Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

10.0/10
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Inizialmente avevo letto il manga e con un certo scetticismo, non amo i battle shounen, mai piaciuti, ma "Chainsaw Man" era il titolo del momento e aveva primeggiato in patria e all'estero, in breve l'anime divenne tra i più visti in circolazione... la cosa non può non incuriosire, perciò in primis lessi il manga, preso in prestito dalle biblioteche e quindi letto gratuitamente.
Fu una rivelazione inaspettata!
Nonostante una dose di trash, scene splatter esagerate ed eventi strampalati, la caratterizzazione dei personaggi è interessante e varia, la struttura narrativa ben calibrata e ben scritta, tutto il manga è pervaso da un alone di mistero assai intrigante fino al volume 11 che ne sigla la fine della prima stagione. Al momento l'autore è al lavoro sulla seconda stagione del manga, che parte dal volume 12 ed è in corso.

Questo anime è diviso in 12 episodi e raccontano praticamente la metà della prima stagione del manga, è ormai ovvio che uscirà la seconda stagione che andrà a chiudere quest'arco narrativo.
In realtà la trama è così particolare che potrebbe non piacere, ma è quel tipo di prodotto che, se piace, allora è probabile che possa piacere davvero tantissimo, crea un legame affettivo coi personaggi principali difficile da descrivere, e per me questo è frutto del talento dell'autore Fujimoto.

A chi non ha letto il manga e vuole guardare "Chainsaw Man", consiglio vivamente di non fermarsi ai primi 3 episodi, che potrebbero sembrare un pò banalotti dal punto di vista narrativo, essi infatti servono più che altro a introdurre i personaggi principali, la trama vera comincia dal quarto/quinto episodio, quindi se inizialmente storcete il naso scettici consiglio di portare un attimo di pazienza, ne varrà la pena.

La trama pone un protagonista che è l'antieroe per eccellenza: cresciuto in una situazione di totale degrado e miseria, orfano di un padre che lo ha ricoperto di debiti e in balia degli yakuza che lo obbligano a ripagare in ogni modo, Denji decide di fare il devil hunter per far soldi grazie all'unico sostegno affettivo che ha: un piccolo diavolo motosega che lui tratta come un fedele cagnolino; è proprio quest'ultimo a donargli una seconda vita fondendosi al suo corpo e donandogli il suo cuore, e Denji da allora lavorerà per la Pubblica sicurezza, ente che -appunto- si occupa di uccidere i diavoli; Denji non ha aspettative, non ha grandi sogni, non ha grande empatia, si lascia trascinare dagli eventi e da chi considera più intelligente di lui senza troppo orgoglio.
Il legame che presto stringerà col suo superiore e coinquilino Aki Hayakawa e la sua partner lavorativa Power sarà qualcosa di davvero bello. Gli scontri che si susseguiranno con i Diavoli saranno conditi da molto sangue e splatter, e il mistero dietro alcuni personaggi crescerà sempre più.
Ero legata ad alcuni personaggi, come Aki, Denji, Power, Himeno e Makima e quindi avevo molte aspettative su quest'anime, che sono state ampiamente soddisfatte, un eccellente comparto grafico, eccellente qualità dell'animazione, ottima colonna sonora, ottima la sigla di apertura e originale l'idea di mettere una sigla di chiusura diversa per ogni episodio.
L'anime rispecchia fedelmente il manga.

Io aspettavo lo doppiassero in italiano (causa difficoltà alla vista non riesco a seguire bene i sottotitoli) e finalmente Crunchyroll, che ne ha l'esclusiva, ha investito sul doppiaggio di questo e altri interessanti anime che meritano, io mi iscrissi appena i 12 episodi furono resi disponibili. Devo dire che il doppiaggio è fantastico, le voci azzeccatissime ai ruoli, ottima recitazione, insomma per me un anime perfetto sotto tutti i punti di vista, un prodotto di alta qualità realizzato dallo studio MAPPA .

Lo consiglio a chi ha già letto il manga, non resterà affatto deluso, ma anche a chi non conosce ancora "Chainsaw Man", anche a chi, come me, non ama gli anime tratti dai manga battle shounen perché Tatsuki Fujimoto ha saputo creare un prodotto unico e convincente sotto tanti punti di vista (anche se inevitabilmente alcune scene o dettagli sanno di "già visto") e può affascinare anche chi non è amante del genere perché va oltre le tante battaglie citate, vi è una profondità di sentimenti, personaggi indimenticabili che rimarranno ricordati a lungo.
Correte a vederlo!

