Recensione
Dentro Mari
6.0/10
Recensione di DarkSoulRead
-
Isao è un giovane hikikomori, platonicamente innamorato di Mari, una bellissima studentessa modello ammirata da tutti. I due si incontrano ogni sera, al medesimo orario, in un konbini, ma non si sono mai parlati. Una sera, però, Isao decide di seguire Mari all’uscita del konbini e, quasi come per magia, si risveglia dentro di lei.
Con un plot sicuramente intrigante (anche se inflazionato) Oshimi viaggia in costante bilico tra originalità e banalità, cadendo spesso nel lato sbagliato.
Le vibes, a metà tra Usamaru Furuya e Masakazu Katsura, richiamano a tratti le atmosfere nostalgiche di “Video Girl Ai”, con citazioni nerd che rievocano opere come “Wecome to the NHK” e “La figlia dell’Otaku”.
Pur partendo da un incipit votato al fan service più puro, il sensei approfondisce con intelligenza il lato psicologico dei personaggi, ampliando così il proprio target ben oltre il pubblico interessato alle sole nudità femminili. Ciò non toglie che l’occhio del voyeurismo, presente in ognuno di noi, venga ammiccato a più riprese attraverso scene pensate per solleticare le fantasie dei maschietti più ormonati, i quali sicuramente troveranno pane per i loro denti.
Oshimi affronta temi tabù come la masturbazione e l’identità sessuale con sorprendente naturalezza, accompagnata da un filo di leggerezza comica che spesso stempera le tensioni, mantenendo la lettura sempre scorrevole e fluente.
«Nella postfazione del primo volume avevo scritto “voglio diventare una donna”, ma adesso non sono più di questa idea. Aver disegnato questo manga mi ha fatto scoprire la donna che c’è in me. La donna dentro l’uomo, il bello dentro il brutto… ho trovato la realtà dentro l’illusione».
Shūzō Oshimi è uno di quegli autori dotati di un’impronta autoriale fortemente riconoscibile e ricorsiva: crisi d’identità, emarginazione, incomunicabilità, conflitti familiari — in particolare il rapporto madre-figlio — sono temi cardine della sua poetica. La sua abilità sta nel riuscire, di volta in volta, a rielaborare questi elementi in forme nuove, dando vita a opere che, pur mantenendo una coerenza tematica, si rinnovano costantemente.
Oshimi non ha timore di mettersi a nudo, né di esplorare fino in fondo le proprie ossessioni più recondite: emblematiche, in questo senso, sono le postfazioni in cui, con disarmante sincerità, condivide alcune delle sue fantasie erotiche. Dentro Mari è un’opera che, con delicatezza e provocazione, scardina le convenzioni sociali e morali; tuttavia, una certa tendenza alla ridondanza retorica finisce per appesantirne lo slancio, impedendole di spiccare davvero il volo.
Il lato mystery perde mordente piuttosto presto, lasciando spazio a uno sviluppo narrativo spesso confuso e disordinato. La sceneggiatura tende ad avvitarsi su se stessa, al punto da far sospettare che neppure lo stesso sensei avesse una direzione chiara in mente. Questa incertezza strutturale mina il coinvolgimento iniziale e rallenta la curiosità del lettore, che fatica a orientarsi tra le pieghe della trama.
In “Dentro Mari”, il tratto di Shūzō Oshimi è al servizio della fragilità emotiva e della tensione psicologica dei personaggi. Il suo disegno, semplice e pulito, si rivela incredibilmente espressivo: volti e sguardi sono i veri protagonisti, capaci di trasmettere inquietudine, desiderio, incertezza.
Il tratto non cerca la spettacolarità, ma si concentra sull’intimità del quotidiano, spesso sospesa tra erotismo e vulnerabilità.
Il suo stile evita l’eccesso di dettaglio, preferendo una linea essenziale che mette in risalto le emozioni nude dei personaggi.
Il mangaka riesce a comunicare stati d’animo complessi, spesso ambigui, riflettendo l’instabilità interiore che anima l’intera vicenda, con un uso sapiente degli spazi vuoti e dei silenzi che amplifica il senso di isolamento e sospensione.
Isao, hikikomori dissociato, e Mari, studentessa modello dalla vita all’apparenza perfetta, si rivelano due facce della stessa alienazione.
Lo scambio di corpi diventa metafora della ricerca di sé, di un’identità che non coincide con l’immagine esterna ma che si dibatte tra pulsioni represse e aspettative sociali. È attraverso questa dialettica interiore che Oshimi mette in scena l’inquietudine dell’essere, quella sensazione costante di non abitarsi davvero, di sentirsi ospiti in se stessi.
“Dentro Mari” è un’opera imperfetta ma audace, capace di toccare corde profonde e scomode. Se da un lato inciampa in una narrazione a tratti confusa e ridondante, dall’altro offre uno spaccato sincero e perturbante della crisi identitaria contemporanea. Oshimi continua a scavare nei territori dell’animo umano con uno sguardo impudico e tormentato, e anche quando sbaglia traiettoria, lo fa con onestà, restando fedele alla sua inquietudine autoriale.
