Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

-

Tre motivi per guardare "The Seven Deadly Sins": il distributore è Netflix; te lo ha consigliato un amico fidato; ha avuto successo sul grande pubblico. Lo guardi e boom, scopri che i motivi per non guardarlo sono molto più di tre. Ma andiamo con ordine.

Trama: Elizabeth è la giovane figlia del re di Britannia e, dopo che il padre è stato spodestato dai Cavalieri Sacri con un colpo di stato, parte alla ricerca dei Peccati Capitali, sette cavalieri dati erroneamente per morti dieci anni prima e dotati di enormi poteri. Il suo intento è chiedere loro aiuto per riprendersi il regno. Durante la ricerca si imbatte in un giovane biondo col tatuaggio di un drago, Lord Meliodas, il capitano dei Sette.

I problemi di questa serie si potrebbero comodamente riassumere in tre parole e due simboli: copia-incolla + fanservice; ma ci sono in realtà molte cose da dire. Ecco perché tratterò prima gli aspetti positivi, che comunque non mancano. C'è una trama, non è né particolarmente originale né articolata, per carità, ma corrisponde a quanto basta per dare forma a una serie di epici scontri tra cavalieri inseriti nell'avventuroso viaggio della principessa alla ricerca dei suoi salvatori; non manca quindi ciò che viene prevalentemente richiesto a uno shonen d'avventura: una storia piena di combattimenti. Inoltre, un anime di questo genere, è consigliato presentarlo con opening avvincenti e ritmate, che carichino quindi lo spettatore di hype, così da godersi al meglio l'episodio di turno. E c'è anche questo; sia la prima che la seconda (soprattutto la seconda) sono sigle di apertura di ottimo livello e per di più anche le ending sono belle e rimangono impresse. L'apparato grafico è accettabile, altalenante ma abbastanza buono nel complesso.

Il primo di una lunga serie di problemi legati a quest'opera sono purtroppo i combattimenti. Ed è anche il problema peggiore, visto che parliamo di uno shonen. Scontri privi di pathos, per di più o troppo telefonati e prevedibili o del tutto incomprensibili nel loro esistere, saturi di power up completamente casuali (tranne uno che bene o male ha una sua logica) e scene di splatter abusate fino alla noia (fanservice allo stato puro, purtroppo). Non è ammissibile che i combattimenti abbiano delle pecche in un anime che dovrebbe avere nei combattimenti il suo cavallo di battaglia.
Secondo grosso problema è la caratterizzazione dei personaggi, che si divide in due gruppi: gruppo degli stereotipati (dei veri e propri copia e incolla) o gruppo dei privi di caratterizzazione (anche peggio degli stereotipati). Per correttezza è doveroso citare un'eccezione: Ban, il cui personaggio è ben definito, interessante e approfondito. Il resto è da buttare via.
Terzo problema è il trattamento del genere femminile. Oltre al fanservice, che è veramente abusato, si susseguono scene che sfiorano il ridicolo, facendo sembrare la bellissima Elizabeth una prostituta più che una principessa. Inoltre le ragazze, a parte il possesso di due belle tette, cosa che comunque non mi dispiace, non servono assolutamente a niente, il che non è un bene.
Quarto problema è il modo in cui viene sviluppata la trama; per inciso: non viene sviluppata affatto. Se si eliminano un paio di "colpi di scena" piazzati praticamente a caso nella storia, di questa trama non rimane quasi nulla. Anzi, alcuni "colpi di scena" addirittura rovinano quel poco di buono che c'è. Più che approfondimenti, quelli che si susseguono sono buchi e tappabuchi che ricordano gli adattamenti di light novel più che di manga.
Si potrebbe continuare, ma sarebbe inevitabile allora aggiungere degli spoiler, e preferisco quindi fermarmi qui.

Di quest'opera salvo tre cose: Ban e le due sigle di apertura. Il resto è veramente spazzatura, truccata con ombretto e rossetto e ben vestita, ma pur sempre spazzatura. Forse il chara design di Elizabeth posso aggiungere ai salvataggi, ma poi basta.

-

“Che il mare vi sia lieve, figli della Balena, come lo è la terra per chi lascia il mondo dei vivi.” Potremmo tradurlo così, il pensiero andante di quest’opera.
Fortemente ispirato dalle animazioni immaginate alla fine del secolo scorso, da cui attinge a piene mani, “Children of the Whales” ha un’impostazione a cavallo fra i sapori dello Studio Ghibli nel suo periodo di gloria più nota e un’impronta vagamente post-apocalittica, capace di richiamare, sebbene alla lontana, le atmosfere utopiche e distanti di mondi tenui e spaventosi come “Nausicaa della Valle del vento”, ma non solo: grazie a fondali artigianali che di primo impatto rievocano la nostalgia dello studio Squaresoft durante il periodo fra “Final Fantasy Tactics” e “Final Fantasy IX”, l’insieme guadagna un gusto più retrò, fiabesco ed esotico. Gli ambienti, caldi, esplicitamente manuali e preziosamente imperfetti, comunicano un calore ormai quasi del tutto sopito nelle opere moderne: immagini sempre differenti, sia per colore sia per i sentimenti che per fantasia; le sensazioni che riescono ad ispirare sanno di canapa acquarellata dalle intense sfumature, di fondi di caffè, di the raccolto con un cucchiaino, di polvere di zaffiro sul fondo del pestello, di grano al sole di mezzogiorno e tramonti lontani. Tutta questa magia manuale la si apprezza in modo netto nella colorazione dei cieli e degli spazi più ampi, dove di tanto in tanto si può notare addirittura una simulazione di texture che richiama le ipotetiche superfici usate per creare l’art. Il risultato di tale lavoro si traduce in fogli intrisi di pigmenti piacevoli e accompagnatori; un mix di mistero, nostalgia e scoperta, una cornice adatta alla storia che inizia con un criptico ed emozionante crescendo, ma che, purtroppo, non vedrà l’epilogo che meriterebbe.

