Dopo una succosa anteprima, in cui aveva sicuramente incuriosito i più, Hell is Us è finalmente tra noi. Il primo Action/RPG di Rogue Factor, dopo due RPG di stampo tattico, riesce a ritagliarsi un proprio spazio grazie alle sue peculiarità, incentrate soprattutto su un'esplorazione marcata e un world building crudo, che probabilmente vuole comunicare ben più di quanto appaia a un primo sguardo.
Siamo nel 1993: in una nazione fittizia chiamata Hadea (con tratti dell'est-Europa), si è scatenata una devastazione inimmaginabile, con una guerra civile tra Palomiani e Sabiniani che ha radici profonde, almeno di duemila anni. Nonostante l'intervento delle Nazioni Organizzate (praticamente l'ONU) il conflitto sembra lontano dal concludersi. In questo contesto, saremo chiamati a risolvere un antico mistero che non solo minaccia Hadea ma il mondo intero.

Quello che ci propone Hell is Us è un'atmosfera molto cupa, in cui il conflitto è raccontato in tutte le sue tragiche sfaccettature. E di certo, non le manda a dire: tutto il peggio dell'essere umano viene raccontato senza giri di parole, sbattendo in faccia al giocatore tutte le atrocità della guerra.
Non è certo la prima volta che vediamo trattato questo tema con particolare crudezza: This War of Mine o Valiant Arts sono normalmente i due esempi cardine, con la guerra vissuta dal punto di vista di persone comuni. Hell is Us ci si avvicina parecchio e avendo un aspetto realistico, le sensazioni suscitate riescono a penetrare forse con una forza maggiore.
Non è solo una questione visiva però: è anche l'audio, o meglio, i dialoghi di alcuni personaggi che lasciano sgomenti, nonostante si tratti un'opera di finzione (e Rogue Factor ci ha tenuto a precisarlo per bene). Un odio verso l'altro, verso la pura e semplice esistenza di individui a cui ancora vengono affibbiate colpe ancestrali. Questo terribile contesto accompagna il giocatore per quasi tutto il titolo, perché a un certo punto, questa fiamma via via si affievolisce. La spinta emotiva del conflitto infatti, lascia spazio al mistero dei Cronocicli e delle strane entità che si stanno manifestando per tutta Hadea, trasformando il protagonista quasi in un archeologo, però ben lontano dal carisma di Indiana Jones.
Remi, un ex peacekeeper delle Nazioni Organizzate che diserta per poter tornare nel proprio paese, è un protagonista che non brilla certo per carisma, ma non è aiutato nemmeno dalla sceneggiatura. Un uomo di poche parole, con evidenti difficoltà a relazionarsi col prossimo e che si ritrova coinvolto suo malgrado in un destino ben più grande di lui. Non è però un personaggio memorabile, così come i comprimari. L'evoluzione di Remi avviene più attraverso un espediente narrativo piuttosto che durante la narrazione in sé, qualcosa di particolare, ma un po' troppo poco per essere efficace. Ma a conti fatti, tutti faticano a bucare realmente lo schermo e se non fosse per l'atmosfera generale, ci si dimenticherebbe facilmente della loro presenza. Cosa che in certi frangenti, effettivamente accade.
Se il world building funziona molto bene, lo è meno il viaggio di Remi, che è quello che poi effettivamente il giocatore vive. Il titolo infatti ci mette tra le mani una quest che presenta diversi buchi e soprattutto una parte finale mal gestita. Benché l'idea sia interessante, con l'utilizzo dell'espediente del flashback, lo sviluppo e le situazioni che si vengono a delineare sembrano frutto del caso o, peggio ancora, frutto di un'incoerenza di base. Nonostante i tanti documenti a disposizione, molte domande vengono lasciate senza risposta ma è soprattutto la messa in scena a destare qualche perplessità. Anche il modo in cui tutto comincia realmente, con l'inizio della quest vera e propria, manca di basi solide per essere vissuta realmente appieno. Tutto risulta un po' didascalico, così come le subquest legati alla chiusura dei Cronocicli e soprattutto sulle Buone Azioni.

