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5.0/10
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Naruto, Naruto, Naruto... Parlarne è come fare la parte del genitore nei confronti di un ragazzino che, impegnandosi, potrebbe arrivare ovunque lui voglia, ma che per superficialità e pigrizia decide di accontentarsi e non puntare troppo in alto. In questo caso, il lavoro più famoso di Masashi Kishimoto deve rinchiudersi nel passato, non gli è più concessa possibilità alcuna di redimersi e provare a essere quello che sarebbe potuto diventare e che, invece, non è stato.

Una sfilza di condizionali, di "se", di "ma". Sarebbe bello se Naruto potesse ancora essere quel dodicenne infantile ma dalla testa dura, capace di superare la sue paure per raggiungere quel sogno a cui nessuno crede possa ambire: diventare Hokage, il capo supremo dei ninja del Villaggio della Foglia. Vederlo crescere, affrontare le avversità sentendo il peso della sua diversità; le sue relazioni con i compagni sempre in bilico fra l'amicizia, la rivalità e il disprezzo.

Si potrebbe pescare a caso da uno dei primi trenta volumi della serie per trovare qualcosa di bello e magnificamente raccontato: la prima missione del Team 7, le prove estenuanti dell'esame di selezione dei Chunin (la crescita di Sakura e Ino, la ribellione di Hinata, la capacità di rialzarsi di Lee nonostante sia in stato d'incoscienza, solo per via della forza di volontà...), l'ambigua figura di Orochimaru, la speranza di Tsunade, il cambiamento di Gaara e di Sasuke... Quanto ancora si potrebbe narrare!

Ciascun personaggio è dipinto in modo diverso, ogni pennellata non fa altro che donare tocchi di colore in più a figure disegnate sì in modo semplice (Kishimoto non è sicuramente uno dei tratti migliori dello shounen odierno), ma che acquistano profondità a ogni dialogo e flashback. Sono veri, sono vivi, le loro delusioni e i loro desideri sono tangibili e sembra quasi impossibile non fare il tifo per i preferiti, con il desiderio di poterli vedere arrivare a toccare con mano il loro obiettivo.

Quante promesse e aspettative ridotte a brandelli, poco dopo l'inizio del cosiddetto "Shippuden", il periodo con cui nell'anime s'indica l'inizio della seconda parte di Naruto, quella dopo i due anni di allenamento con Jiraiya. Questa stessa distinzione si adatta tristemente anche alla controparte cartacea, le cui premesse appaiono un opaco ricordo, coperto dalla superficialità di una trama evanescente e da personaggi ridotti a macchiette (soprattutto i comprimari). Essi spariscono di fronte alla prorompente trama degli Uchiha, ormai protagonisti di fianco a Naruto, come se fossero delle attrici in attesa che la stella dello spettacolo si ammali per poterne prendere il posto. Un esempio lampante potrebbe essere il ruolo di Sasuke, che subisce continui e conflittuali cambiamenti, i quali occupano interi capitoli per combattimenti perlopiù a senso unico e di scarso approfondimento psicologico. Non sarà mai chiaro che cosa realmente gli passi per la testa, quale sarà, tirando le somme, la sua reale partecipazione all'interno della trama principale del manga: i suoi movimenti sono paralleli a quelli di Naruto, eppure non ci sarà mai un collegamento che fondi chiaramente il perché delle sue azioni. Un discorso simile potrebbe adeguarsi anche a Itachi che, pur apparendo per pochi capitoli, risulta indecifrabile ma fondamentale, un controsenso che non abbandonerà mai la sua figura. Sarebbe stato quasi meglio che fosse un "banale" pazzo psicopatico, anziché un personaggio così "indefinito".

Trama e sceneggiatura vengono anch'esse trascinate nella semplificazione più assoluta: occasioni per spiegare il mondo di Naruto capiteranno a più riprese, ma verranno colte solamente negli ultimi capitoli, in maniera troppo rapida e superficiale. I dialoghi affrettati con cui si scopre la mitologia di Naruto, vanno in forte contraddizione con precedenti dichiarazioni date dall'autore per bocca dei suoi personaggi (per esempio: la storia delle abilità oculari, il modo in cui funzionano e le loro effettive capacità). A quale versione di queste storie dovrebbe credere il lettore? A quella data prima dello Shippuden? O a quelle sciorinate da Kishimoto negli ultimi cento capitoli del manga?
Simili buchi nella trama manifestano una confusione propria dell'autore che si trasmette alla sua opera.

L'ultimo capitolo, infine, sembra dare la definitiva soddisfazione a tutti quei fan bramosi di un lieto fine zuccheroso. La congettura che Kishimoto abbia scritto le ultime gesta di Naruto più per rendere felici i lettori che per coerenza con le sue idee iniziali, trova purtroppo terreno fertile, avvalorato da una conclusione politicamente corretta.

Per citare uno dei pochi personaggi capaci di emergere anche nella seconda parte: "Il valore di un ninja non viene deciso da come è stato in grado di vivere la sua vita, ma da quello che è riuscito a fare prima di andarsene".
Naruto ha vissuto periodi travagliati e si è spento in un lampo dal sapore dolce amaro. Il dubbio di sapere cosa sarebbe potuto essere continuerà a tormentare i lettori insoddisfatti e la sua fine sparirà presto nel dimenticatoio delle opere mediocri.

Cinque per le aspettative illuse e deluse.