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ALUCARD80

Episodi visti: 12/12 --- Voto 7,5
“Che il mare vi sia lieve, figli della Balena, come lo è la terra per chi lascia il mondo dei vivi.” Potremmo tradurlo così, il pensiero andante di quest’opera.
Fortemente ispirato dalle animazioni immaginate alla fine del secolo scorso, da cui attinge a piene mani, “Children of the Whales” ha un’impostazione a cavallo fra i sapori dello Studio Ghibli nel suo periodo di gloria più nota e un’impronta vagamente post-apocalittica, capace di richiamare, sebbene alla lontana, le atmosfere utopiche e distanti di mondi tenui e spaventosi come “Nausicaa della Valle del vento”, ma non solo: grazie a fondali artigianali che di primo impatto rievocano la nostalgia dello studio Squaresoft durante il periodo fra “Final Fantasy Tactics” e “Final Fantasy IX”, l’insieme guadagna un gusto più retrò, fiabesco ed esotico. Gli ambienti, caldi, esplicitamente manuali e preziosamente imperfetti, comunicano un calore ormai quasi del tutto sopito nelle opere moderne: immagini sempre differenti, sia per colore sia per i sentimenti che per fantasia; le sensazioni che riescono ad ispirare sanno di canapa acquarellata dalle intense sfumature, di fondi di caffè, di the raccolto con un cucchiaino, di polvere di zaffiro sul fondo del pestello, di grano al sole di mezzogiorno e tramonti lontani. Tutta questa magia manuale la si apprezza in modo netto nella colorazione dei cieli e degli spazi più ampi, dove di tanto in tanto si può notare addirittura una simulazione di texture che richiama le ipotetiche superfici usate per creare l’art. Il risultato di tale lavoro si traduce in fogli intrisi di pigmenti piacevoli e accompagnatori; un mix di mistero, nostalgia e scoperta, una cornice adatta alla storia che inizia con un criptico ed emozionante crescendo, ma che, purtroppo, non vedrà l’epilogo che meriterebbe.

Questa è la storia di Chakuro, un giovane adolescente che vive a bordo di una vera e propria nave rudimentale, una sorta di isola semovente capace di solcare un interminabile, torrido e misterioso oceano di sabbia. La “balena di fango” (questo è il nome della nave rocciosa su cui vivono) è la loro unica realtà, il loro piccolo mondo in continuo movimento. Ma com’è insito nella natura umana, ogni quesito prima o poi ha bisogno di una risposta, e quello più scontato è capire come mai un centinaio e passa di esseri umani ha sempre vissuto su questa nave misteriosa, nel bel mezzo di un mare di sabbia. E perché il mare è fatto... di sabbia? Come se non bastasse, la quasi totalità degli abitanti della Balena sembra nascere con una peculiarità unica, per non dire eccezionale: sono capaci di utilizzare la Thimia, una sorta di potere “magico” che funziona sulla breve distanza, e con cui è possibile interagire con persone e oggetti. Purtroppo, lo scotto da pagare per questo “dono” è una morte inevitabilmente precoce; difatti, i portatori di Thimia lasciano questo mondo intorno ai trenta, massimo trentacinque anni.
Queste domande e altre ancora continuano a fermentare in testa a Chakuro e ai suoi amici, e mentre un consiglio di anziani gestisce la situazione con un sospetto pragmatismo, la Balena di fango incrocia un’altra nave che pare disabitata. Qui Chakuro incontrerà una persona che cambierà la sua vita e quella di tutti gli abitanti della Balena... per sempre.
Un inizio piuttosto originale, un’opening davvero orecchiabile, una colonna sonora preziosa e una ending davvero eccezionale formano un comparto sonoro di tutto rispetto.

