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Kumogakure

Volumi letti: 4/4 --- Voto 6
Dal punto di vista grafico è abbastanza standard, sì caruccio ma senza eccellere o con un tratto caratterizzante sufficientemente personalizzato da renderlo degno di nota. Le cover son belline.
La storia… si parte tutto sommato bene anche se sia la percezione dell’ambiente che l’obbiettivo della missione del nostro dinamico duo sono poco chiari – e no, le schede scritte in font micro non aiutano, sono solo fini a sé stesse. La coppia di protagonisti ha dalla propria una forte contrapposizione, da un lato la filantropica Chico che vorrebbe salvare tutto e tutti, robot compresi; dopotutto l’avanzamento tecnologico è andato talmente avanti assottigliando sempre più le differenze tra uomo e macchina. P1no, il suo pragmatico fratellino, invece ha un approccio decisamente più spiccio. Il tutto mitigato da simpatiche gag basate sul classico conflitto fratello-sorella.

Il loro avventuroso viaggio in un contesto di tecnologia futuristica decadente all’apparenza sembrerebbe molto promettente con una punta di drammaticità, e di fatto lo è, peccato che quando ho letto il secondo tankobon sono rimasto di stucco… l’ho trovato pressochè identico al primo. Stesse situazioni risolte nel medesimo modo che hanno aggiunto poco/niente. La cosa non sarebbe poi un male così grave in sé, se non fosse che parliamo di un manga in 20 capitoli spalmati su 4 volumi. Fra arcologia, tecnologi, guerre dimenticate, scienza perduta – e Dio solo sa cos’altro – c’è di che rimanere perplessi.

A discapito di una trama orizzontale che fa acqua da tutte le parti, i rapporti interpersonali con personaggi secondari legati ai due protagonisti o alla madre sono il punto di forza e quasi di riscatto di questo titolo (evidente nel volume successivo). In un manga dichiaratamente incentrato sulle macchine, paradossalmente, proprio queste ultime risultano esserne il punto debole. La confusionaria storia trova il suo compimento (senza epilogo) prendendosi tutto l’intero ultimo numero, per uno spiegone che definirei appropriatamente come “supercazzola prematurata con doppio scappellamento a destra”. Il capitolo conclusivo riesce a fare un po’ di chiarezza, ciononostante vi si arriva ormai con logorante disinteresse. Solo l’ambito familiare riesce a non far spegnere completamente l’attenzione.

Quante cose tra l’altro sono state appena accennate nel corso dell’opera, ci sarebbe veramente un mondo di roba da chiarire – come ammette la stessa autrice nella postfazione aggiungendo che Terrarium è finito ‘per ora…’ – ma per quanto mi riguarda, no grazie. Anche perché avrebbe potuto tranquillamente abbozzare meno elementi, inutili, fornire un’ambientazione più semplice da gestire, ed il nucleo del racconto non sarebbe affatto cambiato. Si è complicata la vita da sola.
Sarà pure una serie di fantascienza crepuscolare consigliata dai librai giapponesi come uno dei migliori manga dell'anno di riferimento… però nel complesso non va oltre la sufficienza.