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9.0/10
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Sono arrivato impreparato di fronte a questo titolo. Forse è proprio per tale ragione che ne sono rimasto gelato, anzi, scottato; è una di quelle ustioni che non sbiadiscono con il tempo e con cui finisci per simpatizzare.
"Ergo (Proxy)": da dove iniziare?
«Caro m'è 'l sonno, e più l'esser di sasso, Mentre che 'l danno e la vergogna dura: Non veder, non sentir, m'è gran ventura; Però non mi destar, deh! parla basso».
Insomma, per parlare del grande disegno che è l'opera ci si deve posizionare allo stesso modo. Quindi (anzi, 'ergo') vi chiedo di scusarmi in anticipo se ne parlerò ma allo stesso tempo non lo farò.

Veniamo catapultati in uno scenario post-apocalittico, in un vortice che lascia girare su se stessi temi già visti - quali la caducità della mente umana e della dimenticanza ("È un dogma - io sono me stesso e non qualcun altro"), un'apocalisse figurata, il rapporto tra uomo e macchine - ma che, elegantemente, trasforma quei semplici giri in curve raffinate e deliziose fino a trasportarti all'interno del vortice stesso (e, quasi, a farti girare la testa).
Un ambiente grigio, muto e (im)perfetto - in cui la tecnologia scandisce e regola la vita dell'uomo - accompagna un'atmosfera silente e cupa: in questa dimensione, che altro non è che un lungo viaggio (metaforico e non), i protagonisti si muovono costruendosi a vicenda. Più semplicemente, una falsa utopia.

Un uomo che ha smarrito la strada, una macchina che l'ha (ri)trovata e una donna che la cerca sono rispettivamente i personaggi che muovono le corde del sipario: Vincent, la cui memoria è andata perduta, o Pino che lancia il seme del dubbio a ogni spettatore (vita, anima, pensiero - 'cogito') o ancora Re-L (realtà - 'real') fanno parte di un'unica universale fatalità. Interponendosi tra trama e spettatore essi passano attraverso un compendio di assoluta finezza, un citazionismo pronunciato e spesso, lasciando emergere poesie del XX secolo (dei versi di Joë Bousquet) o accostamenti reali quali la città di Moscow (Mosca); e questi per citarne alcuni poiché spaziano dall'architettura ai film, dall'arte alla religione. Ci viene dunque propinato un sapere che è tutt'altro che nozionistico o di facciata, ma che anzi porta lo spettatore a un atteggiamento critico, di dubbio, deliziandolo sulla scia di citazioni indirizzate ai palati più delicati e pretenziosi.

Lo studio Manglobe ha evidentemente posizionato "Ergo Proxy" sulla giusta rampa di lancio: già gettando luce sui nomi e i titoli che gravitano intorno all'anime - "Cowboy Bebop", "Samurai Champloo", "Ghost in the Shell: Stand Alone Complex" - s'intraprende la visione con la sicurezza di incontrare un titolo di un certo spessore.

Il lato tecnico, a differenza del complesso pensiero e dello stesso citazionismo alla base della serie, si lascia leggere e analizzare più semplicemente.
Il reparto grafico propone uno stile lineare, poco dettagliato se non in casi sporadici, il quale cede di fronte a una probabile mancanza di budget (vedi animazioni macchinose e tratti imprecisi) nonostante porti all'espressione più alta le scene di maggiore tensione. Il reparto sonoro è prevalentemente assente al fine unico di conferire un tono cadenzale e cupo; il doppiaggio è squisito. Degne di nota sono anche le sigle, entrambe di sofisticata bellezza.

In conclusione Ergo Proxy è un titolo che si distacca ed eleva da ogni stereotipo, che assume un'identità elaborata, tanto profonda quanto ricercata; una serie specchio della (proiezione della) nostra società nelle proprie (im)perfezioni. Insomma, un tentativo riuscito ancora prima della propria creazione.

"Real one to foresee for one".