Queste, infatti, presentano al giocatore la possibilità di aiutare in qualche modo le vittime del contesto di guerra. Il che si configura quasi sempre nel trovare un determinato oggetto e riportarlo indietro. Essendo molti i personaggi di questo tipo con cui interagiremo, sarebbe stato comodo un log in cui segnare e verificare lo svolgimento di queste mini-quest. Cosa che effettivamente esiste, ma con una particolarità: le immagini dei personaggi da aiutare sono “pixellate”, il che rende quasi impossibile ricordare chi aiutare e il luogo in cui si trova.
Questo non è un elemento da poco perché influenza la vivibilità del titolo. A un certo punto infatti, capiterà di utilizzare ogni oggetto a disposizione a tutti gli NPC sperando di beccare quello giusto. E gli NPC sono tanti...
Sarebbe bastato davvero mostrare le immagini per migliorare di gran lunga la situazione, così come per i piccoli misteri da svelare per tutta Hadea. Una scelta abbastanza incomprensibile.
Il ritmo di gioco è dunque influenzato anche da questi aspetti secondari. Volutamente lenta, l'esperienza di gioco vive di grosse pause intervallate dai combattimenti contro gli strani nemici. Bisogna dunque prendersi del tempo per esplorare le varie zone, studiare i molti enigmi e ricordarsi cosa fare. È per questo che aiutarsi con degli appunti non è una brutta idea.
Tuttavia, le varie zone di Hadea non presentano poi tutto questo intrattenimento. Spesso saremo portati a compiere lunghe attraversate in cui non succede letteralmente nulla da un punto a un altro della mappa e per quanto l'atmosfera possa aiutare nelle prime ore, il tutto può divenire frustrante nelle successive, quando ormai ci si è abituati un po' a tutto.
Ma come sono questi enigmi? Quelli principali sono sicuramente ben studiati e alcuni di loro richiedono una certa dedizione per essere completati. Anche qui, l'aiuto degli appunti può essere una buona idea, anche perché alcuni misteri, per essere risolti, richiedono lunghi spostamenti. La maggior parte però risultano abbastanza banali e nulla che non sia stato visto in molti altri titoli: se in Indiana Jones e l'Antico Cerchio (qui la recensione) questo aspetto era stato in parte criticato, qui la situazione non è certo migliore.

Dunque, atmosfera, world building, esplorazione e la risoluzione di enigmi sono i cardini di Hell is Us e più o meno, ci siamo. Il lavoro Rogue Factor avrebbe probabilmente funzionato meglio come avventura narrativa, in stile Life is Strange per intenderci. Il non dare dirette indicazioni al giocatore è un'idea vincente. Armati solo di bussola e vista, esplorare è un piacere la maggior parte delle volte, ma bisogna prepararsi al backtracking: molti elementi per risolvere gli enigmi, infatti, si trovano da tutt'altra parte ed è per questo che bisogna allenare per bene la memoria. Le varie componenti principali (nonché le migliori) avrebbero giovato di maggior spazio e rifinitura ma purtroppo il tutto è stato trasposto come action/RPG. Il team canadese ha infatti commesso lo stesso errore di Red Thread Games, autori di Dustborn (qui la recensione), “aggiungendo” una sezione action controproducente.
La proposta di Hell is Us è quella di combat system che cerca di mettere assieme peculiarità dell'Hack 'n' Slash e quelle del souls-like, attraverso quattro stili di combattimento dettati dalle altrettante armi utilizzate. Purtroppo però, il sistema è alquanto limitato, con una solo combo a disposizione e feedback non sempre soddisfacenti. Alla difficoltà equilibrata, che supponiamo sia quella standard creata dal team, tutto il sistema creato risulta un po' piatto. L'introduzione interessante della stamina legata direttamente alla salute, spinge il giocatore a sentire quasi l'ansia della fine, e anche questo si lega in qualche modo al realismo scelto dal team. La sua limitazione apparente è facilmente aggirabile grazie a un espediente ripreso direttamente dal ritmo Ki di Nioh, in cui dopo una serie di colpi assestati, possiamo recuperare salute premendo il dorsale destro al momento giusto. Questo però appiattisce ancor di più tutto il sistema, perché morire sarà davvero difficile. Alla difficoltà normale i nemici non ritornano in vita,a meno che non si cambi area; cosa che migliorare enormemente le fasi esplorative. Se avesse avuto un sistema simile ai titoli FromSoftware, la frustrazione sarebbe stata davvero asfissiante.
