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Penso a Full Moon Wo Sagashite con la nostalgia tipica di una lettura giovanile che riporti a galla tanti ricordi e il profumo leggero e fragrante di una primavera appena sbocciata. Con il senno di poi, dato principalmente da una rilettura più accurata e attenta e la conoscenza di shojo altrettanto e/o sicuramente più validi ed esaustivi, posso affermare che abbia perso in parte la fresca bellezza che gli avevo attribuito nei miei primi e timidi approcci al mondo dei manga anni fa. Saltano ora all’occhio le pecche di quello che con una cura maggiore avrebbe potuto essere senza esitazione o dubbio un’opera decisamente migliore.

Ciò che contesto non sono tanto la grafica né i disegni in sé, dato che entrambi come ho potuto constatare sono caratteristiche peculiari del tratto dell’autrice, quanto la poca precisione nella trama che, prestando poco interesse o concentrazione, può diventare un guazzabuglio di idee e archetipi che si confondono tra loro.
Ho storto un po’ il naso sfogliando nuovamente le pagine ed incappando in quegli sfondi a fiori e cuoricini che tanto mi erano sembrati sfiziosi all’epoca, e ho stentato a ricordarmi dei vari personaggi o a riconoscerli dati i lineamenti praticamente identici, ma non ho potuto fare a meno, nonostante la mia ritrosia, di essere ancora una volta affascinata dall’idea, il sogno astratto e generale che lega i protagonisti, l’illusione che pervade ogni singola scena, un trucco che inganna i sensi e produce deliziose allucinazioni.

La Luna piena, languida ed immensa riflessa nei grandi e ingenui occhi della protagonista Mitsuki (che significa appunto luna piena), diventa scenografia perfetta in questo intreccio di magia, mistero e amore e le antiche credenze ad essa collegate trovano riscontro in parte se non nella delicata e caliginosa patina di nebbia che sembra quasi avvolgere ogni cosa nell’oscurità appena accennata.
Ripeto che a mio avviso gli argomenti non vengano trattati in modo scrupoloso, ma è innegabile l’incanto che questo manga riesca ad operare sul lettore, in gran parte smorzato da alcune forzature che ne hanno guastato il contenuto di potenziale medio alto.
La scelta della nonna di non voler più avere nessun tipo di rapporto con qualsiasi forma o genere di musica dal momento che è stata questa a strapparle l’amata figlia, la professione di medico Keiichi Wakaoji con ciò che si è lasciato alle spalle, e la non casuale assegnazione degli Shinigami Takuto e Meroko alla giovane protagonista, affetta da un cancro alla gola, il cui sogno è proprio quello di poter cantare liberamente.
L’originalità non credo sia il punto forte di Full Moon, ma nemmeno un elemento che giochi a suo svantaggio. Credo sia stata proprio questa “mancanza” infatti che abbia spronato e spinto l’autrice a dare il massimo, a cercare di rendere tali contenuti nel modo migliore possibile e a riempire i buchi con altri aspetti. Sforzi più che apprezzati che hanno ottenuto effetti e risultati insperati. I caratteri ben definiti dei personaggi e le loro personalità spiccano ognuna in modo diverso e particolare, il singolo individuo arriva a prevalere sul generico in ogni occasione, anche sulla stessa trama incorrendo in ogni rischio e pericolo, anche a costo di appesantirla con flashback, cosa che invero non accade.

Una nota stonata in questa canzone d’amore l’ho trovata solo nel rapporto di Mitsuki con l’amico d’infanzia Eichi. Il loro “amore” rappresenta uno dei temi portanti dell’intero manga e ho trovato fosse accentuato in modo esagerato, marcato ed evidenziato fin troppo data la giovanissima età dei due innamorati, ma riflettendo e ritornando sulle pagine con maggiore calma mi sono accorta di quanto i toni delicati e i tocchi soffici della mangaka servano a frantumare questa pesantezza enfatica su un affetto ingenuo ed innocente, bambinesco, che nulla ha davvero a che vedere o spartire con l’amore. Si crea un ambiente morbido e soffuso, aggraziato e gentile che entusiasma e avvince. Un puro canto d’amore che risuona nei cuori di chi legge e di chi presta orecchio per ascoltarlo, una nenia per nulla triste che conclude e fa da inizio. Il premio del lieto fine.