Questa è la storia di Chakuro, un giovane adolescente che vive a bordo di una vera e propria nave rudimentale, una sorta di isola semovente capace di solcare un interminabile, torrido e misterioso oceano di sabbia. La “balena di fango” (questo è il nome della nave rocciosa su cui vivono) è la loro unica realtà, il loro piccolo mondo in continuo movimento. Ma com’è insito nella natura umana, ogni quesito prima o poi ha bisogno di una risposta, e quello più scontato è capire come mai un centinaio e passa di esseri umani ha sempre vissuto su questa nave misteriosa, nel bel mezzo di un mare di sabbia. E perché il mare è fatto... di sabbia? Come se non bastasse, la quasi totalità degli abitanti della Balena sembra nascere con una peculiarità unica, per non dire eccezionale: sono capaci di utilizzare la Thimia, una sorta di potere “magico” che funziona sulla breve distanza, e con cui è possibile interagire con persone e oggetti. Purtroppo, lo scotto da pagare per questo “dono” è una morte inevitabilmente precoce; difatti, i portatori di Thimia lasciano questo mondo intorno ai trenta, massimo trentacinque anni.
Queste domande e altre ancora continuano a fermentare in testa a Chakuro e ai suoi amici, e mentre un consiglio di anziani gestisce la situazione con un sospetto pragmatismo, la Balena di fango incrocia un’altra nave che pare disabitata. Qui Chakuro incontrerà una persona che cambierà la sua vita e quella di tutti gli abitanti della Balena... per sempre.
Un inizio piuttosto originale, un’opening davvero orecchiabile, una colonna sonora preziosa e una ending davvero eccezionale formano un comparto sonoro di tutto rispetto.

I protagonisti sono giovani, superstiti di qualcosa che non viene immantinente illustrato, ma che ricalca una sorta di “Waterworld” desertico, un vagare incerto che nasconde una lontana disperazione, ben ovattata dalle usanze di quello che si scoprirà passo dopo passo trattarsi di un ignaro popolo alla deriva di sé stesso, prima che di qualsiasi altro luogo.
Se il primo episodio introduce la storia a grandi linee, dal secondo getta le basi per ciò che sarà probabilmente una tragedia quantomeno inaspettata. Man mano che si prosegue, si percepisce un crescendo sempre più amaro e drammatico, con un cambio di passo lento e inesorabile, e con esso la narrazione diviene esasperata, tant’è che l’attenzione dello spettatore ne è inevitabilmente influenzata. Le rivelazioni e i colpi di scena, tuttavia, non appaiono scioccanti o apocalittici come potrebbero (e in alcuni frangenti dovrebbero) essere, poiché si possono percepire “nell’aria”, come una sentenza inabrogabile e per questo non eclatante, fino, comunque, al raggiungimento di un livello di crudezza e spietatezza che non si sarebbero certo potute immaginare, a inizio visione.
Nonostante tali premesse - che avrebbero dovuto caricare di orrore e sofferenza chi osserva -, si ha la sensazione di non percepire appieno questo treno di emozioni travolgenti, e probabilmente la causa è da attribuire al comportamento dei personaggi e alle loro animazioni: non sempre esternano stati d’animo ed emozioni che ci potremmo aspettare, e, almeno nella prima parte dell’anime, la narrazione stenta a decollare. L’impatto che ne scaturisce si traduce in un andamento blando, più di quanto ci si possa attendere; alcune pause fra dialoghi, determinati momenti morti e situazioni lente e reiterate non aiutano certo a mitigare questa sensazione.

Dopo un avvio farraginoso e altalenante, nell’ultimo terzo di storia, fortunatamente, si prende il volo. Il fantasma della guerra è presente anche in questa storia. Certo, in altre vesti e con altre forme, eppure ci racconta qualcosa che ricorda un “antisemitismo” osceno e sempre attuale, un odio atavico e razziale fra differenti popoli e imperi, una lotta che non è soltanto per la sopravvivenza del più forte, ma nasce dall’odio indiscriminato e da antiche profezie figlie di ignoranza e paura, e finisce per dilagare in soprusi e violenze senza freni, nel più classico, rivoltante e reale degli orrori umani.
Si viaggia così crudi e concreti verso un finale che muta ancora volto, proponendoci colpi di scena apprezzabili e inaspettati. Ed ecco quindi il sorgere di antiche leggende fra l’onirico e il fatato, creature arcaiche che si rivelano altresì rivisitazioni di miti e semidivinità legate alle essenze di queste città-nave semoventi, capaci di condizionare e plasmare addirittura l’andamento del creato, e che si sospetta siano state causa delle condizioni del mondo attuale. Una ascesa perpendicolare che aggiunge una massiccia dose di fantasy puro e, finalmente, un coinvolgimento totale.