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Mystery, thriller, fantascienza e spiagge assolate in mezzo all’oceano, non potevano esserci elementi migliori per godersi una bella serie nella torrida estate che abbiamo appena lasciato, elementi tutti presenti in “Summer Time Rendering”, anime in venticinque episodi, adattamento dell’omonimo manga di Yasuki Tanaka, andato in onda in Giappone tra luglio e ottobre 2022.

La storia è ambientata nell’immaginaria isola di Hitogashima (fortemente ispirata dal vero arcipelago di Tomogashima, gruppo di isole della prefettura in cui è nato l’autore del manga), archetipo di piccolo paradiso abitato da una piccola comunità dove tutti si conoscono e tutti sono, apparentemente, uniti. Di questa comunità fa parte, o faceva, Shinpei Ajiro, il protagonista della storia che, il giorno 22 luglio, sta proprio tornando sulla sua isola natale, che ha lasciato due anni prima, per motivi purtroppo tutt’altro che lieti; Shinpei ritorna infatti per partecipare al funerale della sua amica e sorella adottiva Ushio Kofune, recentemente morta in un incidente in mare, quando ha provato a salvare una bambina in difficoltà, rimanendo purtroppo coinvolta lei stessa. Durante la cerimonia funebre, però, strani comportamenti e strani avvenimenti insospettiscono Shinpei e la sorella minore di Ushio, Mio, facendo arrivare addirittura a dubitare ad entrambi che la stessa morte di Ushio sia stata effettivamente accidentale. L’indagine dei due però è destinata ad avere vita breve, visto che di lì a poco entrambi saranno sorpresi e uccisi da una figura misteriosa che ha il medesimo aspetto della stessa Mio. Ma quella che normalmente sarebbe un’amara fine in “Summer Time Rendering” diventa un nuovo inizio: Shinpei si risveglia infatti la mattina del 22 luglio in cui si stava recando sull’isola, ricordando quello che era successo dopo il funerale di Ushio, ma prima che gli eventi siano effettivamente accaduti.

Questo incipit di trama contiene di base tutti gli elementi citati sopra che caratterizzeranno da qui in poi la serie: la morte ambigua di Ushio, il grande mistero che sembra permeare gran parte della comunità di Hitogashima e l’abilità di Shinpei di sfruttare i suoi loop temporali per provare a districarlo, cercando di riportare meno danni possibili per lui e i suoi alleati. Ovviamente non posso dilungarmi sulla natura del segreto che nascondono l’isola e i suoi abitanti, del resto il pregio migliore di questa storia probabilmente è riuscire a capire cosa si nasconde davvero dietro le scomparse misteriose dei suoi abitanti e, soprattutto, cosa nascondono i personaggi che incroceremo e in che modo sono effettivamente coinvolti nella vicenda. Da questo punto di vista posso dire che “Summer Time Rendering” funziona benissimo, la curiosità sugli eventi è immediata, la costruzione degli episodi trasmette una tensione palpabile, il ritmo serrato della narrazione interrotto dai classici cliffhanger di fine episodio rende la visione entusiasmante e trasmette una grande voglia di continuare e capire effettivamente come sia andata. Dove la serie funziona di meno per me, invece, è quando questo velo di mistero comincia a sollevarsi e le varie, e necessarie, spiegazioni finiscono per sovrapporsi in una serie di eventi costantemente in bilico tra l’inverosimiglianza scenica e la forzatura pesante, che rischiano di erodere lentamente quella collinetta di interesse che comunque l’ambiguità e l’oscurità di fondo iniziali avevano contribuito a creare. Lo stesso finale della storia, che anche qui ovviamente non riporto per non fare un torto a chi l’anime avesse intenzione di vederlo, non mi ha convinto in buona parte della sua costruzione, perché mi sembrava che tradisse i contenuti e gli sforzi dei personaggi compiuti fino a quel momento; chiaramente questa resta una mia opinione passabile di critica, ma, se ci sono dei fattori che rendono il mio giudizio su “Summer Time Rendering” non così entusiasta come l’inizio poteva farmi sembrare, sono legati soprattutto alla scelta finale in sé per sé e a diversi momenti della storia legati ai loop temporali di Shinpei, argomento che, va detto, è tanto affascinante da guardare quanto difficile da gestire, che non mi hanno convinto a proseguire la visione senza dubbi di sorta, come la serie invece si prefiggeva che dovesse essere.

