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8.0/10
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La vendetta è un piatto che va servito freddo.
E se l'attesa si protraesse per ben dieci anni, quale tipo di sentimento vendicativo potrebbe scaturirne?
E soprattutto con quanta forza e irruenza si scatenerebbe sugli attori della macchinazione?
Ma la vendetta, come insegna un celeberrimo film, non è mai una strada dritta. È una foresta. E in una foresta è facile smarrirsi. Non sai dove sei, né da dove sei partito.
Rinchiuso per dieci anni in una prigione senza alcun apparente motivo, Goto viene improvvisamente liberato. Ma nemmeno il tempo di riassaporare la vita da uomo libero che Goto si ritrova a indagare su chi lo abbia imprigionato e per quale motivo.
Va da se che il passo successivo alla scoperta del mandante della sua reclusione forzata consisterà nello scatenarsi della vendetta da parte di Goto.
Dieci anni, centoventi mesi, tremilaseicentocinquanta giorni...perché?
Qual è stato il fattore capace di scatenare un rancore tanto vivido e folle? La foresta di ipotesi, binari morti e soffiate che Goto si ritrova a districare per comprendere il complicato dilemma prende le mosse di una affascinante partita di scacchi tra lui medesimo e il suo persecutore. E quella che all'inizio pare una vendetta in direzione lineare si rivela essere ben presto un doppio sentimento vendicativo, complicando qualsiasi possibile soluzione ipotizzata dal lettore.
Solo che ci sono altre pedine oltre Goto e la sua nemesi: la dolce e inconsapevole Eri, l'ambiguo e sfuggente Dojima, la conturbante Suzanne, la maestra Kusama, il gioviale Tsukamoto. Tutti pedine perlopiù inconsapevoli di quello che pian piano si va definendo come un vero e proprio gioco. Ed è affascinante comprendere come la componente fondamentale di questa vendetta sia ludica. Tragedia e gioco, due assoluti apparentemente impenetrabili tra loro, vengono in quest'opera unificati.
La partita a scacchi, frutto di mosse azzardate, ritorno sui passi precedenti e finte, procede coerentemente sino al climax finale purtroppo troppo rapido e troppo poco approfondito - tra le poche pecche dell'opera.
Ma passiamo ai punti forti: sicuramente la caratterizzazione dei personaggi. Se attori come Tsukamoto ed Erin vengono lasciati volutamente poco definiti per la loro incidenza marginale ai fini della trama, non si può dire così di Goto, di K. e di Kusama per i quali l'esplorazione delle rispettive interiorità raggiunge una profondità quasi maniacale. Menzione particolare per K., forse il vero protagonista della serie: l'acme dell'opera viene infatti raggiunto proprio durante il suo flusso di coscienza, tramite cui si arriva alla soluzione (seppur parziale) del caso.
Grazie all'utilizzo magistrale del flusso di coscienza e di scambi serrati di battute seguiti da numerose tavole "nuff said" l'autore mantiene ben alti i livelli di tensione e la caratura drammatica dei dialoghi, oltre che a semplificare notevolmente lo scorrere della trama, rendendo l'opera godibilissima e facile nella fruizione.
Eccezionali, per la parte grafica, le tavole che evocano nostalgicamente gli spleen notturni di una Tokyo ebbra, misteriosa, ubriaca di sentimenti. Il lettore non può resistere a questa forza evocativa e giocoforza ne risulta, affascinato, ammaliato, inevitabilmente attratto. Tale è appunto il livello di coinvolgimento sia spaziale sia umano.
Connubio felice tra sceneggiatura e grafica, "Old Boy" è una delle opere hard boiled da non perdere per gli amanti del genere. Consigliatissima sopratutto per la nuova edizione da cinque volumi che la Jpop ha da poco ultimato con un ottimo rapporto qualità-prezzo.