Con un plot sicuramente intrigante (anche se inflazionato) Oshimi viaggia in costante bilico tra originalità e banalità, cadendo spesso nel lato sbagliato.
Le vibes, a metà tra Usamaru Furuya e Masakazu Katsura, richiamano a tratti le atmosfere nostalgiche di “Video Girl Ai”, con citazioni nerd che rievocano opere come “Wecome to the NHK” e “La figlia dell’Otaku”.
Pur partendo da un incipit votato al fan service più puro, il sensei approfondisce con intelligenza il lato psicologico dei personaggi, ampliando così il proprio target ben oltre il pubblico interessato alle sole nudità femminili. Ciò non toglie che l’occhio del voyeurismo, presente in ognuno di noi, venga ammiccato a più riprese attraverso scene pensate per solleticare le fantasie dei maschietti più ormonati, i quali sicuramente troveranno pane per i loro denti.
Oshimi affronta temi tabù come la masturbazione e l’identità sessuale con sorprendente naturalezza, accompagnata da un filo di leggerezza comica che spesso stempera le tensioni, mantenendo la lettura sempre scorrevole e fluente.
«Nella postfazione del primo volume avevo scritto “voglio diventare una donna”, ma adesso non sono più di questa idea. Aver disegnato questo manga mi ha fatto scoprire la donna che c’è in me. La donna dentro l’uomo, il bello dentro il brutto… ho trovato la realtà dentro l’illusione».
Shūzō Oshimi è uno di quegli autori dotati di un’impronta autoriale fortemente riconoscibile e ricorsiva: crisi d’identità, emarginazione, incomunicabilità, conflitti familiari — in particolare il rapporto madre-figlio — sono temi cardine della sua poetica. La sua abilità sta nel riuscire, di volta in volta, a rielaborare questi elementi in forme nuove, dando vita a opere che, pur mantenendo una coerenza tematica, si rinnovano costantemente.
Oshimi non ha timore di mettersi a nudo, né di esplorare fino in fondo le proprie ossessioni più recondite: emblematiche, in questo senso, sono le postfazioni in cui, con disarmante sincerità, condivide alcune delle sue fantasie erotiche. Dentro Mari è un’opera che, con delicatezza e provocazione, scardina le convenzioni sociali e morali; tuttavia, una certa tendenza alla ridondanza retorica finisce per appesantirne lo slancio, impedendole di spiccare davvero il volo.
Il lato mystery perde mordente piuttosto presto, lasciando spazio a uno sviluppo narrativo spesso confuso e disordinato. La sceneggiatura tende ad avvitarsi su se stessa, al punto da far sospettare che neppure lo stesso sensei avesse una direzione chiara in mente. Questa incertezza strutturale mina il coinvolgimento iniziale e rallenta la curiosità del lettore, che fatica a orientarsi tra le pieghe della trama.
In “Dentro Mari”, il tratto di Shūzō Oshimi è al servizio della fragilità emotiva e della tensione psicologica dei personaggi. Il suo disegno, semplice e pulito, si rivela incredibilmente espressivo: volti e sguardi sono i veri protagonisti, capaci di trasmettere inquietudine, desiderio, incertezza.
Il tratto non cerca la spettacolarità, ma si concentra sull’intimità del quotidiano, spesso sospesa tra erotismo e vulnerabilità.
Il suo stile evita l’eccesso di dettaglio, preferendo una linea essenziale che mette in risalto le emozioni nude dei personaggi.
Il mangaka riesce a comunicare stati d’animo complessi, spesso ambigui, riflettendo l’instabilità interiore che anima l’intera vicenda, con un uso sapiente degli spazi vuoti e dei silenzi che amplifica il senso di isolamento e sospensione.
Isao, hikikomori dissociato, e Mari, studentessa modello dalla vita all’apparenza perfetta, si rivelano due facce della stessa alienazione.
Lo scambio di corpi diventa metafora della ricerca di sé, di un’identità che non coincide con l’immagine esterna ma che si dibatte tra pulsioni represse e aspettative sociali. È attraverso questa dialettica interiore che Oshimi mette in scena l’inquietudine dell’essere, quella sensazione costante di non abitarsi davvero, di sentirsi ospiti in se stessi.
“Dentro Mari” è un’opera imperfetta ma audace, capace di toccare corde profonde e scomode. Se da un lato inciampa in una narrazione a tratti confusa e ridondante, dall’altro offre uno spaccato sincero e perturbante della crisi identitaria contemporanea. Oshimi continua a scavare nei territori dell’animo umano con uno sguardo impudico e tormentato, e anche quando sbaglia traiettoria, lo fa con onestà, restando fedele alla sua inquietudine autoriale.
News