Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Probabilmente “Oshibudo” non passerà alla storia come una serie particolarmente rilevante, ma, a livello personale almeno, potrò assegnargli sempre un merito importante che solo “Zombie Land Saga”, grazie però alla sua forte vocazione comica, era riuscita ad avere: farmi guardare un’intera serie incentrata (anche) su un gruppo di idol. Dico anche, perché l’anime non si concentra solo sulla carriera e sulle esibizioni delle idol protagoniste, una figura della cultura popolare giapponese che presa a sé proprio non riesco a sopportare, ma pone anche attenzione sui wotaku che le supportano, sfruttando l’amore verso una di esse della protagonista principale.

“Oshibudo” (il cui titolo completo è “Oshi ga Budōkan Itte Kuretara Shinu”, ovvero “Se la mia idol preferita arrivasse al Budokan, morirei”) infatti è la storia di Eripiyo, giovane donna giapponese che, folgorata da un piccolo concerto organizzato dal gruppo di idol locali delle ChamJam, decide praticamente di votare la sua vita a una delle componenti di quel gruppo, Maina, arrivando a sovvenzionare le attività del gruppo con tutto quello che guadagna dai suoi lavoretti part-time. Grazie al suo amore incondizionato per Maina nessuno sforzo sembra troppo per lei, tanto che il suo sogno diventa riuscire a sostenerla, sia a livello economico che morale, fino a farla arrivare ad esibirsi al Budokan, un palazzetto multifunzionale nato in occasione dei Giochi Olimpici di Tokyo del 1964 e diventato col tempo teatro di grandi esibizioni musicali.

Quello che sembra un rapporto votivo a carico di una sola parte però si rivela ben presto un reciproco, e ironicamente tormentato, sentimento d’amore. La piccola Maina infatti non gode di grande seguito tra i supporter delle ChamJam, tanto che Eripiyo si rivela l’unica a sostenerla e a credere in lei per una futura carriera più brillante di quella che sta vivendo, e ciò non passa inosservato, tanto che anche la giovane idol si infatua ben preso della sua assidua ammiratrice. Grazie a questo espediente la serie finisce per dipanarsi grossomodo lungo tre percorsi principali: quello musicale, sicuramente battuto meno ma presente ed esaltato nei momenti topici da un ottimo comparto tecnico, quello sentimentale, espresso non solo nel rapporto tra Eripiyo e Maina ma anche tra gli altri wotaku con le rispettive idol e nello stesso gruppo delle ChamJam, e quello squisitamente comico legato all’insana affezione che Eripiyo e compagni vivono nei confronti delle ChamJam. Quest’elemento è sicuramente quello che mi ha convinto di più e di conseguenza coinvolto maggiormente nella visione; dalle attese interminabili sotto un sole cocente fino ai viaggi intrapresi con giorni d’anticipo per anticipare tutti gli altri, passando per il prosciugamento totale delle proprie finanze sovvenzionando ogni iniziativa commerciale del gruppo, niente rappresenta un ostacolo troppo grande per i nostri fan più accaniti a cui bastano un concerto e pochi secondi durante una stretta di mano con la propria idol per vivere una vita felice e appagata. Con tutte le forzature del caso che, da ignorante di questo universo, immagino ci siano, non nascondo che il risultato finale è un mix tra divertimento e disagio che, grazie anche alle simpatiche caratterizzazione di Eripiyo e dei suoi amici, sicuramente funziona. Non ho la stessa opinione invece nei confronti del lato sentimentale della serie, che viene sempre affrontato in maniera marginale e finanche troppo ingenua, grazie soprattutto alle caratterizzazioni delle ChamJam, presentate in maniera così pura e candida, roba che neanche il loro più accanito ammiratore potrebbe immaginarlo, da risultare quasi fastidiose. A parziale scusante di ciò però va detto che quest’anime è una trasposizione di un manga ancora in corso, per cui è immaginabile che, con l’avanzare della storia, anche le questioni di cuore possano ricevere la giusta attenzione che meritano e che in questa serie animata ho ritrovato in maniera troppo parziale. Nulla da dire sulla componente musicale invece, che probabilmente rientra nei canoni del genere, ma alla quale io ero completamente disinteressato.