I protagonisti sono giovani, superstiti di qualcosa che non viene immantinente illustrato, ma che ricalca una sorta di “Waterworld” desertico, un vagare incerto che nasconde una lontana disperazione, ben ovattata dalle usanze di quello che si scoprirà passo dopo passo trattarsi di un ignaro popolo alla deriva di sé stesso, prima che di qualsiasi altro luogo.
Se il primo episodio introduce la storia a grandi linee, dal secondo getta le basi per ciò che sarà probabilmente una tragedia quantomeno inaspettata. Man mano che si prosegue, si percepisce un crescendo sempre più amaro e drammatico, con un cambio di passo lento e inesorabile, e con esso la narrazione diviene esasperata, tant’è che l’attenzione dello spettatore ne è inevitabilmente influenzata. Le rivelazioni e i colpi di scena, tuttavia, non appaiono scioccanti o apocalittici come potrebbero (e in alcuni frangenti dovrebbero) essere, poiché si possono percepire “nell’aria”, come una sentenza inabrogabile e per questo non eclatante, fino, comunque, al raggiungimento di un livello di crudezza e spietatezza che non si sarebbero certo potute immaginare, a inizio visione.
Nonostante tali premesse - che avrebbero dovuto caricare di orrore e sofferenza chi osserva -, si ha la sensazione di non percepire appieno questo treno di emozioni travolgenti, e probabilmente la causa è da attribuire al comportamento dei personaggi e alle loro animazioni: non sempre esternano stati d’animo ed emozioni che ci potremmo aspettare, e, almeno nella prima parte dell’anime, la narrazione stenta a decollare. L’impatto che ne scaturisce si traduce in un andamento blando, più di quanto ci si possa attendere; alcune pause fra dialoghi, determinati momenti morti e situazioni lente e reiterate non aiutano certo a mitigare questa sensazione.

Dopo un avvio farraginoso e altalenante, nell’ultimo terzo di storia, fortunatamente, si prende il volo. Il fantasma della guerra è presente anche in questa storia. Certo, in altre vesti e con altre forme, eppure ci racconta qualcosa che ricorda un “antisemitismo” osceno e sempre attuale, un odio atavico e razziale fra differenti popoli e imperi, una lotta che non è soltanto per la sopravvivenza del più forte, ma nasce dall’odio indiscriminato e da antiche profezie figlie di ignoranza e paura, e finisce per dilagare in soprusi e violenze senza freni, nel più classico, rivoltante e reale degli orrori umani.
Si viaggia così crudi e concreti verso un finale che muta ancora volto, proponendoci colpi di scena apprezzabili e inaspettati. Ed ecco quindi il sorgere di antiche leggende fra l’onirico e il fatato, creature arcaiche che si rivelano altresì rivisitazioni di miti e semidivinità legate alle essenze di queste città-nave semoventi, capaci di condizionare e plasmare addirittura l’andamento del creato, e che si sospetta siano state causa delle condizioni del mondo attuale. Una ascesa perpendicolare che aggiunge una massiccia dose di fantasy puro e, finalmente, un coinvolgimento totale.

“Children of the Whales” è pervaso di drammaticità per l’intera durata, va a braccetto con morte e dolore, e a conti fatti sono le emozioni le vere protagoniste di questa saga: l’intero spettro emotivo, per l’esattezza. Dalla serenità più dolce alla tristezza più profonda, nulla è trascurato, ma, alla fine dei conti, il prodotto ha l’inconfondibile sapore di una deludente incompletezza.
Gli ultimi due episodi aprono un intero mondo di ipotesi, di future storie e chissà cos’altro, il tutto accompagnato da disegni ancora più curati e una cura ai dettagli davvero favolosa; si tratta di un non-finale poetico, dolceamaro e introspettivo, che incanala lo spettatore a uno scenario ancora più grande e clamoroso che a quanto pare non vedremo mai, poiché non sono previste seconde stagioni... almeno al momento.
Bisogna essere onesti: se il manga è un must e racconta tutto ciò che qui manca, veder troncato di netto un lavoro così buono è veramente una grande delusione.


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SimoSimo_96

Episodi visti: 12/12 --- Voto 7,5
Trama? Interessante. Ambientazione? Interessante. Basta e avanza per farsi una bella maratona di episodi (grazie Netflix, ti vogliamo tutti tanto bene) di un anime che, se dovessi scegliere una sola parola per descriverlo, definirei "curioso". Una serie dal finale apertissimo che come poche viaggia a ritmi fortemente altalenanti e dalla qualità intrinseca molto opinabile, sempre ricordando che manca una stagione successiva.

Trama: Chakuro è un ragazzo marchiato di quattordici anni, archivista e amante della scrittura, che vive sulla Balena di Fango, nave che solca un oceano di sabbia apparentemente infinito. Su di essa vivono circa cinquecento persone, come fosse un'isola piuttosto che una nave, e si dividono in marchiati, dotati di un particolare potere magico chiamato Saima, che conferisce la manipolazione di oggetti inanimati a discapito della durata della vita, e in non marchiati, esseri umani normali. Un giorno su un'isola simile alla sua, Chakuro, durante una ricognizione, trova una ragazza, Lykos, la cui scoperta cambierà il corso degli eventi.