Abbiamo a disposizione una doppia schivata, una parata e il parry, oltre ad alcuni poteri legati alle emozioni scaturite dalla guerra. Questi “elementi” possono essere infusi nelle nostre armi, il che dovrebbe aiutare nel combattimento contro chi possiede emozioni in antitesi. Banalmente verde contro il giallo e rosso contro il blu.
Abbiamo persino un drone (KAPI) che può aiutarci in combattimento diretto o fornendoci supporto, ampliando a dismisura le nostre possibilità. Sulla carta dunque, bene o male funziona tutto. Ma c'è un grande “ma”: i nemici. I cosiddetti Hollow Walker sono il punto debole di tutto il pacchetto, non solo dal punto di vista artistico, ma soprattutto di gameplay. Le cinque varietà presenti sono tutte disponibili già dalle prime ore di gioco e non bisogna andare molto lontani per capire cosa succede. Essenzialmente si combatte alla stessa maniera dall'inizio alla fine, anche perché i pattern dei nemici sono molto limitati. Intervengono però le manifestazioni delle emozioni, legate al conflitto: furia, disperazioni, terrore, euforia sono alcune con cui avremmo a che fare, manifestazioni geometriche che sembrano uscite direttamente da Gurren Lagann e che propongono diverse tipologie d'attacco. La loro conformazione però rende molto spesso difficoltoso capirne i moveset e le parti da colpire o da cui difendersi. Il design dei nemici dunque non solo risulta poco accattivante ma crea anche qualche problema d'esperienza al combattimento.

Tutto risulta molto abbozzato insomma e basta davvero poco per andare col pilota automatico, in cui non importa che tipo di arma si avrà tra le mani, che tipo di infusione possiede, le abilità del drone e così via. Le fasi action dunque non aggiungono molto. Questo aspetto non fa altro che dilatare ancora di più Hell is Us, che non solo si perde in traversate di poco conto ai fini della trama ma anche nei combattimenti, visti più come un fastidio che altro.
Non riesce a risollevare la situazione nemmeno gli scontri con i pochi boss presenti: per quanto concettualmente interessanti, legati sempre alle emozioni scaturite dal conflitto, la loro risoluzione risulta banale come il resto degli altri scontri, rompendo un po' il climax.
Il che è appunto un vero peccato perché artisticamente parlando è davvero interessante. Il mix tra realismo puro e misticismo trova negli ambienti di gioco il suo massimo splendore. Tutte le mappe proposte presentano temi specifici e ricollegate attraverso una lore in grado di aggiungere ulteriore personalità. Alcuni scenari sono davvero da cartolina mentre altri, potrebbero trovare tranquillamente spazio negli incubi di chi la guerra, l'ha vissuta. Come detto, quello che smorza gli entusiasmi, è il design dei nemici. Anche qui, concettualmente, sono interessanti: in un contesto così realistico, avere qualcosa che spicca e totalmente alieno è una buona base da cui partire. Anche il loro essere legato alle emozioni è azzeccato, pur rimanendo misteriosa la loro natura. Il gioco ci propone un suggerimento su cosa siano effettivamente queste entità e il tipo di emozione emanata potrebbe essere un altro indizio su cosa sia successo.
Quello che manca è appunto la resa finale, uno stile accattivante che esalti tutto il contesto. Se a livello di design risultano comprensibili, lo stile rovina infatti tutto quanto, rendendo questi nemici completamente fuori posto. Un'attenzione che fortunatamente non manca alle musiche, spesso solo d'accompagnamento ma intelligenti nella loro composizione. Con un uso attento dei silenzi, la colonna sonora di Hell is Us strizza l'occhio ai temi proposti in ben altri titoli come Silent Hill, con toni cupi arricchiti rumori di fondo voluti, e suoni distorti derivati da strumenti elettronici. In questo caso la colonna sonora non deve sovrastare nulla ma solo accompagnare ed enfatizzare tutti i momenti di gioco. Funziona molto bene soprattutto nelle prime ore, quando si è trascinati in uno smarrimento e sbigottimento dovuti a ciò che vediamo.