Degno di interesse è invece il comparto grafico dell’anime, che si pone sicuramente sopra alla media delle produzioni stagionali. Opera dello studio Eight Bit, “Oshibudo” è una trasposizione in dodici episodi del manga originale di Auri Hirao estremamente gradevole da vedere grazie all’ottimo lavoro messo in atto da tutti quelli che ci hanno messo mano. Il character design di Tomoyuki Shitaya e Masaru Yonezawa, per esempio, è una rielaborazione piacevolissima del tratto originale della mangaka, che ci presenta dei personaggi femminili molto carini e adatti a tutti i palati, che si muovono in uno scenario urbano curato nei minimi dettagli, con diversi splendidi fondali, di ambientazione sempre cittadina, ad esaltarlo nelle occasioni più varie. Oltre ai bei personaggi è giusto segnalare anche la precisa regia di Yūsuke Yamamoto, messa in risalto soprattutto nelle esibizioni del gruppo animate con grande dovizia, e il color design di Yukari Fujiki, l’elemento che più salta all’occhio, vista l’abbondanza di colori tenui e delicati che permeano la scena. Per quanto riguarda la componente sonora della serie invece, più che le musiche di Moe Hyūga, in linea col genere musicale richiesto ma decisamente lontano dai miei gusti, mi ha colpito il doppiaggio giapponese veramente azzeccato e calzante su ogni personaggio, dove spicca la prestazione eccezionale di Ai Fairouz, giovane seiyū egizio-giapponese che ha esordito appena un anno fa nel 2019, nei panni della lunatica e stravagante Eripiyo, personaggio capace di generare grandissima energia fino a cadere nell’apatia più totale a seconda del momento. Molto carine le due sigle della serie, che sia nella parte musicale che in quella video mettono in risalto l’aspetto più romantico di “Oshibudo”, più di quanto faccia lo stesso anime onestamente; l’opening è cantata, ça va sans dire, dalle doppiatrici delle idol sotto il nome del gruppo delle ChamJam e si intitola “Clover Wish”, mentre l’ending, una cover della hit del 2002 “Momoiro Kataomoi” di Aya Matsuura, è cantata dall’impeccabile, anche in chiave canora, Ai Fairouz.

Disponibile ufficialmente in Italia sin dalla sua prima trasmissione, grazie a Yamato Video che l’ha pubblicato in simulcast sul suo canale Youtube, “Oshibudo” rappresenta quindi una buona occasione per chi vuole provare ad espandere i propri orizzonti animati verso tipologie di anime che non apprezza o non ritiene quantomeno nelle proprie corde; la sua commistione di generi non potrà dirsi riuscita al cento per cento, ma è riuscita comunque a convincere anche un grande scettico come me dell’universo artefatto e ingannevole delle idol a dargli un’occasione, e non dubito che possa riuscire a farlo nuovamente con chi vorrà dargli fiducia. Situazioni paradossali, momenti divertenti, personaggi simpaticissimi e un’ottima resa grafica, quantomeno, non mancheranno.

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Il tema fondamentale di «Full Moon» è uno soltanto: la morte, e in particolar modo, il suicidio.
Nonostante si tratti, stando alla trama sulla carta, dell'avventura di una ragazza nel mondo della musica, in realtà la carriera di Mitsuki come idol non è altro che un gigantesco MacGuffin. La musica è di primaria importanza nella storia per il semplice fatto che le vite di parte dei personaggi principali ruotano attorno ad essa, e che tramite essa molti di loro si sono conosciuti o ritrovati.

La figura più importante di tutta la storia sono certamente gli Shinigami, i Messaggeri di Morte, condannati ad assolvere a questo ruolo in quanto, quando erano ancora in vita, hanno scelto di suicidarsi. Qual è la natura del loro destino, una condanna eterna o una missione? Che cosa può aver spinto delle persone tanto solari e sbarazzine (non mancano infatti molti siparietti comici di cui gli Shinigami sono principali attori) a compiere un atto tanto estremo? Si tratta di un atto da condannare, o da comprendere umanamente? E, tutte queste domande hanno una risposta? In realtà, no: hanno solo le risposte soggettive che i protagonisti ci mettono di fronte nel corso della storia. E questo ci dovrà bastare, perché fornire delle risposte assolute è l'ultima cosa che Arina Tanemura si proporrebbe mai di fare. Non mancano colpi di scena e ombre anche sulle persone più solari, a partire dalla stessa Mitsuki che nasconde svariati dettagli, soprattutto sui suoi sentimenti più profondi.

