Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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È un film dalle innumerevoli qualità e qualche difetto, su cui si soprassiede volentieri in virtù dell'amore per i personaggi. Per un adulto potrebbe essere difficile perdonare alcune ingenuità sparse qua e là nella trama, ma un bambino (o un inguaribile nostalgico) appassionato di cavalieri e del ciclo arturiano non potrà che apprezzare questo film, che come scelta di ambientazione e temi portanti ha pochissimi prodotti equivalenti.

I personaggi

Il punto forte dell'opera sono senz'altro i protagonisti: Kayley, né una damigella in pericolo né una coraggiosa avventuriera, ma una ragazza con un grande sogno e molta forza di volontà che tuttavia è goffa e impreparata a causa della mancanza di addestramento; Garrett, un eremita che ha scelto una vita solitaria, consapevole dell'emarginazione sociale a cui sarebbe stato condannato alla morte del suo protettore; Ruber, un cattivo che, per quanto non originale né nelle motivazioni né nella malvagità, è in grado di trasmettere un forte senso di angoscia per tutta la durata del film; Devon e Cornelius, spalle comiche esilaranti ma che trasmettono anche un grande messaggio, sicuramente aiutate nel doppiaggio italiano dalla meravigliosa interpretazione di Proietti (e in effetti ricordano molto il Genio di "Aladdin", con la differenza che la sua multiforme voce qui è suddivisa in due).
I personaggi minori sono relativamente piatti: il padre nobile, la madre tormentata, Artù che ha talmente poca fibra da rendere difficile credere che sia riuscito a governare un regno per vent'anni di fila. Ma per lo spettatore ciò cade in secondo piano.

Che cos'hanno in comune i protagonisti di questa storia? Sono tutti degli emarginati.
Kayley è costretta ad abbandonare il suo sogno perché l'unica persona che l'avrebbe appoggiata è morta. Garrett è in auto isolamento per non subire le conseguenze sociali della sua disabilità. Devon e Cornelius sono anch'essi affetti da un handicap decisamente grave per un drago, il non saper né sputare fuoco né volare. I quattro formano un gruppo di improbabilissimi eroi, che infatti riesce nell'impresa, se non solamente, di certo inevitabilmente grazie al sostegno di Ali d'Argento, il falco di Merlino. Questo deus ex-machina potrebbe a tratti risultare fastidioso a un occhio adulto, ma ricordiamo che siamo in una fiaba cavalleresca in cui fiori giganti prendono i volo e piante carnivore ruttano dopo aver ingurgitato soldati di pietra. Inoltre questo fornirà un interessante elemento di evoluzione nel finale, in cui il falco non sarà più necessario, perché i due ragazzi saranno in grado di sostenersi a vicenda.

Le musiche e la comicità

Le musiche sono coinvolgenti, i testi delle canzoni ben scritti. L'unico difetto che hanno, a volerne trovare uno, è forse quello di essere troppo brevi. La canzone di Ruber era una delle mie scene inquietanti preferite quand'ero bambina. In generale, canzoni e immagini fluiscono in perfetta armonia, in un risultato di cui si può tranquillamente dire che "il tutto è maggiore della parte". Ciò è particolarmente evidente nel caso di "The Prayer", non a caso vincitrice di un Golden Globe.

L'aggiunta di varie scene comiche per stemperare l'atmosfera non la trovo un elemento di debolezza, semmai una qualità caratterizzante del film, che costituisce un ottimo esempio di come dramma e commedia possano essere mescolati senza interferire l'uno con l'altro. Nel dettaglio, la relazione tra Ruber e il grifone aggiunge un tocco di macabro che non stona con la traumaticità degli eventi.

Le debolezze

Il maggior elemento di debolezza del film sono gli spunti di trama, un po' semplicistici. Com'è possibile che Sir Lionel sia morto senza essere quasi stato colpito? Che in maniera del tutto casuale l'orco colpisca Ruber in modo tale da impedirgli convenientemente l'inseguimento? Che tutti i soldati di Ruber siano sciocchi, in modo da permettere la fuga di Kayley? Sono piccoli dettagli che potevano essere evitati con opportuni accorgimenti, e che nel complesso indeboliscono la trama.
Lo sviluppo degli eventi inoltre, che quand'ero piccola non mi dava particolari problemi, a un rewatch lo trovo troppo repentino: il rapporto tra Kayley e Garrett poteva essere sviluppato più lentamente, si potevano inserire più momenti di riflessione, canzoni più lunghe, stacchi in cui fare il punto della trama o approfondire le caratterizzazioni dei personaggi, principali e secondari. Invece, soprattutto nella seconda parte, c'è una sorta di rush finale verso la conclusione della vicenda.

Il finale

Il finale è... bello. I protagonisti superano le loro insicurezze, Garrett impara a fidarsi delle persone che ha accanto, Kayley a trovare la forza di reagire agli eventi, Devon e Cornelius si rendono conto di poter essere un sostegno l'uno per l'altro. Artù, come al solito, non capisce niente (ma che ci dobbiamo fare... Sembra quasi una costante degli adattamenti del ciclo arturiano.) Lo stratagemma utilizzato per sconfiggere Ruber è assolutamente geniale e coerente con lo spirito cavalleresco del film e, in particolare, dei due protagonisti.
Infine, un gran finale, forse storicamente poco coerente, ma appagante.

