rispettare e aiutando le persone a lei care... il messaggio di fondo che se ne trae è più o meno questo: "Mai fermarsi alle apparenze nel giudicare una persona", soprattutto se non omologata al "mainstream"...
E proprio in questo senso che va letto il suo personaggio... Pur nella forzatura della narrazione della serie, chi di noi non giudicherebbe negativamente una ragazza che vive da sola nella casa dei genitori trasferiti all'estero con due bellissimi ragazzi? E, per come si evolve la trama, il messaggio che l'opera vuole trasmettere è proprio quello di far capire che chi vive seguendo i propri interessi, che non collimano con quelli generali approvati dal sistema, non è necessariamente una persona "sofferente" o affetta da chissà quale sindrome, da emarginare, isolare e segregare o... peggio, da rieducare in modo forzato ai valori moralmente e socialmente accettati (una specie di "ReLife" al contrario)... anzi: al termine, Anzu si dimostra molto più matura e profonda di coloro che volevano "cambiarla", arrivando addirittura a rovesciare la logica di partenza... chi aveva la missione di cambiarla, cambia a sua volta.

E non posso non pensare alla metafora che è sottesa alla trama, soprattutto alla luce di alcune notizie lette sul sito di AnimeClick.it in cui in Giappone si sta pensando a una serie di iniziative per favorire la natalità e la vita di coppia in generale, per impedire lo sfaldamento in atto delle famiglie (vedi separazioni, divorzi e poca/nulla volontà delle giovani generazioni a impegnarsi in matrimoni...)
Al messaggio principale se ne aggiunge un altro che riguarda uno dei protagonisti: Tsukasa, uno dei tre bellocci "ikemen" dell'anime. La brutta storia di stalking che lo coinvolge e vede protagonista con Anzu di un finale quasi "thriller" è ancora una volta un velato "j'accuse" a come la società e il sistema reagisce a tali situazioni. La vittima che diventa a sua volta "carnefice", per l'ipocrisia non tanto della società, ma proprio di quelle persone che dovrebbero rappresentare il "porto sicuro" nei momenti di difficoltà: la famiglia e i genitori in particolare... basta pensare alla reazione del padre e alla accorata difesa di Tsukasa da parte di Anzu, per capire come spesso genitori troppo "formali" e insensibili possano "rovinare" figli sensibili in situazioni che non possono essere loro "imputate"... a prescindere.
Parimenti Anzu passa per la redentrice anche degli altri due bellocci: per "Tonta" Junta, innamorato di lei fin da piccolo, è la musa cui si è ispirato per diventare un asso del baseball a livello studentesco; per Hijiri Koganei, principino borioso e sofisticato, la folgorazione per la sua crescita personale ed emotiva verso l'età adulta.
Senza contare che anche un amico di infanzia rivelerà a Anzu che lei era stata la sua prima "cotta"...
Tuttavia Anzu, nonostante a vario titolo abbia riscosso successo, sembra ancora non essere ancora pronta per il "grande passo" verso l'amore, e in questo senso il messaggio dell'anime è ancora più forte: non tanto che "l'amore ha i suoi tempi" quanto "nessuno è obbligato a innamorarsi per convenzione e consuetudine, e per questo deve essere emarginato o peggio forzato".

Per concludere: "Romantic Killer" è l'adattamento dall'omonimo manga di Wataru Momose, che è stato scritto tra il 2019 e il 2020 dopo quattro volumi e trentanove capitoli. Sembra che in patria abbia riscosso un certo successo, e questa serie animata, se valutata non in superficie, potrebbe seguire le sorti dell'opera originale.
È un prodotto che ha una dote non molto comune: unire la leggerezza con tanti spunti di riflessione. È coinvolgente e spassoso e, soprattutto, positivo... mutatis mutandis, una sorta di "HoriMiya" con uno sviluppo diverso, ma che alla base fa superare ai protagonisti i traumi psicologici patiti... E, per come termina, lascia adito a una possibile e attesa seconda stagione.