Siamo nel 1993: in una nazione fittizia chiamata Hadea (con tratti dell'est-Europa), si è scatenata una devastazione inimmaginabile, con una guerra civile tra Palomiani e Sabiniani che ha radici profonde, almeno di duemila anni. Nonostante l'intervento delle Nazioni Organizzate (praticamente l'ONU) il conflitto sembra lontano dal concludersi. In questo contesto, saremo chiamati a risolvere un antico mistero che non solo minaccia Hadea ma il mondo intero.

Quello che ci propone Hell is Us è un'atmosfera molto cupa, in cui il conflitto è raccontato in tutte le sue tragiche sfaccettature. E di certo, non le manda a dire: tutto il peggio dell'essere umano viene raccontato senza giri di parole, sbattendo in faccia al giocatore tutte le atrocità della guerra.
Non è certo la prima volta che vediamo trattato questo tema con particolare crudezza: This War of Mine o Valiant Arts sono normalmente i due esempi cardine, con la guerra vissuta dal punto di vista di persone comuni. Hell is Us ci si avvicina parecchio e avendo un aspetto realistico, le sensazioni suscitate riescono a penetrare forse con una forza maggiore.
Non è solo una questione visiva però: è anche l'audio, o meglio, i dialoghi di alcuni personaggi che lasciano sgomenti, nonostante si tratti un'opera di finzione (e Rogue Factor ci ha tenuto a precisarlo per bene). Un odio verso l'altro, verso la pura e semplice esistenza di individui a cui ancora vengono affibbiate colpe ancestrali. Questo terribile contesto accompagna il giocatore per quasi tutto il titolo, perché a un certo punto, questa fiamma via via si affievolisce. La spinta emotiva del conflitto infatti, lascia spazio al mistero dei Cronocicli e delle strane entità che si stanno manifestando per tutta Hadea, trasformando il protagonista quasi in un archeologo, però ben lontano dal carisma di Indiana Jones.
Remi, un ex peacekeeper delle Nazioni Organizzate che diserta per poter tornare nel proprio paese, è un protagonista che non brilla certo per carisma, ma non è aiutato nemmeno dalla sceneggiatura. Un uomo di poche parole, con evidenti difficoltà a relazionarsi col prossimo e che si ritrova coinvolto suo malgrado in un destino ben più grande di lui. Non è però un personaggio memorabile, così come i comprimari. L'evoluzione di Remi avviene più attraverso un espediente narrativo piuttosto che durante la narrazione in sé, qualcosa di particolare, ma un po' troppo poco per essere efficace. Ma a conti fatti, tutti faticano a bucare realmente lo schermo e se non fosse per l'atmosfera generale, ci si dimenticherebbe facilmente della loro presenza. Cosa che in certi frangenti, effettivamente accade.
Se il world building funziona molto bene, lo è meno il viaggio di Remi, che è quello che poi effettivamente il giocatore vive. Il titolo infatti ci mette tra le mani una quest che presenta diversi buchi e soprattutto una parte finale mal gestita. Benché l'idea sia interessante, con l'utilizzo dell'espediente del flashback, lo sviluppo e le situazioni che si vengono a delineare sembrano frutto del caso o, peggio ancora, frutto di un'incoerenza di base. Nonostante i tanti documenti a disposizione, molte domande vengono lasciate senza risposta ma è soprattutto la messa in scena a destare qualche perplessità. Anche il modo in cui tutto comincia realmente, con l'inizio della quest vera e propria, manca di basi solide per essere vissuta realmente appieno. Tutto risulta un po' didascalico, così come le subquest legati alla chiusura dei Cronocicli e soprattutto sulle Buone Azioni.

