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“Si deve essere in due per scoprire la verità: uno che la esprime e un altro che la comprenda” (K. Gibran)

"Takopi's original sin" ha rappresentato una vera sorpresa: non ho letto il manga ma la sua trasposizione in animazione è stata sufficiente a farmi comprendere che nella pletora di offerta di anime troppo spesso molto simili e alquanto superficiali, ne esistono alcuni che hanno ancora il coraggio di affrontare temi "scomodi" in modo stimolante e metaforico, anche a prezzo di risultare indigesti, disagevoli o disturbanti.
A riguardo di "Takopi's original sin" (d'ora in poi "TOS") potrei esprimere qualche appunto meramente personale sulle modalità scelte per la rappresentazione e la sceneggiatura, ma devo riconoscere in positivo che la sua originalità dolorosa consiste nell'accostamento di eventi traumatici e brutali considerati dal punto di vista della ingenuità fanciullesca e della sua incapacità di comprenderne i motivi e le ragioni, fino alla ineluttabilità delle estreme conseguenze.
"TOS" nasce da un’idea tanto semplice quanto spiazzante: un piccolo alieno rosa, Takopi, arriva sulla Terra dal Pianeta della Felicità con l’intento di “diffondere gioia” grazie ai suoi strumenti magici. Il suo modo di esprimersi sembra quello di un bambino, ma anche la sua capacità di comprensione di ciò che gli accade e osserva del nuovo mondo in cui è arrivato. L’incontro con Shizuka, una bambina di nove anni dall'aria perennemente mesta, ma di buon cuore perché gli offre del cibo ricevuto a scuola alla mensa, segna l’inizio di una sorta di dramma kafkiano costruito su situazioni angoscianti, paradossali in cui Takopi, nonostante l'impegno profuso per risolvere i problemi delle protagoniste Shizuka e Marina, rimane incapace di comprenderli o di reagire in modo efficace, rimanendo ancorato ad un senso di disorientamento e impotenza. Man mano che la trama procede, lo spettatore sprofonda in una sorta di downward spiral, un calvario emotivo con i protagonisti della serie che trasforma suo malgrado l'aiutante "magico” in un vero e proprio catalizzatore di tragedie di cui progressivamente acquista la consapevolezza.
In soli sei episodi "TOS" non si limita a raccontare una storia di dolore e sofferenza, ma ne esalta senza particolari filtri e in modo "oggettivo" gli aspetti più brutali costringendo lo spettatore ad osservare con gli occhi della fanciullezza il lato, purtroppo nemmeno troppo, oscuro dell’infanzia.

Utilizzo di elementi fantastici (viaggi nel tempo, mondi alternativi, creature aliene) per narrare e amplificare il dramma umano.

Takopi è il protagonista che rappresenta la metafora della fanciullezza non ancora violata. Il suo aspetto buffo, puccioso e la sua sconfinata ingenuità, lo rendono come un essere/entità non coerente con il contesto in cui si sviluppa la vicenda. Lui se ne accorgerà man mano a forza di errori nei goffi tentativi di porre rimedio al bullismo, alla violenza e alla sofferenza patite dalle due protagoniste Shizuka e Marina e alle aspettative altissime dei genitori del loro compagno di classe Naoki.
Takopi ricorda Doraemon in un contesto molto diverso in cui il primo non riesce a risolvere i problemi di Shizuka o di Marina con la sua magia. Sebbene animate da buone intenzioni, le sue azioni portano inesorabilmente a conseguenze peggiorative della situazione che intendeva risolvere con la sua weltanshauung pura e candida.
Nella spasmodica ricerca di fare la cosa giusta, Takopi ha a disposizione la possibilità di viaggiare nel tempo per modificare il futuro e risolvere i problemi delle ragazze cui si è affezionato. Eppure, come in "Steins:Gate", pur creando linee temporali alternative ottiene solo ed esclusivamente fallimenti, a comprova che anche dei piccoli cambiamenti possono avere effetti devastanti o salvifici a seconda del punto di vista. E sembra pleonastico evidenziare che i fallimenti non sembrano altro che una metafora che ogni scelta ha un peso e ogni dolore può essere ancora vissuto e non sempre evitato e, in ultima battuta, che "non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale" (C.S Lewis).
Tuttavia questo aspetto fantasy/fantascientifico della serie è quello che mi ha convinto meno: la contrapposizione tra argomenti piuttosto duri, brutali e stile fiabesco/fanciullesco mi è sembrata più una soluzione di comodo per facilitare lo sviluppo della narrazione piuttosto che attraverso la costruzione di personaggi più sfaccettati e meno polarizzati anche e soprattutto del mondo adulto.

Rappresentazione del dolore infantile senza edulcorarlo: il dramma della solitudine.