Non ho dubbi sull’elogiare il comparto tecnico della serie, invece, assolutamente di buon livello dall’inizio alla fine. Opera dello studio OLM (Oriental Light and Magic), studio dalla produzione solida che negli ultimi tempi annovera titoli famosi come “Komi Can’t Communicate” o il capolavoro “Odd Taxi”, “Summer Time Rendering” è un anime di buona fattura senza cali qualitativi di sorta, nonostante la produzione e trasmissione in due cour consecutivi tra primavera ed estate, scelta sempre più rara nelle frenetiche produzioni moderne, che spesso preferiscono spalmare una serie in stagioni non contigue, se non in anni diversi proprio. Il character design dei personaggi è affidato a Miki Matsumoto, che riesce tutto sommato a restituire la bellezza del tratto di Yasuki Tanaka, specialmente nei bei personaggi femminili; decisamente di rilievo il lavoro fatto nel ricreare le ambientazioni della serie con fondali che trasmettono la bellezza dell’isola di Hitogashima e una scelta di colori sempre azzeccata, tanto chiari e caldi nelle scenografie esterne quotidiane, quanto scuri e opprimenti nei momenti che lo richiedono. Tutto questo con animazioni convincenti anche nelle parti più concitate della storia, con al lavoro dietro la sapiente regia di Ayumu Watanabe, che in anni recenti si è fatto notare per aver diretto due lungometraggi che, a parer mio, sono dei veri gioielli animati (“I figli del mare” e “La fortuna di Nikuko”), curiosamente anch’essi di ambientazione marittima, luoghi che trova evidentemente di suo piacimento. Funzionale alla storia, anche se non particolarmente memorabile a mio modo di vedere (o sentire, in questo caso) è la colonna sonora di cui fanno parte anche quattro sigle, due di apertura e due di chiusura, che ho trovato invece molto intriganti e suggestive; inappuntabile il doppiaggio giapponese, sia quando affidato alla voce di artisti rodati come Natsuki Hanae (Tanjiro di “Demon Slayer” o Odokawa di “Odd Taxi”, per dirne due), a cui è affidato il protagonista Shinpei, sia quando è assegnato a due doppiatrici poco più che esordienti come Anna Nagase e Saho Shirasu, voci rispettivamente delle sorelle Ushio e Mio. A onor del vero ci sarebbe anche un doppiaggio italiano da apprezzare e, eventualmente, valutare, ma le pessime scelte di distribuzione della serie in streaming, affidate purtroppo universalmente a Disney+, ci hanno per ora impedito di ascoltarlo, visto che questo doppiaggio è sì disponibile, ma solo nelle regioni in cui la serie è già accessibile (tra le varie, Hong Kong, Malesia, Australia), e tra queste non rientra l’Italia. Insomma, sperando che arrivi un giorno in cui questa recensione risulterà datata e anche da noi sarà possibile godersi la visione di questa serie legalmente, come streaming a pagamento comanda, per ora non resta che elogiare quello che di bello “Summer Time Rendering” ha da offrire e di consigliarne la visione a chiunque sia amante delle storie misteriose con (pesanti) tocchi di fantascienza: sicuramente questa serie andrà incontro ai vostri gusti almeno negli sviluppi iniziali, poi sull’evoluzione finale si può anche discutere, e magari il bello di anime simili è anche questo.

6.5/10
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Ci sono mangaka in continua ricerca sperimentale, il cui corpus opere vanta i generi più disparati, da Osamu Tezuka a Jirō Taniguchi, ed altri invece che legano indissolubilmente la propria carriera ad una sola corrente specifica, dinamica piuttosto frequente quando si sposa lo stile orrorifico, Junji Itō ne è un chiaro esempio.

Hideshi Hino, uno dei massimi pionieri dell’horror manga insieme a Kazuo Umezu, rientra inevitabilmente nella categoria dei “monogami”.
Pur avendo spaziato con lavori minori dallo shōnen classico allo shōjo, Hino non si riconosceva in quei progetti su commissione nati per riempire i buchi delle varie riviste per cui lavorava, riuscendo a trovare la sua reale dimensione e la sua massima potenza espressiva soltanto all’interno dei racconti dell’orrore. Da sempre appassionato di fumetti, da bambino leggeva principalmente manga umoristici nutrendo un debole per Shigeru Sugiura, Hino era inizialmente intenzionato a mettere i suoi demoni su pellicola dopo esser rimasto folgorato dalla visione di “Harakiri” di Masaki Kobayashi, in seguito (con la carriera di mangaka già avviata) presterà la sua estrosa penna alla nona arte realizzando tre lungometraggi. A indirizzarlo definitivamente verso la nona arte furono sopratutto i lavori di Yoshiharu Tsuge, uno dei suoi massimi ispiratori, la cui poetica narrativa seppe illuminarlo sul percorso fumettistico da intraprendere, riconoscendo nel manga la sua vocazione. La sua semantica può per certi versi richiamare Tod Browning negli elogi al diverso, nel fornire quel punto di vista distante e distaccato dall'immaginario comune che ha reso celebri diversi artisti usciti dalla rivista Garo, tra cui Sanpei Shirato, Suehiro Maruo, Yoshiharu Tsuge appunto, Yoshihiro Tatsumi, Shigeru Mizuki e Usamaru Furuya.