Queste, infatti, presentano al giocatore la possibilità di aiutare in qualche modo le vittime del contesto di guerra. Il che si configura quasi sempre nel trovare un determinato oggetto e riportarlo indietro. Essendo molti i personaggi di questo tipo con cui interagiremo, sarebbe stato comodo un log in cui segnare e verificare lo svolgimento di queste mini-quest. Cosa che effettivamente esiste, ma con una particolarità: le immagini dei personaggi da aiutare sono “pixellate”, il che rende quasi impossibile ricordare chi aiutare e il luogo in cui si trova.
Questo non è un elemento da poco perché influenza la vivibilità del titolo. A un certo punto infatti, capiterà di utilizzare ogni oggetto a disposizione a tutti gli NPC sperando di beccare quello giusto. E gli NPC sono tanti...
Sarebbe bastato davvero mostrare le immagini per migliorare di gran lunga la situazione, così come per i piccoli misteri da svelare per tutta Hadea. Una scelta abbastanza incomprensibile.
Il ritmo di gioco è dunque influenzato anche da questi aspetti secondari. Volutamente lenta, l'esperienza di gioco vive di grosse pause intervallate dai combattimenti contro gli strani nemici. Bisogna dunque prendersi del tempo per esplorare le varie zone, studiare i molti enigmi e ricordarsi cosa fare. È per questo che aiutarsi con degli appunti non è una brutta idea.
Tuttavia, le varie zone di Hadea non presentano poi tutto questo intrattenimento. Spesso saremo portati a compiere lunghe attraversate in cui non succede letteralmente nulla da un punto a un altro della mappa e per quanto l'atmosfera possa aiutare nelle prime ore, il tutto può divenire frustrante nelle successive, quando ormai ci si è abituati un po' a tutto.
Ma come sono questi enigmi? Quelli principali sono sicuramente ben studiati e alcuni di loro richiedono una certa dedizione per essere completati. Anche qui, l'aiuto degli appunti può essere una buona idea, anche perché alcuni misteri, per essere risolti, richiedono lunghi spostamenti. La maggior parte però risultano abbastanza banali e nulla che non sia stato visto in molti altri titoli: se in Indiana Jones e l'Antico Cerchio (qui la recensione) questo aspetto era stato in parte criticato, qui la situazione non è certo migliore.

Dunque, atmosfera, world building, esplorazione e la risoluzione di enigmi sono i cardini di Hell is Us e più o meno, ci siamo. Il lavoro Rogue Factor avrebbe probabilmente funzionato meglio come avventura narrativa, in stile Life is Strange per intenderci. Il non dare dirette indicazioni al giocatore è un'idea vincente. Armati solo di bussola e vista, esplorare è un piacere la maggior parte delle volte, ma bisogna prepararsi al backtracking: molti elementi per risolvere gli enigmi, infatti, si trovano da tutt'altra parte ed è per questo che bisogna allenare per bene la memoria. Le varie componenti principali (nonché le migliori) avrebbero giovato di maggior spazio e rifinitura ma purtroppo il tutto è stato trasposto come action/RPG. Il team canadese ha infatti commesso lo stesso errore di Red Thread Games, autori di Dustborn (qui la recensione), “aggiungendo” una sezione action controproducente.
La proposta di Hell is Us è quella di combat system che cerca di mettere assieme peculiarità dell'Hack 'n' Slash e quelle del souls-like, attraverso quattro stili di combattimento dettati dalle altrettante armi utilizzate. Purtroppo però, il sistema è alquanto limitato, con una solo combo a disposizione e feedback non sempre soddisfacenti. Alla difficoltà equilibrata, che supponiamo sia quella standard creata dal team, tutto il sistema creato risulta un po' piatto. L'introduzione interessante della stamina legata direttamente alla salute, spinge il giocatore a sentire quasi l'ansia della fine, e anche questo si lega in qualche modo al realismo scelto dal team. La sua limitazione apparente è facilmente aggirabile grazie a un espediente ripreso direttamente dal ritmo Ki di Nioh, in cui dopo una serie di colpi assestati, possiamo recuperare salute premendo il dorsale destro al momento giusto. Questo però appiattisce ancor di più tutto il sistema, perché morire sarà davvero difficile. Alla difficoltà normale i nemici non ritornano in vita,a meno che non si cambi area; cosa che migliorare enormemente le fasi esplorative. Se avesse avuto un sistema simile ai titoli FromSoftware, la frustrazione sarebbe stata davvero asfissiante.
