Quando si parla di trasposizioni di manga e anime in film o di drama con attori in carne ed ossa, di solito qui in Italia, e sul nostro stesso sito, è sempre un NO deciso e a volte fin troppo aprioristico. Figuriamoci quindi se il titolo in questione è una classica storia di genere survival che già lato anime ha espresso nel recente passato tanti titoli, molti dei quali però a cavallo tra il dimenticabile e il trash.
A partire da questo mese, tuttavia, Netflix impone a tutto il globo, con il suo potere comunicativo e la sua potenza di diffusione che ad oggi ha pochi veri rivali, la serie tratta da "Imawa no Kuni no Alice" tradotto come "Alice in Borderland" per noi occidentali, serie manga pubblicata in Italia dalla casa editrice Flashbook, ed è subito un piccolo grande successo.
 
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Ritrovarcelo tra le serie più viste del gigante dello streaming non può che destare curiosità. Stiamo pur sempre parlando di un titolo che ha vent'anni sulle spalle e di cui in effetti pochi si ricordavano, anche se, stando alle recensioni su Animeclick, non era affatto dispiaciuto a chi si era cimentato nella sua lettura. Contando poi che qui da noi questa miniserie è arrivata anche doppiata, oltre che con i sottotitoli, quest'ultimi non sempre graditi ad un pubblico mainstream, la curiosità per questa bizzarra storia di 'Alice nel Paese dei giochi poco meravigliosi' non può che aumentare.

Esaminiamo però quindi le ragioni del perché questo prodotto piace o almeno non fa gridare al trash, con tanto di forconi virtuali che ormai sono un classico sui social network, come dicevamo sopra.
 
La trama è incentrata sulle (dis)avventure di Arisu (che è anche una traslitterazione giapponese del nome Alice pronunciato all'inglese), il classico "neet" disadattato. Superata la ventina senza aver trovato il proprio scopo nella vita, subisce l'inevitabile ostracismo da parte dei propri familiari, chiara espressione di una società giapponese in cui la diversità non può ancora essere accettata. Arisu infatti è molto intelligente, è il classico mago dei videogiochi che vive le sue giornate con gli inseparabili amici perdigiorno, Karube e Chota, rispettivamente interpretati dagli attori Keita Machida (Cherry Magic!) e Yuki Morinaga (Chihayafuru).
Un giorno però la sua vita cambia drasticamente e in modo totalmente inaspettato. Dopo aver passato un pomeriggio a far bravate con i suoi compagni di merende, si ritrova assieme a loro in quella che sembra essere una versione post-apocalisse di Tokyo, dove tutti gli abitanti sono scomparsi nel nulla.
 
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Come se non bastasse non è semplice rimanere vivi in questa nuova realtà: i pochi sopravvissuti infatti sono costretti a partecipare a dei giochi mortali per prolungare il loro periodo di permanenza nei Borderlands. Infatti, esauriti i suddetti giorni, la sfortunata vittima è destinata a morire. I giochi sono di vario tipo e difficoltà, quest'ultime indicate da una carta da poker: più alto è il suo valore, maggiore è la difficoltà nel gioco, mentre i semi caratterizzano le varie abilità necessarie. I giochi rappresentati dai Quadri richiedono ingegno, per i Picche serve abilità fisica, i Fiori sono un mix dei due precedenti e i Cuori sono i più temuti perché mettono in gioco i sentimenti personali.
 
Cosa fareste se, da un momento all'altro, vi risvegliaste in questo mondo? Un mondo identico in tutto e per tutto al vostro, ma desolato, diroccato e semi-deserto... Ecco: un mondo di confine! E cosa fareste se scopriste che quel mondo è scenario di un terribile survival game, in cui il diritto e il privilegio di restare in vita vanno conquistati attimo dopo attimo, superando prove sempre più difficili e improbabili?
L'immedesimazione dello spettatore nella storia è il vero obiettivo di ogni titolo di questo filone ed in questo Alice in Borderland è davvero uno dei più classici survival. Otto episodi divisi in due tronconi che sciorinano tutti gli stereotipi e i cliché del genere, miscelandoli però con abilità, e riuscendo a proporre uno spettacolo che ai meno avvezzi risulterà gradevole, mentre all'occhio dell’appassionato porterà il piacere di assaporare tutte le citazioni e gli omaggi inseriti con grande furbizia. Tutto questo con tempi e recitazione molto "occidentali" anche se mantenendo a struttura narrativa di un manga/anime che a noi piace tanto.

