Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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9.0/10
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Due premesse fondamentali prima di iniziare questa recensione. La prima: “Arcane” è una delle serie televisive animate degli ultimi anni che ha riscosso maggior successo in assoluto e, quando questo accade, c’è sempre una fetta di pubblico che decide di ergersi a voce fuori dal coro, criticando e andando a cercare il pelo nell’uovo. Sia ben chiaro, non ci trovo nulla di male in questo, d’altronde io stesso mi sono ritrovato nella medesima situazione quando mi sono imbattuto in altre serie televisive o film, come “Neon Genesis Evangelion”, ma alla fine arriva sempre il momento in cui bisogna guardare in faccia la realtà. Nel caso specifico, c’è ben poco da criticare, perché flop finanziario o meno, “Arcane” è attualmente l’unica serie nella storia di IMDB ad avere un’intera stagione, ovvero la seconda, i cui episodi hanno tutti una valutazione maggiore o pari a nove. Oltre a questo, “Arcane” è anche diventato il primo adattamento videoludico a vincere sia gli Annie Awards che i Primetime Emmy Awards, nonché la serie in streaming che ha vinto il maggior numero di premi dalle stesse candidature in un solo anno agli Annie, con un totale di nove, e la prima serie Netflix ad aver vinto il premio per la miglior serie animata. Inoltre, “Arcane” ha vinto il premio inaugurale alla categoria miglior adattamento ai Game Awards del 2022. I riconoscimenti ufficiali parlano di una serie animata oggettivamente eccellente e, con questo, dovranno conviverci tutti i suoi detrattori, indipendentemente dai gusti soggettivi che cambiano da persona a persona. La seconda premessa è strettamente individuale: per un fervente giocatore di "League of Legends" come il sottoscritto, vedere animata una seppur minima fetta della lore del videogioco non ha avuto prezzo. Già questo è bastato affinché “Arcane” occupasse un posto speciale nel mio cuore.

Ambientata a cavallo tra l'utopica Piltover e l'oppressa Zaun, nell'universo videoludico di League of Legends, questa serie televisiva animata è ambientata nel passato e racconta le origini di diversi personaggi, tra cui Jinx, Vi e il misterioso Silco, e della creazione della tecnologia Hextech, che sarà il motivo di numerosi scontri ideologici oltre che bellici.
Ciò che mi stupì più di qualunque altra cosa, al momento del primo impatto con la serie televisiva, avvenuto nell’ormai neanche più tanto vicino 2021 quando venne rilasciata, fu l’incredibile perizia tecnica dello studio d’animazione francese Fortiche. Disegni favolosi e animazioni eccellenti rappresentarono il biglietto da visita perfetto di “Arcane”, il che potrebbe sembrare un fatto scontato visto i soldi che ci sono voluti per produrla, anche se non sempre questo è sinonimo di qualità. A ciò, in particolar modo nella seconda stagione, bisogna aggiungere un comparto musicale altrettanto valente, che si accompagna egregiamente bene ad ogni scena che passa sullo schermo, da quelle drammatiche ad altre ben più cariche ed aggressive. Grande effetto ha avuto sul sottoscritto la presenza di uno dei nuovi pezzi dei rinati Linkin Park, “Heavy is the Crown”, che, come molte altre canzoni, ha avuto il merito di rendere indimenticabile una scena di per sé già grandiosa.