Abbiamo a disposizione una doppia schivata, una parata e il parry, oltre ad alcuni poteri legati alle emozioni scaturite dalla guerra. Questi “elementi” possono essere infusi nelle nostre armi, il che dovrebbe aiutare nel combattimento contro chi possiede emozioni in antitesi. Banalmente verde contro il giallo e rosso contro il blu.
Abbiamo persino un drone (KAPI) che può aiutarci in combattimento diretto o fornendoci supporto, ampliando a dismisura le nostre possibilità. Sulla carta dunque, bene o male funziona tutto. Ma c'è un grande “ma”: i nemici. I cosiddetti Hollow Walker sono il punto debole di tutto il pacchetto, non solo dal punto di vista artistico, ma soprattutto di gameplay. Le cinque varietà presenti sono tutte disponibili già dalle prime ore di gioco e non bisogna andare molto lontani per capire cosa succede. Essenzialmente si combatte alla stessa maniera dall'inizio alla fine, anche perché i pattern dei nemici sono molto limitati. Intervengono però le manifestazioni delle emozioni, legate al conflitto: furia, disperazioni, terrore, euforia sono alcune con cui avremmo a che fare, manifestazioni geometriche che sembrano uscite direttamente da Gurren Lagann e che propongono diverse tipologie d'attacco. La loro conformazione però rende molto spesso difficoltoso capirne i moveset e le parti da colpire o da cui difendersi. Il design dei nemici dunque non solo risulta poco accattivante ma crea anche qualche problema d'esperienza al combattimento.

Tutto risulta molto abbozzato insomma e basta davvero poco per andare col pilota automatico, in cui non importa che tipo di arma si avrà tra le mani, che tipo di infusione possiede, le abilità del drone e così via. Le fasi action dunque non aggiungono molto. Questo aspetto non fa altro che dilatare ancora di più Hell is Us, che non solo si perde in traversate di poco conto ai fini della trama ma anche nei combattimenti, visti più come un fastidio che altro.
Non riesce a risollevare la situazione nemmeno gli scontri con i pochi boss presenti: per quanto concettualmente interessanti, legati sempre alle emozioni scaturite dal conflitto, la loro risoluzione risulta banale come il resto degli altri scontri, rompendo un po' il climax.
Il che è appunto un vero peccato perché artisticamente parlando è davvero interessante. Il mix tra realismo puro e misticismo trova negli ambienti di gioco il suo massimo splendore. Tutte le mappe proposte presentano temi specifici e ricollegate attraverso una lore in grado di aggiungere ulteriore personalità. Alcuni scenari sono davvero da cartolina mentre altri, potrebbero trovare tranquillamente spazio negli incubi di chi la guerra, l'ha vissuta. Come detto, quello che smorza gli entusiasmi, è il design dei nemici. Anche qui, concettualmente, sono interessanti: in un contesto così realistico, avere qualcosa che spicca e totalmente alieno è una buona base da cui partire. Anche il loro essere legato alle emozioni è azzeccato, pur rimanendo misteriosa la loro natura. Il gioco ci propone un suggerimento su cosa siano effettivamente queste entità e il tipo di emozione emanata potrebbe essere un altro indizio su cosa sia successo.
Quello che manca è appunto la resa finale, uno stile accattivante che esalti tutto il contesto. Se a livello di design risultano comprensibili, lo stile rovina infatti tutto quanto, rendendo questi nemici completamente fuori posto. Un'attenzione che fortunatamente non manca alle musiche, spesso solo d'accompagnamento ma intelligenti nella loro composizione. Con un uso attento dei silenzi, la colonna sonora di Hell is Us strizza l'occhio ai temi proposti in ben altri titoli come Silent Hill, con toni cupi arricchiti rumori di fondo voluti, e suoni distorti derivati da strumenti elettronici. In questo caso la colonna sonora non deve sovrastare nulla ma solo accompagnare ed enfatizzare tutti i momenti di gioco. Funziona molto bene soprattutto nelle prime ore, quando si è trascinati in uno smarrimento e sbigottimento dovuti a ciò che vediamo.
