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キョン

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Genji Monogatari: Sennen no Nazo (源氏物語 千年の謎, La storia di Genji: un enigma millenario) è l'ennesima trasposizione filmica del capolavoro di Murasaki Shikibu, probabilmente il primo romanzo psicologico della letteratura mondiale (il più datato adattamento cinematografico risale al secondo dopoguerra giapponese, per la regia di Kōzaburō Yoshimura). Numerosissima è, più in generale, la progenie di rivisitazioni e reincarnazioni della creatura letteraria dell'epoca Heian, che, tra i monumenti immortali del genio artistico giapponese, è verosimilmente la più vitale, quella capace di attraversare più in profondità le correnti sotterranee della Weltanschauung nipponica, fino a riprodursi per gemmazione in un'efflorescenza di adattamenti, anche, e oserei dire soprattutto, all'interno della taishū bunka (pop culture), regalandoci opere "derivate" pregevolissime, come nel caso esemplare di "Asaki yumemishi" (Non farò sogni effimeri), shōjo manga di Waki Yamato tratto appunto dal classico della Shikibu.
Ci si potrebbe a questo punto chiedere quale sia la novità dello sguardo sul Genji offertoci da Sennen no Nazo, quale la chiave di lettura di un'opera così ermeneuticamente lontana da noi regalataci dalle sequenze della pellicola diretta da Yasuo Tsuruhashi. Cominciamo col dire che il film è in verità frutto di una preesistente rilettura dell'originale, in quanto trasposizione su pellicola di un precedente adattamento, il Genji Monogatari: Kanashimi no Ōji (源氏物語 悲しみの皇子) di Yukiko Takayama (scriptwriter di lungo corso per il cinema dal vivo e le opere di animazione; suo lo screenplay della serie TV Il fedele Patrash del 1975), dato alle stampe nel 2010 e tra le cui filiazioni si annovera altresì un manga disegnato da Tooko Miyagi.
L'omaggio di Takayama al "Principe Splendente" sembra dunque possedere nel DNA una vocazione crossmediale, approdando infine al grande pubblico sotto le spoglie del film di Tsuruhashi, che, per l'occasione, affida il ruolo di protagonista al celebre e versatile Tōma Ikuta. Dicevamo della specificità di Sennen no Nazo e del suo punto di vista in qualche modo originale. Focus della vicenda è un duplice rapporto: l'uno immaginato come storico e l'altro doppiamente immaginario. Si tratta da una parte del legame tra dama Murasaki Shikibu (interpretata magistralmente da Miki Nakatani) e Michinaga Fujiwara (Noriyuki Higashiyama). Nell'intreccio, Fujiwara "commissiona" alla colta scrittrice la stesura di un racconto che possa tenere uniti la propria figlia, Fujiwara no Shoshi (della quale Shikibu fu, nella realtà storica, ancella e tutrice), e l'Imperatore Ichijo: questo sarebbe dunque il casus all'origine del romanzo, la verità nascosta dietro l'enigma millenario del Genji. Dall'altra parte, il rapporto Murasaki/Michinaga trova il proprio doppio al di là della finzione narrativa, proiettandosi simbolicamente nella relazione impossibile tra Genji e Kiritsubo-sama, a sua volta mascheramento di una relazione ancora più inimmaginabile, quella tra Murasaki Shikibu e Hikaru Genji. Ecco che la moltiplicazione immaginifica, nell'irrealtà della corte finzionale, degli incontri impossibili tra lo splendido Genji e la pienezza dell'appagamento amoroso, fa da stanza degli specchi per la passione di Murasaki, che, tra le pieghe di un libro apparentemente impostole da una volontà esterna e da uno scopo strumentale, trova invece all'opera una legge interiore, che, anche al di là della sua volontà, la spinge a scrivere della crudeltà di un amore proibito, sia esso verità o finzione. È su questo piano trasparente, attraverso l'artificio dell'opera dentro l'opera, o del libro dentro la pellicola, che lo spettatore, assieme a Michinaga, arriva a scoprire la verità di Murasaki. Alla fine del racconto, come Fujiwara, ci si ritrova "completamente stregati", pronti a credere nell'interscambiabilità tra sogno e vita.
"Questo mondo, io penso, è in verità il mio mondo". I confini, labili, tra realtà e finzione, cedono sotto le incalzanti sovrapposizioni del montaggio, perennemente in bilico tra l'epoca Heian raccontata dalla storia e quella raccontata nella storia, tra il mondo dietro i paraventi dell'arte di Shikibu e quello "catturato" dalla macchina da presa, che indifferentemente si presta al tempo "primario" della vicenda terrena di Lady Murasaki e a quello "secondario" del suo racconto, confondendo i piani e avvicinando progressivamente il lettore/spettatore a una visione del mondo come rappresentazione scenica, allestita nel microcosmo della corte.