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Ogni tanto vi capita di rievocare dei ricordi felici della vostra infanzia? A me ogni tanto succede, e uno tra i momenti che ricordo con più piacere era quello della fiaba della buona notte.
Il letto è sempre stato il mio migliore amico, tanto che ancora oggi divento triste, quando la mattina devo interrompere quell’abbraccio durato tutta la notte. Tuttavia il motivo per cui ricordo con piacere le fiabe non è certo perché andavo a letto, ma quei dieci minuti prima di addormentarmi, quei minuti in cui sognavo ad occhi aperti mondi fantastici, abitati da personaggi stravaganti alle prese con problemi particolari, tutto orchestrato dalla voce narrante di mia madre. Nel mondo in cui viviamo la magia non esiste, eppure per me quel momento era equiparabile alla magia.

Vi chiederete: "Perché fare un'introduzione così personale?" Beh, perché secondo me non c’era modo migliore per introdurre una fiaba animata come “La canzone del mare”, la quale, incredibilmente, mi ha riportato a quella magia vissuta da bambino.

“La canzone del mare” è un film d’animazione irlandese del 2014, anche se a me piace definirlo fiaba animata per adulti e bambini. La storia, seguendo le vicende di Ben (dieci anni) e della sorellina Saoirse (sei anni), apparentemente muta perché ancora non ha imparato a parlare, svilupperà una trama ricca di richiami ad antiche leggende e fiabe irlandesi, adattandole e romanzandole a seconda delle necessità di trama. Nella storia troveremo la selkie, una creatura mitologica che, secondo la leggenda, era capace di trasformare il suo corpo da foca in quello di una donna, per poi tornare alla sua forma originale grazie all'utilizzo del mantello. Troveranno spazio anche altre figure mitologiche come Mac Lir, il dio del mare, e Macha, dea delle battaglie, così come altri personaggi o usanze associabili alla mitologia irlandese.
La trama, per quanto possa risultare interessante, è pensata per un pubblico molto giovane, infatti, soprattutto nella prima parte, un adulto potrebbe accidentalmente emettere qualche sbadiglio profondo con tanto di lacrima; tuttavia, man mano che si prosegue con la storia e le varie trame si intrecciano, quelle che prima erano lacrime da sbadiglio potrebbero trasformarsi in lacrime di commozione, leggera certo, ma pur sempre di commozione (la metamorfosi della lacrime per me è avvenuta).

Se nella narrativa il film potrebbe lasciare un po’ a desiderare, il comparto tecnico, invece, nasconde la parte più bella e preziosa di questo prodotto.
Devo ammettere che, prima di guardare il film, avevo dei dubbi proprio sulla natura tecnica, infatti, guardando le immagini di anteprima, lo stile sembrava abbastanza lontano dai miei gusti e fin troppo semplice... tuttavia, sono bastati i primi cinque minuti per farmi cambiare completamente idea.
Veniamo accolti da una voce narrante femminile molto chiara, dolce e accogliente, accompagnata da disegni dalle linee semplici e sinuose, racchiuse in una vignettatura bianca che ricorda le nuvole, il tutto colorato con delle tonalità prettamente calde e dall’effetto pastello. A completare il tutto c'è una dolce melodia, che fa da cornice a questo quadretto idilliaco iniziale.
Lo stile dei disegni è dominato da linee morbide e sinuose in cui però trovano spazio anche delle linee più nette e spigolose. Questo dualismo è gestito alla perfezione dalla produzione, la quale riesce abilmente a ricreare sia immagini che ricordano i disegni di un bambino, quindi donando un senso di tranquillità e pace allo spettatore più giovane, sia immagini molto più asimmetriche che portano alla memoria di un adulto alcuni famosi quadri di rinomati pittori, tutto questo senza mai tradire l’identità artistica del film. I colori, soprattutto per la gestione delle luci, sono l’elemento grafico che mi ha più impressionato: nonostante uno stile completamente 2D e fatto di fondali piatti, il suo uso dona una tridimensionalità alle scene che raramente mi è capitato di vedere.

L’altro grande elemento di pregio del film è il comparto sonoro. Le scene sono sempre accompagnate da pochi ma da eccentrici suoni: che si tratti di una goccia in una grotta o il vento tra le foglie degli alberi, i suoni sono sempre limpidi e cristallini, ognuno è protagonista, non fanno a botte tra di loro per chi deve prendere il sopravvento alle orecchie dello spettatore, c’è armonia.
A questo valzer ballato da grafica e sonoro, la colonna sonora non poteva che metterci la musica. Che sia una nota cadenzata o un canto, ogni scena in cui c’è l’accompagnamento musicale risulta permeata di un’ulteriore dose di mistero, magia, tristezza, paura e felicità, in relazione ovviamente all’emozione che quella scena voleva mostrare. Per quanto io abbia trovato perfetto l’accompagnamento musicale del film, qualcuno potrebbe trovare le melodie un po’ ripetitive, dato che alcuni motivetti sono riproposti in diverse scene con piccole modifiche.

