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Grazie alle positive recensioni lette, ho recuperato la visione di quest’anime tratto dal romanzo scritto da Tatsuhiko Takimoto (trasposto successivamente in manga e poi in anime nel 2006), che affronta una tematica conosciuta prevalentemente in Giappone all’epoca della realizzazione dell’opera, ma che con il passare degli anni è diventato un fenomeno diffuso anche in tutto il mondo occidentale.
Stiamo parlando degli “hikikomori”, che significa letteralmente “stare in disparte" o "staccarsi”, e indica la condizione di coloro che fuggono dalla vita sociale, spesso ricorrendo a livelli estremi di isolamento e confinamento.
Tatsuhiro Sato, il protagonista di “Welcome to the N.H.K.”, un giovane NEET di ventidue anni, è senza ombra di dubbio uno di loro.

Sato abbandona presto gli studi universitari e progressivamente inizia il suo viaggio verso l’isolamento e la fuga dalla realtà, che lo conduce in quattro anni a tagliare ogni rapporto sociale, ad eccezione degli sporadici rapporti con la famiglia che lo sostiene economicamente con una paghetta mensile. Tuttavia, suo malgrado e con non poche conseguenze, si ritroverà ad interagire con alcune conoscenze che riemergono dal passato e con una misteriosa ragazza, “Misaki Nakahara”, ossessionata dall’idea di “guarire” Sato dalla sua condizione.

“Welcome to the N.H.K” è un’opera di rara intensità, in grado di risucchiarti emotivamente e catapultarti dentro l’universo parallelo degli invisibili, dei perdenti, di coloro che non riescono a reggere il peso delle aspettative imposte da una società individualista e competitiva, o per debolezza o fragilità caratteriale, o perché portatori di una storia personale dura e traumatica, o perché incapaci di ribellarsi a scelte di vita imposte da altri e di seguire i propri desideri.

L’opera offre un punto di osservazione sulla moderna società giapponese, sulla realtà degli “otaku” e degli “hikikomori” (fenomeni spesso connessi tra loro) da una prospettiva ravvicinata, introspettiva, sorprendentemente realistica nella rappresentazione della condizione psicologica di fuga dalla realtà che diventa sempre più debilitante, passando tra stati depressivi, attacchi di panico, fasi di paranoia e di vero e proprio delirio (durante le quali Sato matura la teoria del complotto ordito dalla fantomatica società NHK, responsabile di ogni fallimento e della sua condizione di “hikikomori”).

“Welcome to the N.H.K” è un vero pugno allo stomaco, destabilizzante per la capacità di trasmettere allo spettatore la sensazione di impotenza e di angoscia nei confronti di una condizione dalla quale non sembra esservi via d’uscita, perché ogni tentativo di reazione fallisce miseramente di fronte alle avversità della vita, alimentando il circolo vizioso del fallimento e dell’autocommiserazione.
Per la sua capacità di raccontare tale condizione umana, l’anime mi ha riportato alla mente un’opera letteraria di grande intensità, “Lo squalificato”, opera sostanzialmente autobiografica di Osamu Dazai (scrittore giapponese decadente, morto suicida in giovane età), citato, non a caso, in “Welcome to the N.H.K.” nella scena delle frasi famose dette prima di morire...

La sceneggiatura e i dialoghi sono sempre all’altezza della situazione e degni delle migliori opere cinematografiche, sia per la graffiante ironia o per la sagace comicità che fa emergere l’aspetto grottesco delle debolezze umane (e quindi sempre intrisi di una certa tragicità) sia per maturità e intensità nei momenti più introspettivi o drammatici (senza però mai cadere nel melodramma).

Dal punto di vista tecnico, la parte grafica è tutt’altro che perfetta e in alcuni episodi appare addirittura "abbozzata", anche se, paradossalmente, in alcune scene ha messo in risalto il “mood” dei personaggi, esaltandone lo stato di angoscia, di smarrimento o di assenza di lucidità. Di grande qualità è invece è la parte musicale.

Per quanto riguarda il finale... Nonostante le dinamiche relazionali tra i personaggi sembrino nascere sempre da un’esigenza egoistica, da un proprio tornaconto personale - perché tutti sono affettivamente immaturi e tutti vivono una condizione di frustrazione, di disillusione e di perenne sfiducia verso l’umanità e il futuro - tali relazioni, tra equivoci, abbandoni, fughe nel mondo virtuale, rinascite e riappacificazioni, finiranno per coinvolgere inconsapevolmente la sfera emotiva e ad assumere la forma dei legami affettivi.
Infatti, anche se l’intera opera sembra essere pervasa da una visione pessimistica e disincantata della vita, “Welcome to the N.H.K” lascia aperto uno spiraglio di speranza e, pur mettendo a nudo gli aspetti meno edificanti della personalità dei protagonisti, concede loro almeno un momento di riscatto morale.
Molto astutamente l’opera sembra condurre lo spettatore verso un finale tragico e ad alto impatto emotivo. Si tratta di un espediente narrativo che alleggerisce il peso di un finale, meno drammatico del previsto ma dal sapore un po' amaro, che contiene, tuttavia, un messaggio positivo: non ci si salva da soli e, anche se non si vince, si può non perdere del tutto... semplicemente cercando di fare del proprio meglio e accettando il fallimento, il compromesso e la sofferenza come parti essenziali della vita.

In conclusione, credo che “Welcome to the N.H.K” possa decisamente rientrare tra i “cult” dell’animazione giapponese che gli appassionati di anime non dovrebbero assolutamente perdere.