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Sono passate alla storia, e tutti noi "del settore" le conosciamo e le ricordiamo tristemente bene, le parole che Hayao Miyazaki ha indirizzato all'industria dell'intrattenimento giapponese: l'invettiva del regista non ha lasciato scampo al settore, sostenendo una crisi qualitativa che senza scampo porterà a breve ad una morte ampiamente anticipata. Il reale bersaglio delle parole del regista non era di per se' l'ambiente, quanto l'audit della moderna industria dell'animazione e le scelte commerciali che portano a preferire un prodotto rispetto ad un altro. Scelte che portano autori e produttori a preferire la banalità odierna invece della ricercatezza anni '90, la faciloneria invece dell'introspezione, la conformità rispetto all'originalità, la piattezza al posto dell'emozione. Scelte dettate da lettori e spettatori più attratti dalla grafica che dalla sostanza, dal fanservice che non dal contenuto.
Seppur non abbia fatto nomi e cognomi specifici, non è difficile realizzare che Miyazaki si riferisse a prodotti come "Food Wars", nati con l'unico intento di soddisfare le masse con il minor dispiegamento possibile di energie.

"Food Wars" è il classico shonen "a power-up": al protagonista si interfaccia un ostacolo, questo lo supera con il suo carisma e le sue innate doti che migliorano giorno dopo giorno, e lui se la ride tranquillo e beato fino al prossimo, scontatissimo, ostacolo. Un loop senza fine che permette al suo creatore di lavorare senza troppi patemi, senza dover pensare a sconvolgimenti particolari nelle vicende del suo eroe; un loop che può andare avanti a piacimento, tanto che ce vole a riproporre per l'ennesima volta la stessa tiritera dell'ostacolo?
A questo va però aggiunta la nota di colore: la cucina. Non ci si accontenta più di attirare con il banale meccanismo sopra descritto o con qualche sconcezza che comunque piace sempre a tutti, emulando i cinepanettoni nostrani che per quanto pessimi e triti inspiegabilmente attirano sempre l'asino ed il boia a fare incassi record Natale dopo Natale. Stavolta non si va per il sottile, e si sfrutta l'oppio dei popoli moderno, la cucina, che tra show, serial, recital, social, talent e limortaccivostra attira la qualunque, dal pischello alla vecchiaccia.

Insomma, una tattica a più livelli che, come dicevo, mira con il minimo sforzo ad avere la massima resa: meccanismi consolidati, passioni comuni, ed il gioco è fatto. Più fanservice di così si muore, e dubito che ci si possa riuscire.

Non credo ci sia necessità di inoltrarsi oltre in una recensione. "Food Wars" è ne' più ne' meno come qualsiasi altro shonen, cambia giusto giusto la struttura di base che prevede la cucina invece delle arti marziali, del ninjitsu, della pirateria, dei supereroi. Al cinquantesimo capitolo dormi, al centesimo svieni, al centoventesimo hai attacchi epilettici e la schiuma alla bocca. Vicende diventate ormai consuete ripetute decine e decine di volte, personaggi che o sono impalpabili, oppure sono semplicemente fantoccetti di pezza analoghi a quelli che troviamo ovunque, protagonista scontato, comicità banale, comparto emotivo sbiadito ed annacquato. Davvero nulla degno di nota, nulla di pregevole.
Piacerà, per i motivi di cui ho parlato precedentemente, ma sinceramente non capisco come possa avere ugualmente tanto richiamo. Tra banalità, frasi fatte, sceneggiate da soap opera e cretinate varie si rischia di avere necessità di un trapianto di cornee e di cervello