“Arcane” è una storia che parla di guerra, ambizione, amore, amicizia e, soprattutto, si regge sulle complesse relazioni tra i suoi personaggi, che vengono a trovarsi al centro di vere e proprie dicotomie. Le sorelle di sangue Jinx e Vi. I fratelli di scelta Vender e Silco. I compagni di ricerche Jayce e Viktor. L’impensabile coppia di amici formata da Ekko e Heimerdinger. Le innamorate Vi e Caitlyn. Dalle loro interazioni e dalle scelte che compiono, si dipana la trama di “Arcane”, che ci ricorda molto bene che gli artefici del nostro destino siamo solo e unicamente noi. Riflessioni profonde come questa, ispirate dai dialoghi dei personaggi, si accompagnano ad una messa in scena veramente accurata della guerra e delle sue conseguenze, oltre che ad una cospicua presenza di mazzate che, ad un primo impatto, mi hanno molto ricordato “Attack on Titan”, gasandomi notevolmente. Le esperienze di questi personaggi sono calate in un contesto e in una storia che sembrano complesse, ma in realtà di complesso non hanno nulla. “Arcane” riprende alcuni temi noti, specialmente delle produzioni degli ultimi decenni, come la brutalità della guerra, i pericoli che può comportare un eccessivo desiderio di fama e ambizione e l’importanza di non lasciar andare le persone a cui si tiene veramente. Tutt’al più, una certa difficoltà di comprensione, che io stesso ho avvertito, può derivare dalla fretta con cui si è deciso di chiudere la seconda stagione e, di conseguenza, l’intera serie. Mi rendo conto che di soldi ne sono stati spesi parecchi e chiedere un’ulteriore terza stagione sarebbe stato eccessivo e anche presuntuoso, ma ammetto che una maggior chiarezza nella spiegazione degli eventi non mi sarebbe dispiaciuta, per quanto poi la trama non raggiunga mai vette di incomprensibilità tombale. Anzi, il contrario. Il grande pregio di “Arcane” è, infatti, la facilità con cui si lascia seguire, anche dai non amanti del videogioco, merito di una narrazione fluida e che appassiona lo spettatore sempre di più col passare degli episodi. Poi, certo, i cliffangher aiutano e non poco. Da questo punto di vista, devo anche ammettere che agli sceneggiatori è piaciuto molto servirsi di alcuni grandi cliché del genere, oltre che puntare forte sulla relazione amorosa tutta al femminile tra Vi e Caitlyn, per accalappiarsi quegli spettatori contemporanei che hanno molto a cuore la questione di genere e la libertà sessuale. Ancor più della storia, in generale, credo che siano i protagonisti i veri pilastri della serie. Un grande apprezzamento va al modo in cui è stato scritto il personaggio di Jinx, a cui viene dedicato un encomiabile e meritato approfondimento psicologico. Più di lei e della sua parabola narrativa, impreziosita da una stupenda redenzione finale, il personaggio che maggiormente mi resterà nel cuore è Heimerdinger, il più saggio ed assennato di tutti e, forse, proprio per questo, quello più bistrattato, nonostante i suoi tanti anni di esperienza. È stato lui, prima di chiunque altro, a comprendere la realtà dei fatti e capire cosa sarebbe successo se il progetto Arcane fosse andato in porto. Insieme a lui, merita di essere citato anche Viktor, di cui non dimenticherò la stupenda relazione di amicizia con Jayce, e con la cui frase più forte vi lascio, nella speranza che presto o tardi comprendiate la grandezza di “Arcane”.

"La ragione in grado di spingerci a compiere il bene più alto può anche essere la causa del male più profondo".

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“La vetta degli Dei” è un film d’animazione tratto dall’omonimo manga disegnato da Jiro Taniguchi, opera che lessi qualche anno fa e che fu in grado di stregarmi per l’impressionante qualità artistica e per le forti emozioni che era stata in grado di rievocare. Pur avendo sentito buone opinioni in merito a questo lungometraggio, nutrivo qualche dubbio in merito al fatto che, forse, un film da novanta minuti non fosse sufficiente per sintetizzare un’opera di cinque volumi molto intensi. Contento di essermi sbagliato.

L’aspetto più convincente della pellicola è che riesce a valorizzare ogni aspetto dell’originale senza trascurare nulla o quasi. La trama è interessante, la storia di Abu e quella del giornalista che cerca di ricostruirne la vita sono perfettamente intrecciate, con una narrazione che riesce a passare dall’una all’altra con efficacia, dando il giusto ritmo ad ogni evento. Il fiore all’occhiello del film, però, è la varietà di sensazioni e di emozioni che si manifestano durante le scalate. Ogni passo falso, ogni errore si percepisce all’istante, creando un’immedesimazione perfetta tra i personaggi e lo spettatore. La tensione, la paura e la fatica di ogni mossa definiscono una forma di coinvolgimento totale che fa rimpiangere il fatto di non aver potuto apprezzare il film in sala.

Davvero buono il lato tecnico, con uno stile che non fa rimpiangere l’originale e che al tempo stesso non si limita a una semplice imitazione, cercando comunque un’estetica a suo modo particolare.
Ottima la colonna sonora, che accompagna egregiamente le vicende dei personaggi, soprattutto durante i momenti più rilassati.