Sicuramente l'universo in cui si viene catapultati gode di una grande originalità e di una gestione che a tratti si potrebbe definire magistrale. Il ruolo del protagonista, quello dell'archivista, appare fondamentale nella sopravvivenza e nel progresso della sua striminzita popolazione, ruolo che peraltro lo stesso Chakuro veste con grande devozione, mettendo più volte l'accento sull'importanza delle memorie tramandate alle generazioni future. Usi e costumi di questa popolazione sono fortemente legati alle caratteristiche che, nel bene e nel male, la definiscono; non hanno mai avuto modo di incontrare qualcuno fuori dalla Balena, non conoscono quasi nulla del proprio passato, non godono di una vita longeva causa il marchio del Saima, di cui sono dotati nove abitanti su dieci. Tutto fa parte dell'orchestra e non stona assolutamente, andando a creare un mondo che, se non lo si sapesse per certo, potrebbe tranquillamente essere reale.

Nella grafica e nel sonoro, "Children of the Whales" ha due dei suoi cavalli vincenti. Il chara design è semplice, bello e accattivante (preso singolarmente, voto 10); le ambientazioni sono parzialmente sperimentali e di conseguenza estremamente soggettive (personalmente, 10 anche a loro). Opening ed ending, anch'esse molto soggettive, le definirei sublimi (10 pure qui); le colonne sonore sono semplici ed evocative, e ho trovato perfette anche loro (10, di nuovo). Non serve aggiungere altro, suppongo.

Il messaggio che "Children of the Whales" porta con sé è incentrato sul concetto di emozione. Nel corso della storia si viene più volte messi di fronte a una domanda: "E' giusto o sbagliato che le persone, così deboli e fragili, siano guidate nelle loro scelte da qualcosa di così mutevole come le emozioni?" Sicuramente questo elemento non gode della stessa originalità del mondo fantasy creato, ma risulta comunque attuale, perché dare una risposta alla precedente domanda non è affatto semplice. Sulla Balena di Fango sicuramente la risposta la sanno (e io sono d'accordo con loro) e quello che colpisce è il forte legame che hanno, nel bene e nel male, con le loro lacrime, con il dolore, per essere più precisi, perché, come ci viene detto dallo stesso Chakuro, "questo dolore è una testimonianza". Potrebbe sembrare scontato dire che senza emozioni non saremmo nemmeno classificabili come esseri umani, eppure si percepisce ben volentieri, perché tutto sommato esserne privi avrebbe i suoi vantaggi, e ricordarlo non fa mai male.

Quello che fa male invece è vedere questo messaggio portato da questi personaggi, che personalmente definirei senz'anima. Si denota facilmente come le azioni dei protagonisti, e dei personaggi secondari, siano dettate da un copione piuttosto banale e controverso. Si passa dallo stereotipo, che di per sé non è necessariamente un male, ma in questo caso lo è, all'estremizzazione, anch'essa non un male di per sé, ma in "Children of the Whales" sì. Gli stereotipi muovono scelte opinabili e controverse, come se le emozioni non le avessero, quando invece dovrebbero agire proprio in funzione di esse; le estremizzazioni sono invece totalmente prive di contestualizzazione, atte ad avvolgere veli attorno a un presunto mistero che si scopre ben presto non esistere affatto. Il tutto appare come una grossa e comune forzatura che non risparmia nessuno dei personaggi, a favore di una trama che, nonostante questo callo, si regge in piedi piuttosto bene.

Concludendo, bisogna tenere a mente che manca almeno un'altra stagione, ma questi primi dodici episodi avrebbero senza fatica rasentato la perfezione, se non fosse stato appunto per il punto debole avuto nelle caratterizzazioni, se così si possono chiamare, dei personaggi, protagonisti o no che fossero.


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Mitsuki_92

Episodi visti: 12/12 --- Voto 9
"Kujira no Kora wa Sajou ni Utau", letteralmente "I bambini della Balena cantano sulla sabbia", è un anime composto da dodici episodi, trasmesso nel Sol Levante nella stagione autunnale 2017, e arrivato in madrepatria grazie a Netflix a marzo 2018, pubblicato in blocco e doppiato. Dal titolo internazionale "Children of the Whales", è tratto dall'omonimo manga scritto e disegnato da Abi Umeda, che conta undici volumi all'attivo, ed è ancora in corso. Questo fa ben capire che l'anime ha tutt'altro che un finale chiuso, bensì aperto, e in attesa di una seconda stagione. La trasposizione animata, infatti, racchiude solo i primi cinque volumi del manga, edito da Star Comics.