Hell is Us è un titolo che colpisce soprattutto nelle prime ore di gioco. Mostrare tutta la crudezza e la crudeltà della guerra lascia sgomenti ma purtroppo è un qualcosa che si affievolisce a lungo andare, finendo quasi nel dimenticatoio. Avrebbe funzionato paradossalmente meglio senza la sezione action, che purtroppo risulta molto piatta e priva di mordente; così come i design dei nemici. Il che è un peccato perché visivamente parlando regala degli scorci memorabili, nel bene e nel male. Rimane un'esperienza diversa dal solito, ma purtroppo la sua forza iniziale non ha un vero e reale sviluppo.
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Pro
- Ha una sua personalità
- Ottimo World Building
- Artisticamente d'impatto...
Contro
- Fasi action controproducenti
- Narrativamente poco brillante
- ... Ma Hollow Walker stilisticamente un pugno in un occhio
La guerra civile è rappresentata in maniera cruda e senza censure: scene pesantissime, situazioni che colpiscono forte e che difficilmente si dimenticano. Gli enigmi sono intelligenti e ben calibrati, mai frustranti, e riescono sempre a ricollegarsi al resto del gameplay con grande naturalezza.
Il combattimento, in un gioco del genere, è chiaramente un aspetto accessorio: non vuole essere un souls-like o un action puro e per quello che il titolo punta a raccontare funziona più che bene. Sì, i nemici avrebbero meritato maggiore rifinitura, ma non intacca la forza complessiva dell’opera.
Per me è stato un gioco validissimo, diverso e coraggioso. Voto personale: 8.5 pieno.
Non sono d'accordo con la questione accessoria dei combattimenti. Le sezioni action sono molto presenti, anzi, molto ruota attorno ad esso. Strutturalmente poi ha una sua complessità, un po' troppa per essere accessoria. Semplicemente non è rifinito a dovere e per via dei nemici non puoi approfondirlo. Per il resto sono in parte d'accordo, ma 8,5 per quanto mi riguarda è davvero eccessivo. Rimane un buon gioco, senza dubbio, ma ha tanti limiti.
Quello che intendo è che in Hell is Us il combattimento, per quanto presente, rimane secondario rispetto al vero cuore del gioco, che è la scoperta e l’investigazione del mondo. È un titolo che punta tutto sull’atmosfera, sul worldbuilding e sulla progressiva ricostruzione della storia di Hadea: i suoi punti di forza sono chiarissimi e sono quelli che lo rendono unico.
Per questo il combat system, pur con i suoi limiti, non può pesare così tanto sul giudizio complessivo. Sarebbe come dare un 7 a Devil May Cry 5 perché “la trama è na cazzatona da 8 ore”, quando il focus lì è chiaramente il combat. Qui è l’esatto opposto: se lo si guarda per quello che vuole essere, il sistema di combattimento svolge bene il suo ruolo, ovvero dare tensione, varietà e un ostacolo simbolico alla progressione, senza mai sovrastare l’esplorazione e l’investigazione che sono il cuore dell’esperienza.
Ricordo inoltre che è estremamente personalizzabile. A difficoltà alta con tutti i parametri su difficile diventa una sfida molto impegnativa che richiede impegno. A normale il gioco è super accessibile come sfida.
Ma no aspetta, non è un paragone che regge. Sul contesto di Hell is Us siamo tutti d'accordo. Quello nelle prime ore lo fa molto bene come scritto. Ma è un elemento che via via si perde in favore della questione "mistica". Non stiamo parlando di un'avventura narrativa ma di un action/rpg in piena regola, con tutti gli elementi che hai elencato tu. Funziona molto bene nel background, nel worldbuilding, ma la trama ha tanti problemi, fino a un finale ben gestito. Ci ho giocato una trentina di ore, raccogliendo praticamente tutti i documenti. È tutto soppesato. Per questo ho dato 7 e non 5. 7 è un buon voto eh.
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