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Cercare di scrivere una recensione su "Neon Genesis Evangelion" dopo che prima di me si sono già cimentati dal 2009 ad oggi sul sito di AnimeClick.it ben 226 iscritti potrebbe essere pleonastico e ripetitivo. Da quanto ho potuto leggere e documentarmi sulla oramai "leggendaria" serie del 1995 (soggetto e regia di Hideaki Anno e produzione studio Gainax), si tratta del classico caso di opera "divisiva": un anime capace di suscitare emozioni e considerazioni positive fino all' "osanna" come serie che ha rivoluzionato il genere mecha, e critiche feroci sfocianti fino all'odio per qualcosa di criptico, incomprensibile e falsamente psicologico ma solo patologicamente malato.

Già solo per questo aspetto, potrei sostenere che si tratta di un'opera che colpisce nel segno. Ma non solo: per quanto ho potuto intendere, soprattutto dagli inquietanti ultimi due episodi, "Neon Genesis Evangelion" è un'opera complessa, metaforica, allegorica, in cui la trama in sé è solo un pretesto per raccontare in modo non sempre chiaro e incontrovertibile la complessità della psiche del suo ideatore, del suo tentativo di introspezione per rappresentare il profondo disagio che Anno aveva vissuto e viveva ai tempi e voleva a suo modo trasmettere allo spettatore.

Tra le varie recensioni, commenti, blog, ecc. ha trovato che qualcuno ha sostenuto che "Neon Genesis Evangelion" coincide con il suo autore. E non posso che ammettere che sono totalmente d'accordo.
Io ho percepito "Neon Genesis Evangelion" come pura "allegoria": la trama, che narra di un mondo distopico post-apocalittico in cui gli umani sopravvissuti combattono delle entità robotiche misteriose e "aliene" denominati "angeli" (ma mi pare di aver letto che probabilmente potevano essere anche definiti "apostoli") assume sostanzialmente un significato profondamente tragico e simbolico per una persona che nel 1995 aveva probabilmente "smarrito la retta via".
Sfrutto Dante Alighieri per esprimere il concetto di una sorta "viaggio" all'interno di sé stessi, una "missione" simbolica alla conquista di una consapevolezza di sé stessi e della verità da parte dell'autore, una sorta di itinerario dell'anima umana verso una possibile "salvezza".

Ad onor del vero, Anno darà un finale meno complesso e più comprensibile alla saga "Evangelion" solo nel 2021 con il quarto film dell'"Evangelion Rebuild", ossia "Evangelion: 3.0+1.01: Thrice Upon A Time". Siamo a oltre venticinque anni dalla trasmissione della prima serie e ciò sta a dimostrare che il percorso verso la "salvezza" di Anno è stato lungo e caratterizzato non solo dalla "voracità" commerciale di sfruttare al massimo e fino alla fine il "filone" di un prodotto che più che un anime era ormai divenuto un brand con un merchandise dal successo oltre ogni comprensione.
Un percorso dove probabilmente il talentuoso animatore/regista è riuscito a elaborare per il suo Shinji Ikari la soluzione per ritornare al "mondo reale".

Evito di scrivere della trama: "Neon Genesis Evangelion" a mio modesto avviso non ha una vera e propria storia logica, lineare, e giudicarlo per quanto si vede alla fine potrebbe risultare fuorviante, se ci si limita a ciò che viene rappresentato.
Non è una serie da visionare "tanto per...". È un anime psicotico, molto citazionistico, introspettivo, metaforico e, probabilmente, comprensibile solo se lo spettatore abbia la voglia di calarsi concretamente nei panni di una persona, il suo ideatore, che con ogni probabilità ha sofferto di seri problemi relazionali con i propri familiari, con il mondo esterno, con la società, e sia in preda a un vero e proprio "delirio" in cui non sia capace di distinguere il reale dal virtuale. In un certo senso e in modo molto sommario, lo status mentale di un otaku o hikikomori.