"Children of the Whales" racconta di un mondo immaginario, dove ci sono isole galleggianti in un mare di sabbia, e in particolare conosciamo la popolazione della Balena di Fango. Qui la gente è divisa in due gruppi, i marchiati che possono usare la thymia, ma hanno vita breve, e i non marchiati senza poteri, longevi e quindi capi della comunità. Chakuro è un ragazzo marchiato di quattordici anni, ed è l'archivista dell'isola, trascrive ogni singolo evento, cercando di non farsi prendere troppo dalle emozioni. Infatti, sulla Balena di Fango, è vietato disperarsi di una morte, poiché già è noto che i marchiati possono vivere massimo trent'anni. Un giorno viene avvistata un'isola fluttuante in lontananza, e si parte in ricognizione in cerca di vivande da raccogliere. Alla spedizione partecipa anche Chakuro, e lì si fa quasi ammazzare da una strana ragazza, Lykos, unica sopravvissuta di quell'isola. Quell'incontro cambierà per sempre la vita di Chakuro e degli abitanti della Balena di Fango, sconvolgendoli del tutto.

Il punto forte di quest'anime è la trama, così semplice, ma così efficace, piena di colpi di scena e di misteri, tanti misteri. Bastano pochi episodi per immergersi in un mondo fatto di regole ben precise, e di sentimenti che vanno celati. C'è violenza, e anche tanta, quindi, se siete deboli di cuore, non ve lo consiglio. Sono stata così catturata dalla storia, che ho finito la visione in soli quattro giorni. Vi affezionerete subito ai personaggi, ma non fateci troppo affidamento... è un anime che ti strugge dentro, ma che alla fine ti lascia un senso di speranza. Mai arrendersi al proprio destino già scritto da altri, ma ribellarsi e procedere di testa propria, cantando ad alta voce la via che si vuole percorrere.

Dal punto di vista tecnico, eccelle sia in animazioni sia in colonna sonora: ci sono delle sequenze d'impatto molto forti, e la musica ne fa da padrona. Grazie anche all'opening e all'ending davvero orecchiabili, è un anime che si lascia vedere con curiosità. La caratterizzazione dei personaggi è davvero completa, sia per i protagonisti sia per i personaggi secondari, grazie a un doppiaggio (sia giapponese sia italiano) che rende al massimo i sentimenti, e anzi, li nasconde. Infatti, conoscendo Lykos, si scopre che il mondo esterno alla Balena di Fango vive nell'apatia assoluta, come dei burattini agli ordini dei superiori. Questa complessa visione del mondo sarà ben spiegata nel corso degli episodi, e sta solo a voi scoprirlo!

Quest'anime mi ha folgorata positivamente, non ne vedevo di questo genere da un sacco di tempo, e, sebbene sia alquanto cruento, non mi ha spaventata, ma invogliata a sapere di più e di più, anche se in lacrime. Confido davvero in una seconda stagione, perché possiamo considerare questa prima stagione come un prologo a quel che accadrà in futuro. Ci sono tanti personaggi che aspettano solo di esser conosciuti e capiti da voi. Vedetelo, e non vi deluderà. E' una storia originale, parla di bambini, di magia, di guerra e sangue, in un mondo fantasy vasto e ancora inesplorato. Voto 9, mi è proprio piaciuto!


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AnthonySoma-sensei

Episodi visti: 12/12 --- Voto 8
I sentimenti o le emozioni spesso possono decidere le sorti di un’amicizia, di un rapporto amoroso, di un collettivo, ma a quanto pare anche dell’intera umanità... questo è il crudele destino dell’universo fantasy di “Kujira no Kora wa Sajou ni Utau”, nel quale, dopo incessanti e strazianti guerre per la conquista del potere, si afferma come principale autorità mondiale uno stato gerarchizzato e costituito da individui apatici, il cui unico obbiettivo è quello di obbedire seduta stante agli ordini dei propri superiori e di conquistare inesorabilmente il mondo, senza lasciare spazio all’emotività o alla comprensione dei popoli altrui.
Tuttavia le vicende hanno inizio da tutta altra parte, sulla nave Mud Whale (Balena di Fango), la quale cavalca e solca, nel vero senso della parola, infinite distese di sabbia, alla ricerca di una meta e soprattutto di un’identità: al suo interno vive pacificamente un piccolo agglomerato di persone, chiamato “Popolo di Falaina”, guidate da un capo villaggio e da un consiglio di Anziani, il quale ha autorità assoluta su tutti e le sue decisioni sono inconfutabili. Una caratteristica misteriosa della popolazione è la sua divisione in due schieramenti: i Segnati, coloro i quali possono spostare oggetti e strumenti con la mente attraverso un particolare potere magico chiamato “thymia”, a discapito però di una vita molto breve, e i Non-Segnati, individui che non possiedono il thymia ma che possono godere di una vita longeva e duratura. Il protagonista della storia è Chakuro, un ragazzino segnato quattordicenne che svolge la professione di archivista, cioè ha il compito di descrivere e narrare ai posteri gli eventi più importanti e la vita quotidiana degli abitanti della nave. Naturalmente il nostro protagonista ha un sogno nel cassetto: riuscire a vedere il mondo esterno, poiché, nonostante ben novantatré anni di documentazioni storiche e ritrovamenti di navi abbandonate, non sono mai stati avvistati individui non appartenenti alla Mud Whale.

