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Sarò franco fin dall’inizio, “Natsu e no Tobira” è un film dimenticabile nella riuscita, apprezzabile per le intenzioni, da vedere per l’aspetto pionieristico, visto che è l’adattamento di uno dei primi manga shoujo che introduceva, seppur timidamente, la tematica dell’amore omosessuale tra ragazzi; cionondimeno, questa tutto sommato lodevole caratteristica lo potrà differenziare dalla massa di opere di genere dell’epoca, ma non può nascondere il fatto che mi sia sembrato un melodramma forzato e farsesco dalla scarsa presa emotiva, per tutti i motivi che andrò poi ad elencare.

Nel frattempo, mi pare cosa buona e giusta dare un’idea di cosa sto parlando: “Natsu e no Tobira” (lett. “La porta verso l’estate”) è un anime ambientato nella Francia di fine ‘800 e, più precisamente, in un collegio di campagna dove si approssimano le vacanze estive; qui, tra la felicità degli studenti, spicca l’apatia dei quattro personaggi principali, amici a cui piace atteggiarsi a filosofi razionali apparentemente disinteressati alle vicende della vita quotidiana, capeggiati dal protagonista assoluto della storia, il bel Marion, ragazzo freddo e calcolatore che sembra rifuggire qualsiasi legame umano o appiglio emotivo che lo smuova dalla sua ideale posizione razionale e felice. Il caso però lo metterà in contatto con Sara Vieda, signora di classe pienamente consapevole del suo fascino e molto disinibita, che lo attirerà a sé, finendo per iniziarlo ai piaceri del sesso e dell’amore reciproco, causando un grande cambiamento psicologico ed emotivo nel ragazzo. Questo cambiamento purtroppo non influirà solo su di lui ma anche nelle dinamiche del suo gruppo, formato dagli amici Claude, Jack e Lind, cui si unirà la bella Ledania, ragazza innamorata di Marion ma contesa anche dal gruppo sopracitato.

Come si può intuire, gli ingredienti per un bel dramma romantico ci sarebbero tutti, dall’inquietudine adolescenziale alla scoperta di sé stessi, passando per tradimenti, sotterfugi, inganni, coincidenze e casualità, il prontuario completo; peccato che “Natsu e no Tobira” sciorini tutto questo ben di Dio in poco più di mezz’ora, caratterizzando i suoi personaggi con l’accetta e impedendo a chi guarda di empatizzare davvero con loro. L’esempio più eclatante di tutto questo probabilmente è la figura di Ledania, tanto centrale nelle vicende della storia quanto impalpabile come personaggio. Ledania infatti è semplicemente bella, stop, è una ragazza angelica, innamorata di Marion e che attira le attenzioni di, praticamente, ogni altro coetaneo maschile, ma non fa niente né per inseguire il suo sentimento né per scoraggiare quello degli altri, è semplice spettatrice degli eventi in preda alle sue frustrazioni e ai suoi dolori, che tali resteranno. Non sarà un caso che impallidisca nei confronti dell’altro personaggio femminile principale della storia, l’unico davvero riuscito per me, quella Sara che è una via di mezzo tra femme fatale, sogno erotico e donna dalla mentalità aperta, capace di districarsi in una società che deplora ogni sua azione, tanto in un rapporto con un giovane ragazzo quanto col suo signore, al quale non riserva altro che la verità, venendo ripagata da un’invidiabile fiducia e amore reciproco. Ed è sempre legata a lei la scena più coinvolgente, e in parte disturbante, della storia, quell’amplesso voluto fortemente, anche imposto in alcuni momenti all’altra parte, ma che di fatto rappresenta la svolta emotiva e la presa di coscienza sulla natura umana e sui piaceri che può dare, non solo dal punto di vista fisico, poter amare fortemente un’altra persona. Certo, parliamoci chiaro, la cosa poteva svilupparsi anche in modo diverso e decisamente negativo, ma il film prende una sua strada e io mi concentro su quella, senza considerare potenziali ‘what if’. Di fronte a cotanta dimostrazione di desiderio, attaccamento e voluttà, le misere beghe vissute dagli altri personaggi, dall’algida Ledania al tormentato Claude (lui segretamente innamorato di Marion), passando per il sincero Jack e il torbido Lind, non possono che passare nettamente in secondo piano, nonostante di fatto siano le tappe principali di questo dramma artefatto di cui alla fine si finisce per ricordare un’unica figura e un unico evento degno di nota.

Ma almeno dal punto di vista tecnico com’è questo “Natsu e no Tobira”? Beh, devo dire che da questo lato almeno ho un giudizio più lusinghiero; nei limiti della produzione e del tempo, in fondo questo è un film che ha già più di quarant’anni, “Natsu e no Tobira” è una produzione gradevole col suo fascino retrò, pur soffrendo alcuni difetti ‘sistemici’ derivanti dalla sua fonte di provenienza, e cioè lo shoujo manga classico coi suoi personaggi magri, molto longilinei e dagli occhi estremamente grandi, che personalmente non apprezzo in modo particolare. C’è da dire però che, rispetto al manga originale in un singolo volume del 1975 di Keiko Takemiya, il character designer Kazuo Tomizawa fa un ottimo lavoro di pulizia e arricchimento nel design dei personaggi che li rende, quantomeno, affascinanti il giusto da restare impressi in chi guarda. Molto apprezzabili le ambientazioni e l’opera del regista Masaki Mori, nonostante il film presenti poche animazioni e tante scene statiche, che con un bel lavoro di inquadrature e cambi di scena restituisce pienamente la sensazione di movimento. Il vero fiore all’occhiello della produzione, forse, è però la colonna sonora di Kentarō Haneda, con melodie dolenti che mi hanno restituito pienamente ambientazioni da soap opera degli anni ’80, mentre ho trovato passabile senza particolari guizzi il doppiaggio giapponese, unico visionabile in questo caso, visto che il film è ufficialmente ancora inedito in Italia e, con tutta probabilità, lo resterà pure.

Lo resterà perché fuori tempo massimo, certo, ma anche perché, al di fuori della cerchia di appassionati di genere, “Natsu e no Tobira” non è un film in grado di colpire il grande pubblico, soprattutto oggi che i suoi temi sono stati presi, usati e abusati in tante salse; come dicevo all’inizio, non ho solo opinioni negative su questo mediometraggio, e continuo a pensare che con tempi e modi diversi avrebbe potuto comunque fornire un’esperienza differente e più appagante allo spettatore, ma nei fatti ha scelto la strada opposta, e così farò io nel caso, in futuro, si riproponesse l’occasione di guardarlo ancora, senza rancori ma senza rimpianti, Sara Vieda esclusa; hic Mirokusama scripsit, XXII Februarius MMXXII.