Trasporre in un lungometraggio “La vetta degli dei” non era un compito facile, ma questo film riesce a centrare il punto, regalando una visione interessante, coinvolgente e ben fatta tecnicamente. Consigliato a tutti coloro che come me avevano amato il manga, ma anche e soprattutto a tutti coloro che ancora non l’hanno letto e che potrebbero avere il desiderio di scoprirlo proprio grazie a questa pellicola.

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“Minestra riscaldata 'un fu mai bòna.” (proverbio toscano)

L'operazione nostalgia sembra essere un po' diventato il leit motiv di alcune produzioni recenti del colosso streaming mondiale. Tra quelli che mi ricordo, "Kimi ni Todoke" (live action e poi anime), "Non mi stuzzicare, Takagi" (solo live action).
I risultati possono essere più o meno in linea con le attese del pubblico, ma il rischio del confronto con le opere originali e risalenti anche a molto tempo fa, soprattutto se hanno riscosso grande successo, è molto alto e spesso penalizzante.
Senza dimenticare che oggi, con questi remake, sembra anche sussistere un certo inaridimento della fantasia nella creazione di nuove opere originali...

È inutile usare tanti giri di parole: la saga di "Terminator", nonostante gli scivoloni dei sequel dopo i due film del 1984 e del 1991, resta comunque una pietra miliare della filmografia sci-fi. Un'era, quella degli anni '80, in cui i film di fantascienza hanno vissuto una sorta di golden age, sviluppando una serie di filoni di successo che spaziano dalla fantascienza un po' naive e spensierata (tra i tanti, "Flash Gordon", "Ghostbusters", "Ritorno al futuro", "Guerre Stellari", ecc.) all'horror ("Alien", "La Cosa", ecc.) e a scenari un po' più impegnati e cupi su ipotetici futuri in cui si sono realizzati gli incubi e i rischi di una tecnologia invasiva.
"Blade Runner" di Ridley Scott ha rappresentato il caposaldo di questo genere di cambiamento attraverso un film visionario, noir e cupo, latamente filosofico sul rapporto tra umanità e esseri androidi senzienti, utilizzando una raffinatezza scenografica d'autore.
"Terminator" di James Cameron si inserisce a mio avviso proprio in questo filone capostipite del cyberpunk, in cui agli scenari cupi e tetri sul futuro aggiunge anche una bella dose di azione, romance e anche morte, in una trama tutto sommato avvincente e, per l'epoca, particolarmente accattivante e originale. Siamo ben lontani dalla fantascienza positiva e leggera di "Guerre Stellari", infarcita di grandi effetti speciali ma anche di situazioni sulla semplice lotta tra bene e male.

È pertanto sempre rischioso riprendere sic et simpliciter la saga di "Terminator" e provare a sottoporla a una revisione/aggiornamento in salsa animazione nipponica, in cui si tende a privilegiare per quanto possibile l'introspezione e le riflessioni anche filosofiche su un tema, quello dell'avvento delle IA nell'esistenza umana e sociale, su una trama di azione che, parimenti a "Steins;Gate", prevede viaggi nel tempo, potendo vedere attraverso i salti tra passato e futuro gli effetti delle scelte più o meno scellerate dell'umanità in tema di abdicazione del proprio ruolo di guida e controllo dell'IA in tutti gli aspetti della sua esistenza, lasciando un po' in secondo piano gli effetti delle modifiche del passato sul futuro.

Ma questa produzione IG Production è riuscita a cogliere nel segno?

A mio avviso, ha avuto sicuramente coraggio, con il rischio (calcolato) di sfociare nell'incoscienza... Partendo quasi da un "copy & paste" di "Terminator" e in parte anche "Terminator 2", cerca di innovare parzialmente la trama (e non solo l'ambientazione, passando da Los Angeles a Tokyo), introducendo un quid novi che si sostanzia in primis nell'aggiunta di un nuovo personaggio (alludo a Malcom Lee, lo scienziato che crea l'IA "Kokoro" - nome piuttosto evocativo e che dovrebbe significare "l'armonia di cuore e mente") e una trama parzialmente differente da quella originale, in cui Kokoro ha il compito di bloccare la storica IA Skynet che, una volta libera di autodeterminarsi, individuerà nell'umanità una fonte di pericolo per robot e IA, tanto da passare al suo sterminio.