Ammettiamolo, non c’è nulla di nuovo in questo titolo ma questo non è assolutamente un male. Quel mix di vari ingredienti che erano piaciuti nel manga si ritrovano anche qui: gli elementi di psicologia (come in "Liar Game") e sopravvivenza (come in "Gantz" o "Btooom!") sono fusi fra loro e uniti a una voluta caratterizzazione stereotipata di tutti i personaggi in scena. Lo sfigato che diventa eroe, il bonaccione dal cuore d'oro, la manipolatrice, il duro, il reietto che si trasforma in un temibile nemico, le liceali amiche che si ritrovano in un gioco più grande di loro il tutto condito con dei richiami all'universo narrativo di Lewis Carroll che lo spettatore si divertirà a scoprire.
Il tutto seguendo le più classiche linee guida del genere survival fino alle puntate finali, dove invece si devia nel classico arco post apocalittico in cui i protagonisti si ritrovano in una comunità di persone, chiusa e protetta, all'apparenza forte, ma che nasconde, come sempre, parecchi sanguinosi segreti.
 

 
Final Trailer

Special Clip: il gioco del TAG


Azione, horror, psicologia, distopia e mistero. La miscela di tutti questi ingredienti è stata affidata alle sapienti mani del regista Shinsuke Sato che mi aveva già adeguatamente intrattenuto con le trasposizioni live action di Gantz, Bleach, Kingdom, Inuyashiki, I am a Hero e Death Note: Light Up the New WorldTutte opere piuttosto riuscite, a volte anche meglio della trasposizione animata, si veda per l'appunto Gantz.
 
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Non solo il regista, ma anche gli attori protagonisti  Kento Yamazaki e Tao Tsuchiya non sono nuovi a trasposizioni ben riuscite. Li abbiamo già visti insieme in Orange e tra i loro altri lavori ricordiamo Wotakoi, Kingdom, Gekijou e Good Doctor per Kento Yamazaki, Kasane e Rurouni Kenshin per Tao Tsuchiya
 
Dal lato tecnico la serie è stata girata in risoluzione 4K (4096 x 2160) utilizzando la tecnologia VFX, che propone una qualità paragonabile, se non migliore, a quella dei film rilasciati per il cinema, e che garantisce un livello qualitativo delle immagini avanzato ma che purtroppo evidenzia anche alcune pecche, come le bestie feroci in computer grafica piuttosto posticce.
Alla colonna sonora questa serie può annoverare Yutaka Yamada, compositore di stanza a Los Angeles che ha già lavorato alle musiche di anime famosi come Tokyo Ghoul o Vinland Saga ma anche al live action di Bleach e Death Note: Light Up the New World. L'artista ci ha regalato una OST davvero d'atmosfera, capace di sottolineare le emozioni e i tanti momenti drammatici della serie.

 
Riepilogando, Alice in Borderland non porta nulla di nuovo per chi apprezza questi titoli ed è cresciuto a Gantz o a Liar Game, ma che comunque si diverte ancora (come me) a immaginare come si possa sopravvivere in mondi paralleli i distopici con la costante mannaia della morte sul proprio capo. Quello che propone però è fatto davvero bene, con mano esperta che sa cosa proporre sia al palato più avvezzo che a quello neofita, alternando momenti di azione e scontri acrobatici (ben fatti!) ad altri più introspettivi che ci fanno empatizzare con i personaggi con un ottimo uso dei flashback. 
Il regista e tutto il suo staff hanno sfornato un prodotto degno di una piattaforma di livello internazionale. Almeno fino a qui.
Perché, dato il finale apertissimo, a questo punto una seconda stagione è più che ipotetica. In quel momento si vedrà se questo titolo riuscirà a mantenersi su buoni livelli, o se invece cadrà come un castello di carte sui tanti nodi ancora da sciogliere.