E da quanto ho potuto constatare documentandomi sommariamente in rete, Hideaki Anno è stato entrambi. Ed è riuscito a trasmettere la sua angoscia esistenziale, le sue frustrazioni, la sua rabbia, la sua incapacità di vivere il suo status, l'impossibilità o l'estrema difficoltà a relazionarsi con gli altri in modo metaforico attraverso una storia di fantascienza e mecha che sono solo un'allegoria del viaggio che Anno sembra voler far percorrere allo spettatore all'interno del suo mondo "artefatto" e "distorto", caratterizzato principalmente dalla insoddisfazione nei rapporti e nelle interazioni con le altre persone, e in principal modo con i suoi familiari: vedi la presenza di un padre "duro" e senza scrupoli oltre ogni immaginazione e una madre a dir poco assente (nella serie è deceduta quando il protagonista Shinji è piccolo): il complesso di Edipo si percepisce in modo piuttosto marcato nella simbiosi tra Shinji e il robot che conduce (l'Eva 01 in cui si immerge in una sorta di capsula piena di liquido - LCL -, stabilendo una sorta di connessione empatica) e nel rapporto con l' "enigmatica" Rei.
Senza poi considerare "il dilemma del porcospino" di Schopenhauer, utilizzato come metafora per riflettere sulla difficoltà dell'uomo nel vivere insieme agli altri e nel mantenere la giusta distanza nei rapporti con le persone, per non ferirsi a vicenda, idea un po' pessimistica per cui le relazioni sono il frutto di un complicato e delicato equilibrio tra vicinanza e distanza.

Ma non mancano accenni critici più o meno velati al "sistema", ossia a quella società giapponese tanto dura e alienante per coloro che non riescono ad accettarne le imposizioni e le rigide regole di vita, la soffocante e ipocrita gentilezza formale tipica della cultura del Sol Levante. E le guerre con gli "angeli", contro le organizzazioni governative antagoniste della NERV, possono essere viste in tal senso...

Gli ultimi due episodi, tanto discussi quanto ostici e anche piuttosto noiosi nella loro ripetitività, sono il paradigma dell'essenza di "Neon Genesis Evangelion": come si narra, gli autori avevano terminato le risorse a disposizione per terminare la serie, e il buon Anno ha pensato bene di scrivere gli ultimi due episodi (il venticinquesimo e il ventiseiesimo) con continue ripetizioni di sequenze insulse, in apparenza con dialoghi senza senso, ripetitivi e in apparenza banali, in cui il protagonista in una sorta di delirio onirico si ripete spesso "Chi sono io?", per poi addivenire a una sorta di equilibrio molto "precario" rappresentato dagli applausi di tutti i personaggi della serie, incluso l'odiato padre.

Tuttavia, per coloro che si appassioneranno alla serie e andranno fino in fondo (fino al quarto film della saga "Rebuild" - It's a long way to the end...), si intuirà che il finale in apparenza "raffazzonato" della serie "Neon Genesis Evangelion" sia solo uno specchietto per le allodole con cui Hideaki Anno sembra aver messo più una pezza non tanto alla sua opera, ma, soprattutto, alla produzione, dando sfogo alle sue "turbe" senza più i lacci e lacciuoli imposti dallo studio, rendendo tuttavia "Neon Genesis Evangelion" un capolavoro nel suo genere, una pietra miliare che a livello formale e registico ha innovato il robotico, portandolo a un ulteriore step rispetto alle produzioni similari cui sembra ispirarsi.

In questo senso, "Neon Genesis Evangelion" è un'opera che va capita e inquadrata nel suo "tempo" e in relazione alla weltanschauung suo autore: un mondo, quello nipponico di fine secolo, che dal positivismo illimitato di un progresso tecnologico senza limiti e dal boom economico aveva in realtà già mostrato le vere crepe a livello sociale, familiare e di sistema, e che si risolveva nella vana illusione che l'evoluzione tecnologica potesse rappresentare uno dei modi, se non l'unico, per le interazioni umane. Tema che si percepirà meglio in un'opera di animazione successiva "Serial experiments Lain". Il dramma della solitudine e dell'isolamento fisico e mentale che essa crea è molto ben resa e percepibile, come dramma della incapacità a comunicare e a relazionarsi con gli altri.

Anno in "Neon Genesis Evangelion" ci ha messo molto del suo, dei suoi problemi, e se ci si sofferma con attenzione alle situazioni e ai dialoghi tra i personaggi, si intuisce la cura con cui sia riuscito ad esprimere parecchie considerazioni di natura psicologica e introspettiva, su sé stesso e su una generazione di ragazzi e adulti dell'epoca, sotto le mentite spoglie di un anime mecha che diventa sia un'allegoria del tempo, della società e di sé stesso, sia un messaggio un po' criptico di critica e di speranza per quelle persone che come lui hanno vissuto il dramma di essere otaku e/o hikikomori, affinché possano trovare, ciascuno a suo modo, una "via per la salvezza", facendo assurgere "Neon Genesis Evangelion", mutatis mutandis, a una sorta di "Divina Commedia" per l'animazione giapponese.