Genji, incredibilmente benedetto dalla nascita, emblema della bellezza, sconta il destino più crudele: essere separato dall'amore, dall'unica che davvero può dargli pace. Fujitsubo no miya-sama, la sua matrigna, moglie scelta dall'Imperatore quale unica consolazione per la perdita dell'amata Kiritsubo, diventa l'ossessione del "Principe Splendente", il bene irraggiungibile, la casella irrimediabilmente vuota della sua esistenza. Vano è per lui tentare di occuparla con la delicatezza della signora Yugao-sama ("la Signora degli yugao"), o di ricoprire di tenerezza l'infelice Aoi no ue ("la Signora degli aoi", impersonata dalla dolce Mikako Tabe), o ancora di annegare il desiderio nella passione distruttiva di Rokujo no Miyasudokoro.
"Il Principe Genji, che perse la madre in tenera età e passò la sua infanzia privo d'amore, era un servitore ancora desideroso d'amore". Perché "non importa quanto a lungo si viva… se non riesci a realizzare neppure un sogno, che valore avrebbe una vita del genere?". È talmente profonda l'amarezza di Genji, che la stessa Murasaki sembra perdervisi dentro. È davvero risolto, o mai risolvibile, il mistero di dama Shikibu, se esso è persino più profondo di quello del suo personaggio immortale? Possono aiutarci in qualche modo gli storici che, come il Waley, credono in un coinvolgimento romantico tra Murasaki Shikibu e Fujiwara no Michinaga? Il diario di Lady Murasaki oscilla tra l'intesa e la ricusa delle avances amorose di lui: "Tu non hai letto il mio libro, né conquistato il mio cuore". Lo stesso Fujiwara, eppure, sembra essersi intrufolato di notte nelle stanze di lei, per rubare un nuovo capitolo del Monogatari. Forse, più che i resoconti storici, può allora gettar luce sul mistero di mille anni la fantasia di un'opera sottilmente visionaria come il Sennen no Nazo.
Probabilmente l'impressione più duratura riportata dallo spettatore sarà l'abbagliante caleidoscopio cromatico delle vesti, degli ambienti e dei giardini dell'epoca Heian: l'eleganza cortese che trasfigura la passione cocente in resa cromatica, in controllo del gesto, della danza, del tratto: in nuce, tutta l'estetica nipponica della corte di Kyoto, sopravvissuta, pur cangiante, nei secoli. Caducità, bellezza, destino: la sorte di Genji dà la misura di quanto il contrasto tra bellezza e tristezza (viene in mente Kawabata) possa dar vita a una poesia struggente.
Tsuruhashi ricrea le ambientazioni Heian con riuscita minuzia. I dialoghi, i titoli onorifici, il ritmo stesso delle conversazioni contribuiscono a una sorta di "realismo storico", pur se trasfigurato attraverso la cortina del rimando letterario. Convincono le recitazioni di Tōma Ikuta, espressivo e tormentato, di Mikako Tabe (probabilmente tagliata per i ruoli storici, considerata l'assegnazione della parte di Iemitsu in Ohoku - Tanjou) e di Miki Nakatani, un'ineffabile Murasaki. Forse troppo enfatico il Fujiwara di Noriyuki Higashiyama. Sorprende, nel bene e nel male, la Rokujo-sama di Rena Tanaka.
Non convince forse la vena horror di alcune scene che vedono coinvolte la stessa Rokujo, probabilmente in contrasto con la cifra estetica che inevitabilmente vien fatto di associare al Genji. La declinazione orrorifica, seppur filtrata attraverso i riferimenti allo sciamanesimo degli onmyōji, sembra rendere visivamente in modo improprio la pur inquietante presenza dello spirito di Rokujo-sama. Tuttavia, va segnalata la recitazione eccellente della Tanaka, profondamente calatasi nel ruolo della disperata amante del Principe.
Sennen no Nazo condivide con opere affini della filmografia nipponica un pregio su cui val la pena soffermarsi: il significato espressivo del silenzio. In un'arte proiettiva come il cinema, lo spettatore trova nelle pause tra i dialoghi modo e tempo di rileggere la storia e di diventarne parte. Oserei dire che proprio il "narratore silenzioso" è quello che meglio svela, velandolo, l'enigma millenario del Genji Monogatari. È in esso che si stagliano, meravigliose, fragili ed effimere, le figure della storia, come nubi passeggere davanti alla luna.
Infine, Fujiwara può dire: "Brillo come la luna piena, non offuscato da nubi". Ma non può essere certo quello il suo desiderio. La sua brama, così come quella di Genji, resta irrimediabilmente inappagata, mentre Murasaki e la sua creatura si avviano verso l'eternità.