“Bug Boy” è la storia di Sanpei, un ragazzo con un’indomita passione per gli insetti che, a causa di questo suo feticismo, viene deriso ed emarginato dai compagni di scuola. A casa i genitori non fanno altro che umiliarlo paragonandolo ai suoi fratelli, rimarcandogli costantemente la sua goffagine e il suo scarso rendimento scolastico. Sanpei trova un po’ di sollievo soltanto in un rifugio che pullula di insetti, un nascondiglio diroccato che ha amorevolmente costruito per i suoi animaletti. Dopo essere stato punto da una strano insetto rosso vermiglio, Sanpei inizia a tumefarsi, liquefacendosi fino a trasformarsi in un ripugnante verme assetato di sangue.

I manga di Hideshi Hino sono un turbinio sanguinolento di morte e disperazione, composti da truculenza e body horror, espliciti tanto nelle immagini cruente che rasentano lo splatter, quanto nei contenuti disturbanti che lasciano poco spazio all’immaginazione, con un stile che ricorda il primo Dario Argento, a differenza della corrente di Junji Itō, che invece si rifa al “vedo e non vedo” hitchockiano, facendo del mistero e del terrore psicologico i suoi punti di forza.
Che Hino amasse citare ed omaggiare non era certo un segreto: la sua prima opera lunga “Inferno del domani” richiamava nel titolo l’opera più in voga del periodo: “Ashita no Joe” (“Joe del domani”), famoso in Italia col titolo di “Rocky Joe”.
In “Bug Boy” le reference sono molteplici, le due che balzano immediatamente all'occhio sono sicuramente “La metamorfosi” di Franz Kafka e “Kitaro dei cimiteri” di Shigeru Mizuki, specie nell'emarginazione del protagonista, con qualche reminiscenza anche del William Burroughs de “Il pasto nudo”, che a sua volta si rifaceva alla scuola kafkiana. Abbondante l’uso della voce narrante, che col tempo la vedremo ricorrente nelle opere di Hino, diventando una della componenti principali della cifra stilistica dell’autore.

I disegni, oltre a risultare attempati, (l’opera è del 1982 e già all'epoca non risultava avanguardistica in termini di puro impatto visivo), soffrono di una natura caricaturale figlia del passato dell’autore da disegnatore di strisce umoristiche e demenziali, e non sempre si confanno alle atmosfere orrorifiche del racconto. Inoltre si riscontra qualche problema di prospettiva, specie nella rappresentazione insettoide del protagonista, le cui dimensioni variano di continuo: a volte viene raffigurato poco più grande di un piatto, altre volte ben più lungo di un essere umano adulto.

“Dokumushi Kozou” è nella sua natura anticonvenzionale al tempo stesso una storia di vendetta circolare e classica nello sviluppo. La trasformazione di Sanpei rappresenta la natura che si ribella al genere umano e il mostro creato dall’uomo, ma anche e sopratutto il Giappone che, menomato dalla seconda guerra mondiale, striscia a lungo prima di potersi rialzare, trasformato e inficiato dall'efferatezza del più famoso dei conflitti, il tema del bombardamento atomico è molto caro all’autore come vedremo nel suo magnum opus “Visione d’inferno”.
“Bug boy” è un piccolo classico per gli amanti del genere, che nel suo omaggiare reinterpreta senza però reinventare, declinando a fumetti la letteratura kakfiana con uno stampo tipicamente giapponese.
Seppur strutturalmente acerba e rudimentale risulta una delle opere che ha fatto da testa d’ariete alla poetica espressiva di Hideshi Hino, spianando la strada anche agli autori che lo succederanno, trovando nel tracciato scarlatto lasciato dal sensei un percorso da seguire.