“Children of the Whales” è pervaso di drammaticità per l’intera durata, va a braccetto con morte e dolore, e a conti fatti sono le emozioni le vere protagoniste di questa saga: l’intero spettro emotivo, per l’esattezza. Dalla serenità più dolce alla tristezza più profonda, nulla è trascurato, ma, alla fine dei conti, il prodotto ha l’inconfondibile sapore di una deludente incompletezza.
Gli ultimi due episodi aprono un intero mondo di ipotesi, di future storie e chissà cos’altro, il tutto accompagnato da disegni ancora più curati e una cura ai dettagli davvero favolosa; si tratta di un non-finale poetico, dolceamaro e introspettivo, che incanala lo spettatore a uno scenario ancora più grande e clamoroso che a quanto pare non vedremo mai, poiché non sono previste seconde stagioni... almeno al momento.
Bisogna essere onesti: se il manga è un must e racconta tutto ciò che qui manca, veder troncato di netto un lavoro così buono è veramente una grande delusione.

-

Premetto che mi sono iscritto a questo sito praticamente spronato da voler recensire questo manga, quindi già da qui potrete capire l'impatto che ha avuto su di me quella che io reputo una piccola opera d'arte.
Bisogna, secondo me, partire da una premessa: Dai non nasce come opera autonoma ma come trasposizione su carta di una delle saghe più importanti del mondo videoludico nipponico, cioè "Dragon Quest".
Parto da questo occorre chiarire che a differenza di altri manga che nascevano per esigenza di merchandising come ad esempio Saint Seiya, Dai ha raggiunto una maturità tale da poter essere senza dubbio considerata opera a sé, per giunta molto ben riuscita.
Non intendo dilungarmi sulla trama, ma preferisco soffermarmi sui Pro e i Contro che ho riscontrato leggendolo.
L'opera mostra chiaramente durante i vari capitoli la crescita del gruppo del prode guerriero. Fra i vari personaggi, infatti, ognuno, al momento della presentazione al pubblico, è caratterizzato da pecche che lo contraddistinguono e che nel corso dell'opera vengono limate con sapienza tramutandosi nei pregi e nelle caratteristiche degli stessi alla fine dell'opera.

La trama tende a decollare con un po' di lentezza, i primi capitoli sembrano narrare una storia lenta e noiosa oggettivamente, ma basta attendere poco per trovarsi proiettati in un mondo davvero ben curato che poco a poco attira sempre più il lettore.
Per quanto la trama forse risulti un po' troppo lineare (caratteristica di ogni possibile titolo Dragon Quest, caratterizzato da colpi di scena ben poco sconvolgenti), riesce a far nascere un forte legame fra il lettore e protagonisti, che ben descritti caratterialmente entrano facilmente nel cuore di chi segue la storia e le avventure del prode guerriero.
Il disegno è curatissimo e probabilmente è una delle caratteristiche che più lo avvicina a Toriyama, tanto che parte della critica lo identificava come uno dei reali creatori dell'opera, tesi sfatata ma tenendo comunque conto che coordinando la squadra di scrittori e disegnatori penso che una minima influenza ci sia stata.

Per me quest'opera riesce a rispecchiare l'idea di Dragon Quest, anzi a tratti la supera mostrando un mondo che va preso con leggerezza, questo è un manga semplice e lineare, non un evangelion né un Attack on Titan, è un opera che va letta senza la pretesa di trovare un obbligatorio colpo di scena, per quanto l'opera in realtà ne sia zeppa.
Per ora sembra che abbia elencato solo lati positivi, quindi mi soffermerò sul suo per me unico lato negativo: i continui clichè.
L'opera probabilmente paga due elementi: punto primo è un manga vecchio, quindi qualsiasi cosa che ad oggi risulta essere scontata lì per lì al momento della prima uscita forse non lo era; punto secondo, è pur sempre una storia ideata sulla base di Dragon Quest, che oggettivamente mantiene sempre una sua trama di fondo ben delineata. Probabilmente almeno una volta leggendolo vi troverete a pensare che un dato evento era davvero "scontato".

Detto ciò sarà difficile far sì che la nuova generazione possa avvicinarsi ad un'opera del genere, per quanto poca fama abbia avuto oggettivamente in nazioni diverse da quella nipponica. Per me il voto reale dell'opera sarebbe un otto e mezzo, ma preferisco alzarlo a nove per incoraggiare qualsiasi possibile lettore della mia recensione: non perdetevelo, è davvero bello!