"Terminator Zero" riprende in modo pedissequo, soprattutto negli episodi iniziali, tutti gli stilemi e gli elementi dell'opera cinematografica, ma funziona "a fasi alterne" e non sempre in modo sincrasico. Coloro che avranno amato l'atmosfera cupa e thriller di "Terminator" e "Terminator 2", con quel senso di profonda impotenza degli uomini nel contrastare i robot-killer del futuro (c'è poco da fare, A. Schwarzenegger ha reso benissimo il robot con sembianze umane, nonostante che gli effetti speciali dell'epoca non si potessero ancor avvalere della CG), e l'azione, non troveranno quelle atmosfere in questa serie.
L'anime tende a privilegiare un ritmo e uno stile più orientale, più intimistico, meno action e con diversi flashback e flashforward tipici che, soprattutto nel finale, consentiranno allo spettatore di capire alcuni aspetti nuovi della storia e i legami tra i vari personaggi che si ritrovano a vivere il presente della serie (anno domini 1997).

Copiata in toto anche la data dell'evento in cui l'IA Skynet lancia l'attacco nucleare su buona parte della Terra: 29 agosto (il cosiddetto "Giorno del giudizio"). E su questo aspetto, la nota piattaforma ha dimostrato anche la sensibilità di rendere disponibile la serie proprio a decorrere dal 29.08.2024, quasi in segno di deferenza (oltre che di furbizia commerciale) verso un franchise iconico.

In questo "Terminator Zero" si è privilegiata la cosiddetta "filosofia". I dialoghi lenti e a tratti anche un po' noiosi e stucchevoli tra il protagonista, lo scienziato Malcolm Lee e la sua creatura Kokoro sul perché quest'ultima avrebbe dovuto salvare l'umanità potrebbero far torcere il naso ai fan più accaniti dei film della saga. È un po' il solito refrain: un'intelligenza logica e superiore come un IA considera l'umanità alla stregua di un parassita predatore e guerrafondaio, incapace di astenersi da atti contro la propria specie e contro il pianeta Terra (qualche reminiscenza del dialogo tra Morpheus e Mr. Smith in Matrix?).
E non potrei biasimarli, perché poi, in fondo, non si scomodano concetti e teorie di inusitata profondità e saggezza. Il personaggio creatore della IA antagonista di Skynet si ritrova a cercare di convincere la propria creatura sulla necessità di adoperarsi per salvare l'umanità, non riuscendoci con la dialettica ma solo (e forse probabilmente) con il finale in cui sarà il protagonista tragico...

Scelta poco convincente e piuttosto drammatica e semplice, che dimostra l'inferiorità dell'umanità rispetto alla propria "creatura" e che, unitamente al solito finale un po' tanto aperto, lascia la serie come sospesa e incompleta, poco incisiva e con possibili ulteriori scenari che probabilmente potrebbero tendere a differenziarsi in modo notevole dalla trama dei film di origine.
Le medesime considerazioni possono essere espresse per la scelta di aver introdotto Kokoro come IA antagonista. È il secondo grande quid novi, ma tale scelta sposta il focus del conflitto duale uomo-macchina in un altro macchina-macchina in cui una delle due non è poi così convinta di aiutare l'umanità. Tale dubbio resta irrisolto, nonostante il finale in apparenza positivo ma molto ambiguo.

A livello di comparto tecnico, "Terminator Zero" non mi è sembrato malaccio, anzi. A parte qualche scivolone nell'integrazione tra disegni 2D e CG e quella sfumatura tendente al viola sui bordi dei personaggi per dare tridimensionalità ai soggetti e per disegnare le ombre (un effetto simile, se non ricordo male, lo si vede anche in "Cyberpunk: Edgerunners"), a me suscita un effetto "plasticoso" dei personaggi, nonché di inverosimiglianza, anche per i colori molto vividi e saturi. Il chara-design, sebbene curato, sembra un po' fumettistico.

In conclusione, "Terminator Zero" è una serie che ci riporta un po' indietro nel passato a rispolverare le solite paure e incognite sulla creazione e utilizzo dell'IA in tutte le attività umane, tendenza di produzioni cinematografiche e di animazione di qualche tempo fa. Tenendo conto che, rispetto ai film cui si ispira, mancano per i gusti occidentali le cosiddette scene di azione degne di colpire lo spettatore, "Terminator Zero" resta comunque un prodotto meritevole di una visione, soprattutto per coloro che sono nostalgici o che hanno apprezzato la saga tra i suoi alti e bassi.