Il tratto della sensei è assolutamente fantastico e, almeno per quanto riguarda le figure femminili (ed Eichi), differente da qualsiasi altro fumetto da lei prodotto: nelle opere precedenti i tratti sono più spigolosi, nelle successive saranno più curati nei dettagli ma, come dire? Meno armoniosi, meno delicati. E' forse per questo che i personaggi femminili (... ed Eichi) di questa serie sono particolarmente originali ed esteticamente differenti da qualunque altro personaggio creato dalla Tanemura.
Tra tutti i personaggi maschili creati dalla sensei, inoltre, Takuto ed Eichi sono tra i meglio caratterizzati (insieme forse al presidente del consiglio studentesco in «The Gentlemen's Alliance Cross»): è pur vero che, come solitamente avviene per gli eroi maschili di Arina Tanemura, anche loro si riflettono nell'eroina femminile. Ma il background che li contraddistingue è forte e ben approfondito, al punto che finiscono quasi per diventare loro i veri protagonisti, più che la stessa Mitsuki.

Perché dunque un 9 e non un 10...? A differenza di quanto avviene in KKJ, in «Full Moon» ho trovato la costruzione dell'universo, svelata negli ultimi volumi, parzialmente incompleta e quindi non del tutto soddisfacente. Qual è l'origine della Maestra di Morte, quali le motivazioni delle sue decisioni? Quali sono le motivazioni di fondo alla base delle scelte che portano al colpo di scena finale? Sono punti non chiari e, mentre lasciare in sospeso le questioni filosofiche trovo che sia un punto di forza, lasciare in sospeso la lore del mondo crea un senso di latente insoddisfazione.
Non grave, in ogni caso, da intaccare la grande profondità e intensità di questa storia, che è sicuramente da annoverare tra gli shoujo migliori che io abbia mai letto.

5.5/10
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"Love Rice" è un anime in dodici episodi da quattro minuti circa ciascuno, incentrato sulla lotta di un gruppo di liceali per riportare in auge il riso. È una questione di sopravvivenza: i personaggi sono tutti personificazioni di un tipo di riso e la loro scuola, l’Accademia Spighe di Riso, è sull’orlo del fallimento.

Cosa dire, cosa dire? Partiamo dalla mancanza di opening e ending, cosa che in episodi così brevi non può che essere un bene. La musica e il doppiaggio originali sono senza infamia e senza lode, coerenti con ciò che si vede.

I personaggi principali non sono bellissimi, con questi menti appuntiti e i capelli improbabili, ho trovato migliori gli antagonisti (il frumento), ma probabilmente sono prevenuta, perché personalmente preferisco il pane, con buona pace del riso. Piuttosto, pare di capire che i personaggi principali siano tutti maschi, anche se di alcuni si potrebbe dubitare. E mi ha disturbato un po' il fatto che le poche parti femminili, a parte Lievito Madre, siano riservate a fan sciocchine che sbavano dietro ai panini gridando "Tostami!"

La situazione è decisamente assurda: c’è in vista il Festival annuale del Raccolto, dove vari gruppi di idol si danno battaglia per presentare al meglio il proprio prodotto. Alla fine saranno ottantotto, ma noi ne seguiamo soltanto due: Love Rice e Yeast King. I cosiddetti spettacoli delle due fazioni sono assolutamente risibili (pun not intended) e si assiste a una serie di ‘trashate’ terribili che lasciano a bocca spalancata, tipo maxi-onigiri che inseguono i ragazzi per le vie cittadine o furgoni a forma di testa guidati da cani.

Ritengo che il genere demenziale debba essere preso così com’è: se sai che non è una cosa seria, è inutile lamentarsi del fatto che non lo sia. Invece, purtroppo l’anime è funestato da un problema di fondo difficilmente risolvibile: le battute a tema riso. Probabilmente in giapponese avevano una resa diversa, giocoforza in sede di traduzione si è cercato di fare del proprio meglio, ma il risultato è a volte mediocre.

Tuttavia, per dirla con il protagonista, non bisogna perdere il sor-riso. Complici la durata brevissima degli episodi e il fatto che ogni tanto scappi qualche risata, non dimenticando l’effetto “Ma fanno sul serio?”, si arriva alla fine dei dodici episodi col sorriso sulle labbra, pronti a continuare con la seconda serie.

Non sarà il massimo, è pieno di difetti, assurdità, ‘trashate’ inconcepibili, ma... a tratti diverte proprio perché è fuori di testa. Se siete di bocca buona, ve lo consiglio per un'ora di divertimento tranquillo e senza pretese. Diciamo un 6 politico? No, facciamo 5,5 di incoraggiamento: dovevi impegnarti di più.