8.0/10
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“Kobato” è un anime di ventiquattro episodi (più otto special) prodotto nel 2009 dallo studio Madhouse e basato sull’omonimo manga realizzato dalle CLAMP.

La storia vede come protagonista Kobato Hanato, una ragazza dolce e un po’ goffa giunta sulla Terra per realizzare il suo desiderio. Per raggiungere tale obiettivo, dovrà riempire una fiala con i konpeito, ossia dei confetti che ottiene ogniqualvolta che guarisce il cuore ferito di una persona.

Proprio come suggerisce il titolo, l’opera racconta essenzialmente la storia della crescita della sua protagonista. Kobato si presenta a noi come una ragazza estremamente gentile, dal cuore puro e innocente, a volte estremamente goffa e imbranata. Ma durante la sua missione, proprio venendo a contatto con tante situazioni difficili e molto diverse tra loro, Kobato conoscerà aspetti della vita, lati e sfaccettature dell’animo umano che arricchiranno la sua già dolcissima personalità. Il tutto scorre con una calma e una semplicità che ben si adattano allo spirito dell’opera, mai troppo tragica o soffocante. Ma, oltre alla varie vicende autoconclusive, grande rilevanza assume la sottotrama dell’asilo Yomogi, dove Kobato lavorerà per tutta la durata dell’anime e dove conoscerà importanti personaggi come Sayaka-sensei o Fujimoto. Le verità nascoste dietro tale vicenda, là dove trattate, contribuiscono a tenere vivo l’interesse dello spettatore, che scema in alcune puntate eccessivamente lente o con trame un po’ banali. Ma quello che più spinge a continuare la visione dell’anime è sicuramente scoprire i segreti della storia principale: chi è veramente Kobato? Qual è il luogo che desidera raggiungere? Qual è il vero aspetto del cane di peluche parlante Ioryogi? Alcune di queste informazioni verranno snocciolate in due o tre episodi verso metà serie, mentre il resto viene riservato per il gran finale. C’è da dire, però, che molte cose non sono state chiarite, e anche dopo la visione dell’ultimo episodio degli strani flashback rimangono ancora avvolti nel mistero.

Anche i personaggi sono in linea con lo spirito semplice ma mai troppo vago dell’anime. Oltre alla protagonista, menzione d’onore va sicuramente ai comprimari Ioryogi e Fujimoto, che ritroviamo molto cambiati alla fine della serie. Entrambi, infatti, hanno subito il gentile influsso della nostra Kobato e, poco a poco, hanno addolcito il loro carattere scontroso e un po’ burbero. Anche la storia di ognuno è stata trattata in vari episodi, peccato però che a quella di Ioryogi, come detto prima, non sia stata data una spiegazione completa. Interessante anche il personaggio di Sayaka e il relativo passato. Simpatica, infine, la scelta di introdurre personaggi che appartengono ad altre opere delle CLAMP, anche se è necessario guardarsi gli anime in ordine cronologico per capire appieno tutti i riferimenti. Con alcuni di essi mi sono trovata bene, visto che da poco ho terminato la visione di “Chobits”.

Veniamo ora al lato tecnico. Il character design è sempre molto curato, e non subisce mai sbavature troppo fastidiose. I fondali non sono dettagliatissimi, ma comunque più che sufficienti. Le animazioni, il più delle volte, sono su ottimi livelli, anche se ogni tanto c’è qualche calo di qualità. L’anime, infine, gode di numerose splendide OST e canzoni più che orecchiabili (impossibile dimenticare “Ashita Karu Hi”, spesso intonata dalla nostra protagonista).

Tirando le somme, “Kobato” è un’opera semplice e senza pretese, che riesce a toccare il cuore dello spettatore con poco. Vicende mai troppo noiose e una storia d’amore dolce e delicata fanno da padrone, assieme a misteri che purtroppo non verranno mai svelati completamente. Un anime da consigliare soprattutto ai più giovani, un invito a impegnarsi e a non mollare mai nonostante le difficoltà, come la nostra protagonista si ripete ogni giorno. Voto: 8.