Il bullismo in "TOS" è a tratti brutale e sempre realistico nella sua realizzazione ad opera di ragazzini. Non ci sono eroi salvifici e nemmeno Takopi è in grado di capire il dolore e lo smarrimento dei fanciulli. Certe scene sono rasoiate che fendono e tagliano anche solo sfiorando e le ferite bruciano tantissimo.
La disperazione e il dolore che si consumano nel silenzio sono asfissianti e opprimenti e mettono lo spettatore di fronte all'ipocrisia profonda della realtà che i ragazzi non sono in grado di comprendere e superare ma solo di subire fino a soccombere nel caso di soggetti più deboli e soli.
E' piuttosto facile individuare i collegamenti con i numerosi episodi di cronaca sui soprusi perpetrati su bambini, ragazzi soli o semplicemente persone sole e in apparenza deboli e isolate.
Al di là degli atti di sopruso, odio o cattiveria gratuita, quello che colpisce nelle storie di Shizuka, Marina e anche in un certo senso di Naoki è la solitudine generata in situazioni e ambienti completamente diversi. Solitudine che si manifesta sia anche a livello fisico (Shizuka) sia a livello psicologico (Marina, ma anche Naoki) che portano i tre protagonisti a dover compiere scelte e azioni frutto della loro immaturità completamente sbagliate perché non supportati da alcun sostegno familiare. E la loro personalità si sviluppa in modo incontrollato e senza freni inibitori fino a diventare dei cloni in negativo degli adulti che dovrebbero essere il loro riferimento, ripetendo e peggiorando i loro errori.

Critica dell’assenza e dell’inadeguatezza degli adulti e della società.

Uno degli aspetti più facilmente individuabili dell’opera e che colpisce lo spettatore è l’indifferenza, il cinismo e l'incapacità di gestione dei ragazzi da parte degli adulti. Figli che sembrano più degli incidenti di percorso su cui scaricare le proprie frustrazioni e fallimenti affettivi e di realizzazione personale. Adulti che non sembrano mai diventati tali e che non essendolo mascherano le loro profonde lacune di struttura con l'assenza emotiva. Nessuno si salva: gli adulti non vedono, non ascoltano, non intervengono ma parlano e agiscono solo perché a loro volta vogliono essere ascoltati per i loro problemi. Peccato che agiscono nei confronti dei soggetti più esposti ed indifesi, quelli che non possono reagire...
Sotto questo questo "TOS" fa pieno centro ma presenta il limite di polarizzare in eccesso ai fini di trama le carenze adulte e non solo di quelli che sono vicini ai protagonisti della serie ma di tutto l'universo dei grandi. Se di Shizuka e di Marina viene tracciato un quadro sfaccettato in cui entrambe vestono i ruoli di boia e vittima, gli adulti (ove appaiono) sono monodimensionali e irreali (la madre di Naoki e il suo culto dell'eccellenza del figlio maggiore ne è l'esempio).

Riflessione sulla responsabilità, sulle aspettative tradite e il bisogno di essere considerati.

Il tema dell’innocenza perduta è particolarmente evidente in "TOS" ed è trattato sostanzialmente con l'evidenziazione di tutto ciò che non va fatto o omesso nei loro confronti. Se i loro bisogni di attenzione, affetto, comprensione sono ignorati, la realtà ai loro occhi appare come ostile e li costringe a trovare in surrogati alternativi delle figure di riferimento (come un goffo essere alieno o un cane).
"TOS" è una rappresentazione di quanto la fanciullezza possa diventare una colpa da espiare e una sorta di incubo senza fine e senza speranza in cui l'unica via di uscita sembra quella estrema del concludere anzitempo l'esistenza. E la responsabilità non è imputabile ai bambini...

Il peccato originale di Takopi

Il titolo della serie è stimolante perché quale colpa potrà mai essere attribuita all'alieno nei suoi tentativi di porre rimedio alle sofferenze delle protagoniste? Forse potrei sostenere che ha una semplice responsabilità: quella di non aver compreso la verità, che, come al solito, è sempre più complessa e sfaccettata di quanto possa apparire prima facie.
Quando riesce ad avvicinarsi ad essa, compie il gesto melodrammatico di una purezza estrema: il suo sacrificio. Pur essendo stato testimone di profonde nefandezze umane, ne ha compreso l'essenza dopo aver compiuto svariati errori anche non risolvibili cui ha posto rimedio con i suoi poteri.
Il finale sa un po'di deus ex machina ma da adito al classico messaggio di speranza che lo spettatore si attende come un lenitivo dopo tutte le brutture e tragedie cui ha assistito. In fondo, a Shizuka e Marina sarebbe bastato comprendere la reale causa delle loro sofferenze, ma il percorso di crescita richiede tempo e affrontare le più svariate esperienze positive e negative, ossia tutto quanto sia profondamente umano ma anche tragicamente doloroso e significativo.