Sebbene abbia visto decine e decine di ambientazioni fantasy, ritengo quella di “Kujira no Kora wa Sajou ni Utau” piuttosto innovativa e originale: il modo naturale in cui il mare venga sostituito da sconfinate distese di sabbia ardente è straordinario, oltretutto l’autore è riuscito a coadiuvarlo perfettamente con la creazione di alcuni riti tradizionali che molto spesso fanno riferimento a questo fenomeno (ad esempio, invece di seppellire i loro morti sotto terra, gli abitanti della Mud Whale lasciano sprofondare le bare dei loro cari all'interno del mare di sabbia). Un altro elemento interessante è sicuramente la “guerra interna” tra il popolo degli apatici e i falaniani: i primi hanno intenzione di sterminare i secondi non per manie di grandezza o di conquista, ma a quanto pare per ragioni molto più profonde e radicate, così cruciali da poter mettere in pericolo la credibilità e le certezze del nuovo stato.

La tematica principale dell’anime sono le “emozioni”, e lo stesso autore attraverso i due popoli è come se volesse trasmetterci due tipologie di accezioni del termine: da una parte l’apatia, intesa come mancanza assoluta di emotività ed empatia sia personale che altrui; questo fattore viene esaltato non solo dalla brutalità e dalla facilità con cui gli apatici uccidono i loro nemici, ma anche dal fatto che il suo esercito è costituito in parte - udite, udite! - da bambini. Dall’altra parte, invece, l’emotività incondizionata dei falaniani, grazie alla quale riescono a trasformarsi piano piano in un popolo forte e unito, sebbene le notevoli difficoltà e debolezze, pronto ad affrontare qualsiasi calamità pur di preservare la propria sopravvivenza.

Sfortunatamente, tutto questo impianto non è supportato e coadiuvato da personaggi carismatici e ben caratterizzati, facendo naturalmente le dovute eccezioni... sebbene possa empatizzare per gli eventi tragici avvenuti durante le vicende, non è ammissibile che Chakuro pianga in quasi tutti e dodici episodi, mostrando sì e no qualche lato potenzialmente utile e carisma pari a zero (stereotipo del tipico protagonista degli anime giapponesi); per non parlare della ragazza apatica amica del protagonista, Lykos, la quale, inizialmente, sembrava un personaggio interessante da scrutare dal punto di vista psicologico, ma che, stando per brevissimo tempo a contatto con i falaniani, diventa addirittura più emotiva e insicura di loro. Da apprezzare, invece, Ryodari, il personaggio forse più odiato e irritante della serie; tuttavia è uno dei pochi personaggi che riesce a trasmetterti qualcosa, inoltre la sua personalità misteriosa è tutta da carpire e analizzare, in quanto, pur appartenendo al popolo degli apatici, sembra provare delle emozioni (aggressività e odio) nei confronti dei falaniani.

L’impianto grafico non mi ha esaltato particolarmente, il thymia delle navette nemiche è davvero imbarazzante, sembra essere stato disegnato dai produttori sopra le animazioni: per il resto sfondi e personaggi realizzati piuttosto bene, doppiaggio buono e soprattutto opening ed ending davvero sublimi, in tono con l’anime.

Per concludere, “Kujira no Kora wa Sajou ni Utau” è stato nel complesso un’ottima serie e con un finale di stagione apertissimo; spero in una seconda stagione che si concentri maggiormente sui personaggi in generale e sul miglioramento di alcuni aspetti grafici.
Il mio voto è 8!