Consiglierei il film? Sì, perché, nonostante il target di riferimento siano i bambini, anche un adulto, nella morale che il film nasconde, può ritrovarsi ed emozionarsi guardando questo prodotto.
Se si è genitori e si è alla ricerca di un film da guardare con i propri figli, “La canzone del mare” penso sia il film perfetto da guardare in famiglia. Chi invece, come me, da buon lupo solitario ha voglia di rilassarsi un po’, guardando un bel prodotto audio-visivo, potrebbe trovare in questo film il candidato perfetto per passare una dolce e spensierata serata.

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La Luna e lo spazio hanno da sempre un fascino particolare sull’uomo. Se ad esso si aggiungono leggende da ogni dove, si possono trovare decine di trasposizioni cinematografiche e non, legate ad esse.
Uno fra i tanti miti è basato sulla tormentata storia d’amore tra Chang’e, la dea della Luna, e Houyi, talvolta rappresentato come il dio dell’arco sceso sulla Terra, e talvolta come un arciere facente parte di una tribù. La leggenda da cui “Over the Moon” prende spunto vede i due innamorati costretti a separarsi poiché Chang’e è immortale e lui no. La dea della Luna vivrà quindi un’eternità di solitudine, con la sola compagnia di un coniglio.
Fei Fei è, a inizio film, una bambina felice e fantasiosa che vive coi genitori, che la adorano. La madre è la sua musa, la sua migliore amica, che le racconta, ogni giorno, la leggenda di Chang’e, a cui la figlia crede ciecamente, e nella cui storia d’amore vede riflessa la storia d’amore dei suoi genitori. Ma la madre viene a mancare, presumibilmente per una malattia, e se anche all’inizio la sua perdita non scoraggia completamente Fei fei e suo padre, che si danno forza a vicenda, le cose cambiano quando il papà intende risposarsi con una donna che lei non accetta.
Decisa a ricordare al padre l’amore che provava per la sua mamma, la ragazzina decide di costruire un razzo, volare sulla Luna e trovare Chang’e.

Il film diretto da Glen Kean è sicuramente da annoverare come storia di formazione che, attraverso la metafora del viaggio, permette - in questo caso - a un’adolescente di trovare risposte ben diverse da quelle che si aspettava.
Fei Fei ci viene presentata come una bambina che, seppur intelligente e laboriosa, preferisce la fantasia alla durezza della realtà. Ne è dimostrazione la scena iniziale, quando dice chiaramente di preferire la storia di sua madre sulla spiegazione delle fasi lunari (un cane stellare che morde la luna), piuttosto che la spiegazione scientifica proposta dal padre.
Come ogni preadolescente e adolescente che si rispetti, Fei Fei non accetta cambiamenti nella propria vita, se non quelli decisi da lei. Per questo fatica a superare il lutto di sua madre, non ascolta i racconti dei parenti, e ancora di più fatica ad accettare una nuova madre e un nuovo fratellino. Perché, ai suoi occhi, significherebbe rinunciare alla fase della sua vita che l’ha resa più felice.

Il film è un vero e proprio inno all’amore e all’amore per la fantasia, complice anche la meravigliosa ambientazione. Glen Keane ha infatti dato sfogo a tutta la sua creatività, ponendo fin da subito un divario immenso tra l’inizio del film, che mostra una Cina di tutti i giorni, e il viaggio verso Lunaria, rappresentata come una terra colorata, stravagante, bizzarra, popolata da creature fantastiche ed eccentriche. Lunaria è a tutti gli effetti sia un luogo magico e apparentemente felice in cui sfogare tutta la propria fantasia sia un mix perfetto tra folklore cinese e performance K-Pop (grazie, soprattutto, alla colonna sonora). Tuttavia, l’aspetto del luogo è soltanto una facciata, perché, per quanto colorata sia la Luna, altro non è che il luogo che occorre alla dea Chang’e per sopprimere la propria solitudine e il proprio dolore, apparendo in effetti - in un primo momento - quasi come un personaggio viziato ed egoista.

I meriti della riuscita del film sono senza dubbio la qualità della colonna sonora che, a differenza di altri prodotti made in USA, si accompagna meravigliosamente alla narrazione, mostrando il film come un musical animato; e la sceneggiatura che pone l’accento su tematiche delicate come l’elaborazione del lutto e la solitudine.

L’unico neo che ho riscontrato è forse la parte finale, legata appunto a Chang’e e alla sua tormentata storia d’amore, che viene trattata in maniera oltremodo frettolosa; ma d’altronde la si può vedere quasi solo come trampolino di lancio per permettere a Fei Fei di maturare il proprio lutto e trasformarlo in una lezione di vita che le possa permettere di andare avanti.